Tragico per me, comico per gli altri.
Era l'1 maggio mattina di qualche anno fa, arrivai in sede convinta di essere segnata come terzo, e quando sulla tabella della turnazione vidi il mio cognome sotto la colonnina "capoequipaggio", rimasi spiazzata.
Io caposquadra? Ma perché? Sono in squadra con gente più esperta, siamo in quattro, perchéccavolo devo farlo io, mi son chiesta in un primo momento; la cosa mi innervosiva, non mi sentivo "pronta", tanto più che l'unico altro membro della squadra che conoscevo era l'autista, con cui facevo i turni ogni settimana...gli altri due, mai visti prima.
"Dai su fanciulla, è ora di fare il passo in più!" mi ha canzonato il mio collega, divertito dal mio scetticismo.
Io speravo che il telefono non suonasse, in fondo "cos'avrà mai da fare la gente la mattina del 1° di maggio?" mi sono chiesta 30 secondi prima che il suono malefico interrompesse il mio flusso di pensieri.
Il turno iniziava alle 8 del mattino e si sarebbe concluso solo alle 14.
Bene.
Noi siamo usciti verso le 8.10 e non siamo più rientrati fino alle 14.30.
4 uscite, belle impegnative, 4 codici gialli in uscita, 3 dei quali ricoverati sempre in giallo.
C'era tutto quello che potevo vedere in mesi di turni: vomito di varia natura, dispnee, scompensi vari e traumi.
In rientro venivamo sempre deviati da qualche altra parte, a spasso per la provincia.
Non è stato per niente facile, considerato che non mi coordinavo molto bene con la squadra, e qualche piccolo screzio ha reso quel turno decisamente più pesante del previsto.
Per fortuna il mio collega, l'autista con cui turnavo di norma, è stato pazientemente attento ad aiutarmi a gestire la situazione.
Ero stata via dei mesi all'estero per studiare, ero rientrata da pochi mesi, e ritrovarmi a fare un turno del genere di punto in bianco mi aveva spiazzata.
Ero cotta, e anche il mio aspetto lo dimostrava.
In particolare, un episodio mi è rimasto impresso di quella mattina, e credo che non abbia "colpito" solo me.
Avevamo appena sbarellato l'ultimo paziente in un reparto dell'ospedale accessibile tramite ascensore, speravo fosse davvero l'ultimo intervento della mattina, e pensando a cosa avrei mangiato una volta approdata in sede, sono salita sull'ascensore insieme alla mia squadra e a due dottoresse per tornare al piano terra.
Avevo notato gli sguardi divertiti delle due, ma non ci avevo prestato molta attenzione finché una mi si avvicina e fa un lieve colpo di tosse guardando per terra.
Il mio sguardo interrogativo credo che l'abbia convinta a dirmi sottovoce "ehm...la cerniera!"
Come in quei film dove fanno la moviola dei momenti imbarazzanti, ho chinato la testa quanto bastava a notare che avevo la patta dei pantaloni aperta.
Che problema c'era, vi chiederete?
Beh, la mia divisa era blu, datata quanto bastava a rendere le cerniere pari a delle fettucce di velcro e io quella mattina, per pura sfiga, avevo deciso di indossare delle mutandine bianche.
Non avevo mai messo biancheria chiara sotto la divisa, proprio per evitare queste figure, e l'unico giorno che l'ho fatto ecco com'è andata a finire.
Sarò andata in giro con la patta slacciata da almeno le 11, ultima volta in cui ero riuscita a mettere piede alla toilette del Pronto Soccorso, dalla quale ero uscita di corsa perché ci stavano già chiamando alla radio.
Ci mancava solo questa a rendere la mia mattinata "perfetta", pensai mentre moltomoltomolto poco finemente mi sistemavo la divisa nel minor tempo possibile...della serie "se devo condividere le mie figuracce, facciamolo con meno gente possibile, prima che si spalanchino le porte dell'ascensore!".
Inutile dire che i miei 3 colleghi non avevano ancora smesso di ridere e sfottermi quando, eroicamente, all'alba delle 14.30, rimettemmo piede in sede, vero?
Sono passati alcuni anni da quella mattina, ma vi garantisco che se ci ripenso rido ancora...
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