mercoledì 29 febbraio 2012

Nella notte

"Siete gli angeli della notte" ci ha detto Giada, una esile e anziana signora che abbiamo portato in Pronto Soccorso all'alba di mezzanotte e mezza per un sospetto globo vescicale, diagnosticato dal medico di guardia che poi ha deciso di chiamare il 118.
A noi è venuto un po' da ridere, lo devo ammettere; fino a poco prima che suonasse il telefono ce la stavamo ridendo parlando di stupidate ben poco angeliche!
Mi ha fatto davvero tenerezza Giada, che arrivata in PS ci ha chiesto di "spostarla dalla barella senza farle male, come se fosse stata la nostra nonna".
Avrà sicuramente avuto lancinanti dolori.
Spesso non sappiamo chi sono le persone che andiamo a prendere; sono persone buone? Cattive? Oneste? Simpatiche? Insopportabili? E chi lo sà. Noi le conosciamo in un momento ben preciso, che per loro è tutt'altro che facile e piacevole, e ci rendiamo conto che a prescindere da chi siano o siano state nelle loro vite, in quel momento la sofferenza non gli ha certo guardato in faccia.
Alcuni poi si lasciano conoscere, altri meno, ma il fatto è che la malattia non fa discriminazioni.
Quello che invece non riesco davvero a comprendere sono quelle persone che letteralmente se le cercano, quelle che "le malattie se le fanno venire".
3.20 del mattino suona il telefono 118.
"Andate in verde a XXX, drogato in crisi d'ansia, è solo, ha chiamato lui".
In squadra siamo in 4, tre ragazze e l'uomo della squadra nonché autista, che decidiamo molto democraticamente di mandare avanti una volta arrivati sulla scena, per ovvi motivi.
"Sarà mica uno di quelli che chiama per divertirsi!" ipotizza il mio collega mentre guida
"Cioè?" domando
"Bah...hai presente il drugs, sex&rock'n'roll? Magari ha chiamato il 118 per divertirsi!" dice ridendo
Io, che ridevo decisamente meno, gli faccio notare "Tanto scendi prima tu...quindi!"
"Eh si effettivamente è meglio se scendo prima io" mi dice sempre ridendo, incontrando il parere favorevole mio e delle mie due colleghe sedute dietro.
Arriviamo in posto, in una vietta di un normalissimo paese di provincia, e appena scesi vediamo venirci incontro un po' traballante un uomo sui 35.
"Sarà lui" pensiamo in coro, dirigendoci incontro al tremolante individuo.
"Sono io! Vi ho chiamati io!" ci dice Simone, visibilmente agitato
"Vieni, saliamo in ambulanza" gli dice il collega, e lo accompagnamo, facendolo accomodare sulla barella.
Simone ci racconta senza problemi di aver mangiato solo una pizza e di averla vomitata a seguito di un'assunzione di eroina e alcol; avendo cominciato a sentirsi male, ha deciso di chiamare il 118 perché si stava spaventando.
Abbiamo preso i parametri, cercato di tranquillizzarlo e successivamente ho chiamato la Centrale per riferire la situazione e sapere dove portarlo a fare un controllo.
"Sapete, domani devo andare all'estero per lavoro" ci dice, leggermente più calmo
"Ah si? E cosa fai di bello?" gli domanda la mia collega mentre io e l'altra collega ci occupiamo del documenti.
Simone inizia a raccontarci del suo lavoro, dei viaggi...tutti e quattro ci siamo domandanti perchè diavolo avesse assunto eroina&alcol il giorno prima di una partenza, ma alla fine stando a ciò che ci ha raccontato siamo arrivati alla conclusione che sicuramente era un'abitudine ben radicata, e non sarebbe stata certo una partenza imminente a farlo smettere.
Arrivati in Pronto Soccorso, lo mettiamo su una sedia a rotelle e lo lasciamo nelle mani dell'infermiere di turno.
Davvero strana la gente.
Prima di essere un soccorritore, pensavo che chi facesse uso di droghe fosse semplicemente uno stupido autolesionista; fermo restando che per me (e per ogni soccorritore) un paziente è un paziente, non tocca a noi di certo giudicare, da quando ho avuto modo di vedere cos'è davvero la "sofferenza che non scegli, ma che ti capita", ho un forte rifiuto per chi se la autoinfligge, lo trovo un vero e proprio insulto a chi vorrebbe avere la possibilità di scegliere, ma non ce l'ha.

martedì 21 febbraio 2012

Potus

Era un pomeriggio d'estate completo di cielo sereno, sole aranciato e un caldo umido tipico delle mie zone.
Avevamo appena finito di mangiare un chilo di gelato alla frutta in quattro, erano circa le 18 quando il telefono del 118 ci fa scattare col suo diabolico squillo.
"Andate a XXX, presso la stazione ferroviaria, ragazzina ubriaca, vi dò un giallino..."
"Cioè?"
"Cioè andate in sirena perché il paese è lontano, ma tranquilli ok?"
"Ricevuto"
E partiamo.
Avevamo un brutto presentimento, fomentato dalla motivazione della chiamata decisamente insolita: ragazzina ubriaca, in stazione, alle 18 di mercoledì pomeriggio? Mah.
In pochi minuti raggiungemmo la meta, e di quell'istante ho un ricordo ben preciso: aprendo il portellone dell'ambulanza, a circa 3mt dalla scena, venni investita da un odore tremendo, un misto di urina, vomito, alcol e cane bagnato. Non dimenticherò mai quell'odore, che mi provocò quasi un conato.
La stazione ferroviaria di XXX era piccola, classica stazione di provincia con tanto di fontanella.
Sulla panchina di granito davanti all'ingresso della biglietteria giaceva privo di sensi il corpo inerte di una ragazza, a prima vista sui 16anni, fradicia.
Verificato che la ragazzina respirava e che fosse apparentemente svenuta, iniziammo a rilevare i parametri.
Essendo in quattro, ed essendo io ancora alle prime armi specie in situazioni del genere (dove il mio stomaco mal sopportava il mix di vomito e odoraccio, ancora non avevo trovato i miei "rimedi anti-sbocco") venni mandata a parlare con gli astanti.
Mi ritrovai davanti un uomo sulla quarantina che si affrettò a dirmi che era stato lui ad allertare il 118, dopodiché fuggì letteralmente via in macchina.
C'era anche una dottoressa in posto, che attirata dal trambusto s'era avvicinata alla scena stava riferendo al mio caposquadra, per poi andarsene poco dopo.
I restanti erano un gruppo di una decina di ragazzini, tra i 15 e i 17 anni, nessun maggiorenne, in evidente stato di ebbrezza.
"Ragazzi, ho bisogno di sapere cos'è successo" gli dissi "cos'ha bevuto o ingerito la vostra amica? E perchè è fradicia?"
"Solo una birra!" mi disse una ragazzina, tremante e visibilmente nervosa "adesso arriva la polizia?"
"Immagino di si" risposi, sapendo che erano stati allertati quelli della Polizia Locale e i genitori della ragazza "adesso però basta scherzare: so perfettamente che odore ha la birra, e la vostra amica di tutto sà tranne che di quella"
"Eh forse anche un po' di vodka...non so...noi non sappiamo nulla! Se li era portati per i fatti suoi!" mi rispose un altro ragazzino, nervosamente
"Ragazzi, forse non sono stata chiara; per il bene della vostra amica, devo sapere tutto per poterla aiutare. Non andrò di certo a dirlo in giro" tentai di essere più convincente
"Ma noi nemmeno siamo così amici! Sarah è di XXX (città moltomoltomolto lontana), è amica di amici, i suoi sono qui in visita e ce la siamo portata con noi! Noi non c'entriamo niente!" asserirono
La situazione era decisamente spiacevole, e il loro stato di ebbrezza li rese incredibilmente loquaci.
Con non poca fatica, davanti ai ragazzini brilli, caricammo la barella con sopra Sarah in ambulanza.
Nel frattempo arrivarono Polizia e il padre della ragazza.
"Dov'è mia figlia?" mi domandò Riccardo, qualificatosi come padre di Sarah
"E' in ambulanza, aspettavamo giusto lei" gli dissi, spiegandogli cosa era successo (per quanto ne sapevamo). Mi aspettavo una reazione incontrollata, e invece molto pacatamente mi disse "Di nuovo quindi...Posso vederla o devo parlare con la Polizia?"
"Può vederla, ma prima mi dia i documenti della ragazza così posso compilare i nostri moduli per la tutela della privacy" gli dissi. Il signor Riccardo estrasse il tesserino sanitario, e salì in ambulanza.
Io iniziai a scrivere i dati, e fu in quel momento che mi venne un colpo: Sarah aveva 12 anni e mezzo.
Come diavolo ci era finita sulla panchina di una stazione una bambina di 12 anni e mezzo, quasi in coma etilico, fradicia e sporca, lascivamente vestita, proprio non riuscivo a spiegarmelo.
E per quanto avevamo inteso, non era nemmeno la prima volta.
Sarah nel frattempo si riprese quanto bastava per vomitare anche l'anima; la attaccammo all'ossigeno e tirò su l'impossibile.
Tentammo anche di metterle una canula per aiutarla a respirare, ma per fortuna non la tollerò, e nonostante questo non riprese mai davvero coscienza.
Per il mio stomaco ancora strapieno di gelato era decisamente troppo, così sedetti davanti con l'autista occupandomi delle comunicazioni radio.
Arrivati in Pronto Soccorso, ci raggiunse anche la madre, la cui entrata sembrò quasi una farsa ai miei occhi: entrò piangendo, e in due minuti era già calma e rilassata.
Era evidente che i genitori erano già avvezzi a queste evenienze.
Le infermiere del PS, anche più incredule di noi, invitarono il nostro autista ad uscire dalla stanza perché volevano spogliare Sarah e metterle degli abiti asciutti.
"In sostanza: ragazzina 12 anni e mezzo, trovata in stato di incoscienza e mai ripresa, in seguito ad una consistente assunzione di alcol ha vomitato. Trovata fradicia, probabilmente gli amici hanno ben pensato di buttarla nella fontana quando l'hanno vista perdere i sensi." disse il mio caposquadra, riassumendo quanto sapevamo.
Aiutammo le infermiere a svestirla dei quattro "fazzoletti" che indossava, e la scena che ci si presentò fu anche peggiore della precedente: sugli avambracci aveva dei lividi, segni di trascinamento sulla schiena che era sporca di terriccio, e dalle mutandine uscirono chicchi di riso crudo.
Noi e le infermiere ci guardammo interrogativamente, e una di loro controllò se c'erano anche altri segni che potessero indicare una violenza.
"Apparentemente non ci sono segni di aggressione sessuale, ma verificheremo più approfonditamente" ci disse "potete andare ragazzi, grazie"
Uscimmo con un quel tremendo odore nelle narici, il gelato che faceva le piroette nello stomaco e la certezza che non avremmo dimenticato tanto presto quel pomeriggio.

sabato 18 febbraio 2012

Fortuna nella sfortuna

Ore 7.25 di ieri mattina.
-1°C, ambulanza naturalmente congelata, e io e la collega la stiamo controllando da cima a fondo dopo che il nostro autista l'ha parcheggiata nel nostro piazzale.
Apro il portellone per cambiare l'aria un po' viziata del vano sanitario, quando mi accorgo che una macchina entra nel piazzale e parcheggia davanti al nostro mezzo.
Io e collega siamo già sul piede di guerra: MAI parcheggiare davanti ad un'ambulanza, e da noi invece la gente sembra farlo apposta.
Dalla macchina scende una signora sulla quarantina, pallida e terrorizzata che inizia a dire tremante: "dovete venire! A XXX, proprio nel campo a lato della strada XXX una macchina s'è ribaltata! E il ragazzo è chiuso dentro, la macchina è distrutta e i vetri rotti...c'è uno che lo sta facendo parlare, ma vi prego dovete andare ad aiutarlo!"
La mia collega domanda alla signora "Ma ha chiamato il 118?"
"Si ma non riesco a prendere la linea!! Oddio no davvero, dovete andare subito vi prego!" ci dice sempre pià ansiosa
Io e la mia collega ci guardiamo, e decidiamo di sentire la Centrale Operativa 118 per capire se era già stata allertata un'altra ambulanza.
Intanto chiamo l'autista, al quale spiego in breve cos'era accaduto, mentre la signora che ci stava avvisando non si schioda dal piazzale.
In pochi minuti la C.O. ci conferma di non essere stata allertata da nessuno, e ci manda in codice giallo sul posto.
"Signora andiamo a vedere cos'è successo, stia tranquilla, ok? Può tornare a casa!" le dico prima di salire
"Ci andate davvero? Perchè è vero, l'ho visto coi miei occhi!"
"Certo, se sposta la macchina può vedere che andiamo davvero!" le dico, salendo in ambulanza e la signora, apparentemente rincuorata, salta in macchina e se ne va.
Io non sono una persona superstiziosa, però concedetemelo: dopo una scena del genere con tanto di enfasi nel racconto, alle 7.25 di venerdì 17, con strade ghiacciate e temperature basse, noi avevamo pensato al peggio.
Arriviamo in posto, poco lontano dalla nostra sede, scendiamo di fretta con zaino, ossigeno e collarini e la scena che ci troviamo davanti è la seguente: classica strada in campagna, auto ribaltata nel campo, finestrini rotti, nessuno a bordo.
Vediamo una macchina accostata con una ragazza dentro, e un ragazzo al cellulare che fuma una sigaretta dall'altro lato della strada.
Io e colleghi ci dirigiamo verso il ragazzo.
"Buongiorno, era lei il conducente?" domanda il caposquadra
Il ragazzo, Silvio, 20 anni, ci guarda noncurante "io mica l'ho chiamata l'ambulanza, che siete venuti a fare? In ospedale non vengo, sono al telefono col carroattrezzi, per favore...." ci dice allontanandosi
Al mio caposquadra la cosa non va giù, e riprende Silvio "Adesso attacchi il telefono e ci ascolti; non siamo qui per giocare, il 118 è un servizio serio. Siamo stati allertati, quindi adesso ti diamo un'occhiata".
Seccato e non troppo felice, ci segue in ambulanza dove ci racconta di aver perso il controllo della macchina che si è ribaltata nel campo.
Per fortuna non passava nessuno dalla parte opposta, altrimenti si sarebbe fatto davvero male, nonostante la bassa velocità.
"Se vi dico una cosa, non la dite vero?" ci domanda
"Dipende, proviamo..." gli dice il caposquadra
"Ecco vedete...io ero senza cintura...però non diteglielo!" ci dice preoccupato
"Ma dobbiamo dirglielo! Metti caso che al momento non hai niente, ma dopo stai male??" gli dico, e il caposquadra rimarca il concetto spiegando che è fondamentale non raccontarci cavolate.
Alla fine Silvio decide di farsi portare in Pronto Soccorso per farsi vedere; il caposquadra avvisa la ragazza in macchina, che scopriamo essere la sua ragazza, e partiamo alla volta dell'ospedale mentre Silvio chiacchiera allegramente con noi fino a che non lo scarichiamo.
"Ma adesso mi mollate qui da solo?? Non mi aspettate??"
"Ehhhh adesso! Và che qui si lavora!" gli diciamo ridendo "Mi sa che devi aspettare la tua morosa!"
"Beh ma...quando esco passo a trovarvi! Promesso!" ci dice
"Si...e prometti anche di mettere la cintura la prossima volta, che hai avuto un culo immenso stamattina!" gli ricordiamo, raccattando le nostre cose e salutandolo.

Questa mattina io e i miei due colleghi di ieri eravamo in sede, e Silvio è passato davvero a trovarci...giusto per informarci che stava benone e sta volta la cintura se l'era messa!

mercoledì 15 febbraio 2012

Cose...da bambini

I bambini sanno essere tremendi, specie se litigano per un giocattolo.
Tutti abbiamo almeno tentato di litigare per un giochino, no?
C'è qualcuno però che ci và giù pesante...!
Una mattina veniamo chiamati verso mezziogiorno, "andate in giallo a XXX, via XXX, bambino con sospetto trauma della colonna" ci dice l'operatore della C.O.
Andiamo di corsa, domandandoci che cosa avesse mai potuto combinare un bimbetto per procurarsi un trauma alla colonna vertebrale.
Arriviamo in posto, entriamo con l'ambulanza in una corte vecchia e nel cortile ci sono una signora anziana e una sulla quarantina che ci fanno segno di venire verso di loro.
La signora sulla quarantina ha attaccato alle sue gonne un bambino che piange disperatamente, mentre dietro la signora più anziana si nasconde una bambina con l'aria terrorizzata.
Scendiamo con un gigantesco punto interrogativo in faccia, e il caposquadra domanda: "Buongiorno, che succede?"
Appena mettiamo i piedi giù dall'ambulanza sentiamo delle grida strazianti provenire da dentro casa.
"Non volevamo andasse così!" dice preoccupata la signora Laura, sulla quarantina, mentre cercava di far tacere il bambino urlante "ma ci siamo distratti un attimo ed è successo! E tu smettila di urlare Francesco! Adesso la mamma e impegnata, dai smettila!".
Veniamo accompagnati in casa, condotti in una stanza dove le urla ci bucano letteralmente i timpani.
Sdraiata sul letto c'è Margherita, una bambina di circa 8 anni, esile e urlante come nessun altro bambino che avessi mai visto.
"Margherita urla così da venti minuti, non potevamo prevederlo!" cerca di spiegarci Alberto, un uomo sulla quarantina che tiene la piccola per mano mentre lei urla e si dispera.
Cercando di superare il muro acustico delle urla di Margherita, il signor Alberto (che è il padre della piccola infortunata) ci dice che la zia Laura e la nonna stavano preparando il pranzo mentre Margherita giocava sul tappeto elastico con Elisa, l'altra bambina di circa 6 anni.
Francesco, 10 anni, voleva saltare sul tappeto, ma le due bimbe non volevano spostarsi e lui ha ben pensato che sferrare un calcio col tallone sulla schiena di Margherita l'avrebbe convinta a spostarsi.
Il colpo deve aver avuto una violenza non indifferente considerata la robustezza di Francesco, che non appena si è reso conto del danno fatto, ha iniziato a piangere a sua volta, ed Elisa ad urlare; da qui l'allertamento del 118.
Mentre il caposquadra raccoglie le varie "testimonianze", io mi occupo dei parametri e di tentare di tranquillizzare la piccola Margherita.
Non ho mai avuto un gran feeling coi bambini e sto imparando attraverso la mia esperienza di soccorritore ad instaurare un legame con loro, perchè immagino che dalla loro prospettiva, trovarsi circondati da estranei che non sono i pompieri con delle tutone antiestetiche non deve essere proprio il massimo.
I dolori di Margherita sono così forti che ad un certo punto inizia a mordersi le mani, e per quanto possa sembrare poco ortodosso, l'unica cosa che al momento mi sembra perfetta per evitare che se le ferisca davvero è il cuneo, e così decido di darle quello da mordere.
Il polso è ancora accelerato, la saturazione instabile e la pressione alle stelle.
Il tutto è una conseguenza di un pianto esasperato dovuto ad una sospetta frattura di un paio di costole.
Quando ho visto che bozzo aveva all'altezza della zona dove dice di aver preso la tallonata, resto senza parole.
Deve aver preso un colpo di tallone davvero ben assestato, e per di più da un bambinetto di 10 anni.
Con non poca fatica, la carichiamo in ambulanza.
Durante il viaggio si calma un pochino, ci racconta di voler diventare parrucchiera e si offre di acconciare i capelli anche alla sottoscritta.
Felici che la piccola Margherita abbia finalmente smesso di piangere (e diciamocelo, anche di stordirci con quelle urla tremende), la lasciamo in ospedale con il papà a fianco.
Tremendi questi bambini, nè? In fin dei conti lo siamo stati tutti, chi più, chi meno.

venerdì 10 febbraio 2012

Chi vuol essere...il quarto?

Il mio primo turno pomeridiano da tirocinante si è rivelato movimentato.
Ero una pivella che s'è ritrovata in sede, di turno per davvero, per la prima volta.
Ero un po' nervosa, non sapevo bene cosa aspettarmi; stare sei ore e mezza gironzolando in sede con tre sconosciuti mi sembrava assurdamente noioso.
A dirla tutta ho scoperto che tanto noioso non era; il mio primo ufficiale controllo dell'ambulanza è stato una specie di quiz a risposta multipla con tanto di "aiuto del pubblico" in stile Gerry Scotti e ispezione approfondita del mezzo inclusa.
Non avevo mai davvero considerato di mettere piede su un'ambulanza vera da emergenza, e devo ammetere che la prima cosa che ho pensato mentre mi guardavo in giro è stata: "Figata!", dovevo ancora abituarmi alla sensazione e all'idea che avrei dovuto destreggiarmi con tutto quel materiale disseminato in quasi ogni centimetro del vano.
Non contavo di ricordare tutto-tutto in una sola volta, ma almeno una buona parte, in fondo io sarei stata un semplice osservatore.
Il telefono non tardò a suonare quel giorno, e io non tardai a fare un salto improponibile sul divano appena il mio orecchio captò l'infernale squillo.
Mentre la mia collega prendeva nota sul foglio del servizio, io cercavo di capire che cosa avrei dovuto vedere e le immagini dei peggiori disastri si profilarono una per una nella mia mente: maxi emergenze, crolli di palazzi, amputazioni, morti, incidenti in autostrada...
"Codice verde" mi disse la mia collega prendendo la radio e regalandomi inconsapevolmente una botta di serenità improvvisa.
L'avevo scampata.
Per ora.
Era la prima volta che entravo in casa di sconosciuti, non sapevo bene cosa dire quindi decisi di tacere, diversamente dal solito.
Il paziente aveva il piede infetto perché aveva ben pensato di non cambiare la medicazione per giorni.
Furbissimo, pensai mentre rassettavo e riportavo in ambulanza lo zaino, ma come cavolo si fa a non cambiarsi la fasciatura per così tanto? Possibile che sia dovuto arrivare ad avere crampi tali da dover chiamare il 118?
Caricato il paziente, ebbi modo di sentire la sua storia: parlava a malapena l'italiano, arrivava probabilmente dal Nord Africa, ed era venuto qui cercando un lavoro per mandare i soldi al suo paese, era qui completamente solo e affetto da una malattia della pelle e da questa infezione al piede che a causa del lavoro precario, a detta sua non aveva tempo di curare.
Completamente solo, e forse le sue ragioni nel trascurare la salute non erano così sbagliate, almeno non lo sembravano a lui.
Al suo posto avrei fatto lo stesso? Forse.
Lo lasciammo in pronto soccorso, erano circa le 19.30, mancava poco alla fine del mio primo turno e l'avevo passata liscia, pensavo mentre rimuginavo sulle condizioni della persona appena lasciata in PS.
Si, pensavo...perché mentre rientravamo in sede sentii chiaramente la sigla del nostro mezzo per radio.
"Per voi Giallo, incidente moto-auto, in via XXX a XXX, via filo per ulteriori".
Che sfiga, penso mentre mi rendo conto che sto per vedere il mio primo incidente, non poteva finire con un codice verde?!
Eravamo su una strada provinciale, trafficatissima e illuminata dai fari che squarciavano il buio.
L'autista attacca la sirena.
Non ero preparata.
Strinsi bene le cinture ed essendo seduta dietro, guardavo avanti attraverso il vetro separatore.
Le luci blu e la sirena avevano sul traffico lo stesso effetto dell'imposizione delle mani di Mosè sul Mar Rosso.
Ma il mare, quella sera, era fatto di luci bianche e rosse, di ruote.
Vedere un'ambulanza schizzarti di fianco ed esserci sopra fisicamente è tutta un'altra sensazione.
Appena abbiamo iniziato a farci largo nel traffico, mi sembrava che fossimo lì lì per schiantarci anche noi.
L'avevo detto che non ero preparata.
Le luci blu si riflettevano ovunque, la sirena urlava, le macchine si spostavano per lasciarci passare nel mezzo della strada provinciale.
Come mi sentivo?
Mi piacerebbe dirvi che ero emozionata, meravigliata, eccitata e quant'altro di poetico esiste.
La verità è che avevo la nausea e il colore che più si avvicinava a quello della mia faccia era il verde.
Le mie prime uscite sono state segnate dal mal-di-ambulanza, che il mio stomaco mal sopportava.
Lo spettacolo era pazzesco per una novellina come me, ma la nausea l'aveva vinta sull'emozione del momento.
"Vai tu alla testa?" mi chiese la mia collega interropendo il mio stream of consciousness nauseabondo
"Ma chi, io? No no, non posso, non lo so...cioè, no" farfugliai sempre più nauseata ad ogni deviazione brusca del mezzo
"Allora porta giù le cose, ok?"
"Si si, ok!" risposi, e mi resi conto che in pochi minuti eravamo arrivati sul posto dell'evento, che normalmente avremmo raggiunto in 15minuti, visto il traffico.
Ero nervosa, masticavo nervosamente la cicca sperando che mi passasse il voltastomaco da codice giallo, non ero abituata a tutti quegli sballottamenti; io che soffrivo il mal di macchina alla prima curva, avevo trovato l'inferno in terra: un furgone lanciato su strade trafficate e piene di buche.
Scesi un po' barcollante, e seguii la squadra.
Il ragazzino motociclista era per terra, già senza casco, e l'automobilista ancora sul posto.
Per fortuna nessuno s'era fatto male seriamente, quella volta.
Facevo su e giù in continuazione dall'ambulanza per prendere tutto quel che serviva e riporre le cose prima di dimenticarmele in giro.
Senza nemmeno accorgermene caricammo il paziente, arrivammo in PS, scaricammo e ritornammo in sede.
Wow.
Avevo fatto il mio primo turno da quarto.
Non ci credevo nemmeno io.
E la cosa più strana è che, nonostante la nausea tremenda e la tensione iniziale, ero già ansiosa di riprovarci, per mettere in pratica quello che avevo imparato sul campo.
In realtà a mente fredda realizzai che un buon quarto-tirocinante è meglio se si limita a seguire bene la squadra prima di spaziare nell'ambito dell'iniziativa personale, per mirare a diventare un quarto-effettivo efficiente.
Per essere stato il primo giorno non era andato male.
Ovviamente, classico epilogo della principiante sprovveduta: la tensione mi aveva sfinita, però la realtà aveva superato le mie aspettative e diciamocelo...anche quelle del mio stomaco.

lunedì 6 febbraio 2012

"Taxi!" "Dove la porto signore?"

A volte, più che un servizio d'emergenza, sembra di fare "servizio taxi".
Credo che ad ognuno di noi sia capitato di pensarlo, almeno una volta.
Per quanto mi riguarda, credo che in alcune situazioni sia ingiusto parlare di "utilizzo improprio del servizio d'emergenza", perché a volte l'unica alternativa è quella di chiamare il 118.
A cosa mi riferisco? Parlo di quelle situazioni dove il 99.9% delle volte i protagonisti sono gli anziani impossibilitati a muoversi autonomamente per una ragione o per l'altra e che quindi chiamano il 118.
E del resto, come dargli torto? Anche l'impossibilità a muoversi, il non sapere cosa fare e il non avere nessuno a cui rivolgersi nell'immediato davanti ad una situazione critica è una reale difficoltà.
Almeno, lo è per me.
La penso in maniera diversa invece nei casi in cui l'ambulanza viene usata come un vero e proprio taxi a discrezione di paziente e famiglia.
L'ultimo episodio eclatante a cui ho assistito è stato proprio una domenica notte di inverno; all'alba delle 00.40 veniamo chiamati per un "servizio di ricovero" [cit. operatore della C.O.], codice verde.
Fuori ci sono -14°C, neve e ghiaccio a volontà e a quell'ora si stava bene anche sotto le coperte...ma sappiamo tutti e bene che quando il dovere chiama, si corre.
Arriviamo davanti alla casa della famiglia Rossi, trovando tutto chiuso.
Il nome sul citofono corrisponde a quello che abbiamo noi, così decidiamo di suonare.
"Chi è?" chiede una voce dal citofono
Noi, sconsolati, ci guardiamo e il caposquadra risponde "Signora, siamo quelli dell'ambulanza"
"Ah già! Siamo quasi pronti, salite!" ci risponde, aprendoci.
Saliamo al primo piano dell'abitazione e veniamo condotti nella camera di Aldo, 80 anni, che voglia di alzarsi e parlare con noi non ne ha proprio.
"Buona sera signor Aldo, allora...che succede?" domanda il caposquadra, mentre io mi accingo a prendere i parametri
"Ma che buona sera! E' tardi e ho sonno! Glielo dica!" ci risponde in modo tutt'altro che gentile, indicando la figlia, la signora Chiara, che ci aveva risposto al citofono.
"Papà smettila!" dice lei, visibilmente preoccupata "vedete, è dalle 18 che non urina..."
"Signora" fa notare il CS "vedo che suo padre è stato ricoverato per disidratazione...non è che oggi non ha bevuto?"
"No no, ha bevuto! Non tanto eh, però ha bevuto un po'...ma nel pannolone ho trovato sole poche gocce" ci dice, e in due nanosecondi snocciola una serie di altre patologie di cui Aldo è affetto, tra cui anche ipertrofia prostatica.
I parametri erano coerenti con le informazioni che avevamo, così informiamo la Centrale Operativa che ci manda in verde in ospedale.
"Aldo, dobbiamo andare in ospedale a fare un controllino!" gli dico "adesso devo metterti seduto, ti portiamo giù noi da qui, devi solo aiutarci a vestirti per bene che fa freddo!"
"Trattatelo bene, mi raccomando" ci dice Chiara "prendo la coperta? No anzi, la giacca, si una giacca...ecco guarda, prendo anche la coperta calda, mettetegliela sotto ok? E poi la sciarpa...e il cappello? Ah certo, anche il cappello sennò papà prendi freddo...ok papà?"
"Ma piantala, porco ***! E voi la smettete con queste coperte? Sono stufo!" sbotta Aldo, al limite della pazienza
"Aldo, se mi dà una mano a vestirti facciamo prima, ok?" gli dico, e velocemente assieme ai miei due colleghi completiamo la vestizione sotto l'incessante controllo di Chiara.
Con pazienza lo portiamo giù con la nostra sedia portantina e lo carichiamo in ambulanza.
"Ho freddo! Allora, le coperte??? Qua si gela, muovetevi!!" inizia a dirci molto poco garbatamente Aldo
"Aldo, abbia pazienza, le mettiamo le cinghie e poi la copriamo per bene, su! Qui dentro ci sono 24°C! Fuori ce ne sono un bel po' di meno..." gli dico e in pochi secondi gli mettiamo entrambe le coperte che abbiamo a bordo, più naturalmente la montagna di cose che la figlia Chiara ci aveva dato.
Tutti e tre ci aspettavamo che anche Chiara salisse con noi, giustamente...e invece no.
"Io vi seguo in macchina! Lui è meglio che stia sdraiato" ci dice tranquilla "State attenti, trattatelo bene!"
"Non sale con noi?" le domando interdetta
"No no, prendo la macchina così poi torniamo a casa da soli" mi risponde, eclissandosi nel buio del cortile
Io e squadra restiamo senza parole.
Arrivati in Pronto Soccorso presentiamo il caso all'infermiere di turno, che ci guarda stranito e chiede sfogliando i documenti di Aldo "Fatemi capire se ho capito: siete usciti come 118 per portare in PS alle 2 del mattino un anziano assonnato con precedenti per disidratazione, che SI PRESUME non urini dalle 18, e con una figlia automunita?"
"Esattamente" rispondiamo
Sempre più incredulo, l'infermiere esamina da capo a piedi Aldo, non riscontrando nulla che lasciasse ad intendere che l'anuria avesse cause diverse dalla mancata assunzione di liquidi.
Chiara nel frattempo entra insieme a noi, e inizia a raccontare all'infermiere tutto quanto.
Aldo è sempre più spazientito, in ospedale nemmeno ci voleva andare "Potevamo venirci in macchina la mattina" mi dice seccato "va te se ci devo venire in ambulanza, non ho niente!"
Se avesse o meno qualcosa io di certo non posso dirlo, ma arrivare a casa di un paziente e trovarsi la famiglia coi bagagli e l'auto pronta per seguirci in PS, a me, fa sempre un certo effetto.