Le prime uscite sono quelle di cui ci ricordiamo tutto: nomi, cognomi, parametri, indirizzi...
Alcune situazioni restano impresse tuttavia, e anche col passare del tempo ci si ricorda benissimo tanto delle facce quanto dei nomi e delle patologie.
Perché? Non ne ho idea...credo che dipenda dalla sensibilità personale.
A me è rimasta impressa una signora, mia compaesana, ma che ho avuto la sfortuna di conoscere una mattina come paziente, circa un anno e mezzo fa.
Una mattina di poco tempo fa suona il telefono del 118; "Andate a XXX, giallo, donna con crisi epilettica".
"Sarà Rosa Rossi" dico alla mia squadra, dimenticando per qualche secondo che loro non erano con me quella mattina di "molto" tempo fa.
Ci dirigiamo velocemente sul luogo dell'evento, e quando la vedo per terra la riconosco subito, è davvero Rosa.
Non so spiegare perché mi sia rimasto impresso proprio il suo nome, probabilmente sarà che siamo compaesane, pur senza conoscerci davvero.
La troviamo distesa per terra, con una coperta a proteggerle la testa, non è lucidissima.
"E' entrata qui negli uffici già disorientata, aveva già lo zigomo gonfio, e s'è accasciata per terra e ha avuto la crisi! Nella borsa ha il tesserino, ho seguito le istruzioni e vi ho chiamati!" mi dice frettolosamente un'impiegata dell'ufficio pubblico dove ci troviamo
"Capisco, ha avuto una sola crisi?" domando, e due secondi dopo ecco che Rosa viene travolta di nuovo dalle convulsioni.
Essendoci già preparati, riusciamo senza difficoltà ad infilarle il cuneo tra i denti, e restiamo pronti con l'aspiratore qualora ce ne fosse bisogno, cercando di evitarle di sbattere la testa con violenza contro il pavimento.
La crisi dura alcuni interminabili secondi, dopodiché Rosa si riprende.
E' stordita, disorientata.
Le prendiamo i parametri, e cerchiamo di capire se quello zigomo gonfio sia o meno il risultato di una rovinosa caduta.
In pochi minuti, Rosa sembra riprendere coscienza e riesce con fatica a spiegarci di essere precedentemente svenuta, e non sa come sia arrivata dentro l'ufficio.
Mentre chiamo la Centrale Operativa per comunicare la situazione, i miei colleghi sistemano Rosa per caricarla in ambulanza.
Ci viene assegnato un codice verde verso l'ospedale dove la signora è in cura.
In pochi minuti la carichiamo in ambulanza, e la mia collega nonché quarto in addestramento mi dice "Guarda, quando inizia a stringere le mani, la crisi sta arrivando...l'ho notato mentre le sistemavi la coperta per proteggere la testa prima!"
Stavo tenendo la mano di Rosa in quel momento quando sento che inizia a stringerla e a perdere conoscenza.
Siamo già posizionati, cuneo e aspiratore pronti, Rosa ha un'altra crisi, questa volta più breve, ma comunque molto intensa.
Richiamo la Centrale, comunicando l'evoluzione della situazione, e ci viene assegnato un codice giallo.
Partiamo spediti, Rosa non recupera lucidità in tempo perché circa cinque minuti dopo mi stringe nuovamente la mano, perde conoscenza e ha una quarta crisi.
Dopo questa, Rosa è completamente esausta.
Con fatica si lamenta del dolore al collo provocato sia dalla caduta sia dalle convulsioni, ma applicarle il collare cervicale è impossibile e su consiglio della C.O. le proteggiamo il capo senza la costrizione del suddetto presidio.
Le continuo a tenere la mano, sia per rassicurarla sia per monitorarla.
In breve arriviamo in ospedale, dove la conoscono molto bene, e viene presa in carico subito dagli infermieri del triage.
"Cavoli, avevi ragione, era davvero la stessa signora di cui parlavi mentre stavamo uscendo!" mi dice la mia collega "Ti è proprio rimasta, nè?"
"Già, sarà che è giovane, sarà che abitiamo nello stesso posto..." rispondo sistemando la barella
"Chissà se lei si ricorda di te!" mi dice sempre la mia collega, mentre rientriamo
In tutto questo casino, non credo proprio che Rosa si sia ricordata di me, a malapena ricordava dov'era...in compenso credo che io non mi dimenticherò di lei tanto presto.
lunedì 30 aprile 2012
mercoledì 25 aprile 2012
Soccorso di persona
Ho imparato il significato dell'espressione "soccorso di persona" approssimativamente attorno alle 3.30 di una domenica notte.
Il telefono col suo diabolico squillo sveglia tutti, tranne me che per fortuna non ci dormo mai vicino proprio perché ho un sonno particolarmente profondo (e, se ve lo state chiedendo, anche piuttosto silenzioso).
Il nostro quarto nonché occupante della non proprio contesissima postazione accanto al telefono mi dà il foglio della missione in mano dicendo: "Giallo a XXX, per soccorso di persona, in supporto per voi i Vigili del Fuoco".
Non troppo convinta guardo lei e gli altri, espletando l'unico pensiero che al momento ho avuto sentendo quell'espressione "scommettiamo che è un tentato suicidio?".
Sempre dubbiosi, ci avviamo verso il target che raggiungiamo poco dopo.
In loco ci sono già i Vvf; scendiamo, ci troviamo davanti ad una palazzina discretamente alta, tutto tace, intorno a noi il silenzio di una delle più normali notti di provincia.
"Ma...sapete esattamente per cosa siamo qui?" domando al caposquadra dei Vvf, che non troppo convinto mi dice "pensavamo lo sapeste voi"
Ci guardiamo dubbiosi, e iniziamo a cercare il cognome di riferimento sui citofoni.
Suoniamo.
Qualcuno apre il cancelletto, poi il silenzio.
Ci addentriamo nel buio che avvolge il palazzo, fino alla porta che apre la via alla tromba delle scale, anch'essa chiusa.
Suoniamo.
Niente.
Dopo qualche esitazione, i Vvf la forzano e possiamo entrare...peccato che non sapevamo né chi cercare né dove, e considerata la sospetta urgenza della situazione decido di chiamare in Centrale per avere più informazioni, il tutto mentre correvamo su dalle scale.
"Tranquilla, non ti agitare!" mi dice l'Operatore
"Permetti che ho il fiatone dopo 3 rampe di scale di corsa? Non trovo l'utente e non so nemmeno perché sono qui! Non sono agitata, ma mi scoccia non sapere! E' legittimo!"
"Guarda sono al telefono con l'utente, siete arrivati anche voi? Gli ho detto di aprire la porta..." mi dice nell'istante in cui arriviamo davanti ad una porta spalancata.
"Si, trovato, grazie" dico, e riaggancio.
Entriamo nell'appartamento, c'era uno strano odore, come di gas.
I Vvf mettono in sicurezza il posto, il gas viene chiuso, le finestre aperte.
Abbiamo davanti Lara, 35 anni, col viso rigato dalle lacrime, e Gigi, anagraficamente non troppo distante da Lara, che è visibilmente agitato.
"Che succede?" domando ai due, mentre Lara si siede su una sedia nella piccola cucina e Gigi resta in piedi dietro le mie spalle.
Lei piange, sul tavolo c'è una bottiglia di vino quasi vuota e una confezione di antidepressivi, vuota anch'essa.
"Avanti, diglielo!" dice Gigi "Spiega cos'è successo, almeno possono aiutarti!"
"Io...Io non volevo" inizia Lara singhiozzante "ma è un periodo difficile, ho toccato il fondo e non riesco a risalire..."
"Lara, hai preso qualcuna delle cose che ci sono su questo tavolo?" le domando con calma
"Ho preso 12 pastiglie di questo!" mi dice prendendo la confezione di antidepressivi "e le ho buttate giù con un bicchiere di vino!"
"Capisco...non hai preso nient'altro?" le chiedo ancora
"No..." e ricomincia a piangere "Sono anche ammalata, tutto a me succede! Io così non ce la faccio!"
"Ascolta Lara, adesso i miei colleghi devono prenderti due parametri, giusto per vedere come va; tu come ti senti?"
"Ho sonno...e ho la nausea! Ma domani devo andare in ospedale per una visita, come faccio?" mi domanda, iniziando a diventare nervosa "vede, nella borsa ho tutto" dice frugando nella borsa, e facendo cadere tutto a terra a causa della mancanza di forze.
"Si non preoccuparti, adesso ci pensiamo noi, tu però stai lì ferma e per qualsiasi cosa ci chiami" le dico, cercando di rassicurarla
Prendiamo i parametri, leggo la sua documentazione per farmi un'idea e richiamo la Centrale.
"Ah, quindi ne ha prese 12 di pillole? Noi sapevamo 18..." mi dice l'Operatore
"Quindi sapevate?" domando interdetta, non capendo il senso di quel "soccorso di persona" quando sapevamo bene per cosa saremmo dovuti intervenire
"Si, comunque caricatela e portatela in verde a XXX, grazie"
"Ok" e riaggancio
Mentre ritorno in cucina, faccio caso all'ambiente in cui ci troviamo...sembra un piccolo santuario di una famiglia andata in pezzi.
Come da accordi, la portiamo giù con la sedia portantina e la carichiamo in ambulanza, dove ci alterniamo a cercare di tenerla sveglia fino all'arrivo in PS.
Tra un singhiozzo e l'altro, ci spiega di non aver chiamato il 118, ma comprendiamo da soli che le sue intenzioni di farla finita non erano propriamente vere; forse all'inizio, ma sicuramente deve aver avuto paura o quanto meno ci deve aver ripensato in tempi incredibilmente brevi...del resto ci sono ferite che non si possono medicare, traumi per cui non bastano una tavola spinale o un collarino, ma esiste anche una forza interiore che spesso e volentieri si dimentica e che potrebbe risultare più utile di una qualsiasi ambulanza.
Che fosse questo il vero significato di "soccorso di persona"?
Il telefono col suo diabolico squillo sveglia tutti, tranne me che per fortuna non ci dormo mai vicino proprio perché ho un sonno particolarmente profondo (e, se ve lo state chiedendo, anche piuttosto silenzioso).
Il nostro quarto nonché occupante della non proprio contesissima postazione accanto al telefono mi dà il foglio della missione in mano dicendo: "Giallo a XXX, per soccorso di persona, in supporto per voi i Vigili del Fuoco".
Non troppo convinta guardo lei e gli altri, espletando l'unico pensiero che al momento ho avuto sentendo quell'espressione "scommettiamo che è un tentato suicidio?".
Sempre dubbiosi, ci avviamo verso il target che raggiungiamo poco dopo.
In loco ci sono già i Vvf; scendiamo, ci troviamo davanti ad una palazzina discretamente alta, tutto tace, intorno a noi il silenzio di una delle più normali notti di provincia.
"Ma...sapete esattamente per cosa siamo qui?" domando al caposquadra dei Vvf, che non troppo convinto mi dice "pensavamo lo sapeste voi"
Ci guardiamo dubbiosi, e iniziamo a cercare il cognome di riferimento sui citofoni.
Suoniamo.
Qualcuno apre il cancelletto, poi il silenzio.
Ci addentriamo nel buio che avvolge il palazzo, fino alla porta che apre la via alla tromba delle scale, anch'essa chiusa.
Suoniamo.
Niente.
Dopo qualche esitazione, i Vvf la forzano e possiamo entrare...peccato che non sapevamo né chi cercare né dove, e considerata la sospetta urgenza della situazione decido di chiamare in Centrale per avere più informazioni, il tutto mentre correvamo su dalle scale.
"Tranquilla, non ti agitare!" mi dice l'Operatore
"Permetti che ho il fiatone dopo 3 rampe di scale di corsa? Non trovo l'utente e non so nemmeno perché sono qui! Non sono agitata, ma mi scoccia non sapere! E' legittimo!"
"Guarda sono al telefono con l'utente, siete arrivati anche voi? Gli ho detto di aprire la porta..." mi dice nell'istante in cui arriviamo davanti ad una porta spalancata.
"Si, trovato, grazie" dico, e riaggancio.
Entriamo nell'appartamento, c'era uno strano odore, come di gas.
I Vvf mettono in sicurezza il posto, il gas viene chiuso, le finestre aperte.
Abbiamo davanti Lara, 35 anni, col viso rigato dalle lacrime, e Gigi, anagraficamente non troppo distante da Lara, che è visibilmente agitato.
"Che succede?" domando ai due, mentre Lara si siede su una sedia nella piccola cucina e Gigi resta in piedi dietro le mie spalle.
Lei piange, sul tavolo c'è una bottiglia di vino quasi vuota e una confezione di antidepressivi, vuota anch'essa.
"Avanti, diglielo!" dice Gigi "Spiega cos'è successo, almeno possono aiutarti!"
"Io...Io non volevo" inizia Lara singhiozzante "ma è un periodo difficile, ho toccato il fondo e non riesco a risalire..."
"Lara, hai preso qualcuna delle cose che ci sono su questo tavolo?" le domando con calma
"Ho preso 12 pastiglie di questo!" mi dice prendendo la confezione di antidepressivi "e le ho buttate giù con un bicchiere di vino!"
"Capisco...non hai preso nient'altro?" le chiedo ancora
"No..." e ricomincia a piangere "Sono anche ammalata, tutto a me succede! Io così non ce la faccio!"
"Ascolta Lara, adesso i miei colleghi devono prenderti due parametri, giusto per vedere come va; tu come ti senti?"
"Ho sonno...e ho la nausea! Ma domani devo andare in ospedale per una visita, come faccio?" mi domanda, iniziando a diventare nervosa "vede, nella borsa ho tutto" dice frugando nella borsa, e facendo cadere tutto a terra a causa della mancanza di forze.
"Si non preoccuparti, adesso ci pensiamo noi, tu però stai lì ferma e per qualsiasi cosa ci chiami" le dico, cercando di rassicurarla
Prendiamo i parametri, leggo la sua documentazione per farmi un'idea e richiamo la Centrale.
"Ah, quindi ne ha prese 12 di pillole? Noi sapevamo 18..." mi dice l'Operatore
"Quindi sapevate?" domando interdetta, non capendo il senso di quel "soccorso di persona" quando sapevamo bene per cosa saremmo dovuti intervenire
"Si, comunque caricatela e portatela in verde a XXX, grazie"
"Ok" e riaggancio
Mentre ritorno in cucina, faccio caso all'ambiente in cui ci troviamo...sembra un piccolo santuario di una famiglia andata in pezzi.
Come da accordi, la portiamo giù con la sedia portantina e la carichiamo in ambulanza, dove ci alterniamo a cercare di tenerla sveglia fino all'arrivo in PS.
Tra un singhiozzo e l'altro, ci spiega di non aver chiamato il 118, ma comprendiamo da soli che le sue intenzioni di farla finita non erano propriamente vere; forse all'inizio, ma sicuramente deve aver avuto paura o quanto meno ci deve aver ripensato in tempi incredibilmente brevi...del resto ci sono ferite che non si possono medicare, traumi per cui non bastano una tavola spinale o un collarino, ma esiste anche una forza interiore che spesso e volentieri si dimentica e che potrebbe risultare più utile di una qualsiasi ambulanza.
Che fosse questo il vero significato di "soccorso di persona"?
giovedì 19 aprile 2012
Lazzaro, alzati e cammina!
Oggi mi sento critica.
In realtà è un periodo così, ma ultimamente ho l'impressione di essere più intollerante.
Di recente mi sono capitati sott'occhio i due trafiletti rispettivamente della Gazzetta dello Sport e del Corriere della sera, dove spiegavano come SECONDO LORO si tratta un paziente in ACC.
Ora, io non ho la scienza infusa né sono un medico o un infermiere, però da soccorritore leggendo questi trafiletti ho avuto un brivido: ho trovato pazzesco che due dei giornali più letti abbiano pubblicato con superficialità una spiegazione che non avrebbe senso nemmeno in una serie tv dove i pazienti resuscitano miracolosamente.
Sarebbe bastato fare una minima ricerca su Google per scrivere qualcosa di davvero utile e corretto.
L'ignoranza è una brutta bestia, e i danni che fa sono ben noti a tutti.
In questi casi basterebbe davvero poco per fare tanto; sappiamo tutti quanto siano importanti la tempestività dell'intervento e la corretta esecuzione delle manovre.
E' così difficile da capire?
Non è una domanda retorica o sarcastica...sono seria, non riesco a capire davvero perché bisogna arrivare al punto di vedere pubblicate queste scempiaggini su un giornale sportivo (!!!) e su un quotidiano nazionale (!!!!!!!).
Mi sembra una gara a chi la spara più grossa.
E gli autori di quegli aborti letterari? Qualcuno dovrà pur aver partorito quelle vignette, no? Al che mi chiedo: possibile che non sia venuto in mente a nessuno di verificare (o quanto meno, di googlare?)?
Non starò a postarle, non le ho fotografate, ma sono sicura che vi saranno passate sott'occhio, almeno una delle due.
Se avete risposte esaurienti a questi miei dubbi, vi prego, illuminatemi d'immenso perché al momento vago in una selva oscura.
In realtà è un periodo così, ma ultimamente ho l'impressione di essere più intollerante.
Di recente mi sono capitati sott'occhio i due trafiletti rispettivamente della Gazzetta dello Sport e del Corriere della sera, dove spiegavano come SECONDO LORO si tratta un paziente in ACC.
Ora, io non ho la scienza infusa né sono un medico o un infermiere, però da soccorritore leggendo questi trafiletti ho avuto un brivido: ho trovato pazzesco che due dei giornali più letti abbiano pubblicato con superficialità una spiegazione che non avrebbe senso nemmeno in una serie tv dove i pazienti resuscitano miracolosamente.
Sarebbe bastato fare una minima ricerca su Google per scrivere qualcosa di davvero utile e corretto.
L'ignoranza è una brutta bestia, e i danni che fa sono ben noti a tutti.
In questi casi basterebbe davvero poco per fare tanto; sappiamo tutti quanto siano importanti la tempestività dell'intervento e la corretta esecuzione delle manovre.
E' così difficile da capire?
Non è una domanda retorica o sarcastica...sono seria, non riesco a capire davvero perché bisogna arrivare al punto di vedere pubblicate queste scempiaggini su un giornale sportivo (!!!) e su un quotidiano nazionale (!!!!!!!).
Mi sembra una gara a chi la spara più grossa.
E gli autori di quegli aborti letterari? Qualcuno dovrà pur aver partorito quelle vignette, no? Al che mi chiedo: possibile che non sia venuto in mente a nessuno di verificare (o quanto meno, di googlare?)?
Non starò a postarle, non le ho fotografate, ma sono sicura che vi saranno passate sott'occhio, almeno una delle due.
Se avete risposte esaurienti a questi miei dubbi, vi prego, illuminatemi d'immenso perché al momento vago in una selva oscura.
*Non starò a polemizzare anche
sull'assenza dei defibrillatori nei campi,
su come sono state effettuate le manovre etc
perchè altrimenti mi perderei in qualcosa
che è già stato largamente discusso.
Forse anche questo post sarà roba "trita e ritrita",
ma la tematica dell'informazione mi sta a cuore,
l'avrete capito da soli.
mercoledì 18 aprile 2012
In realtà ero un po' dubbiosa all'inizio, ma poi mi sono detta: "lanciamoci".
In fin dei conti la mia intenzione è condividere le mie esperienze da soccorritore, e Twitter mi sembra quello che fa al caso mio.
Non è la prima volta che scrivo un blog, ma è la prima volta che scriverlo mi appassiona tanto.
Forse perchè una volta tanto scrivo di qualcosa sulla quale ho sempre da dire...? No, la verità è che ho sempre da dire un po' su tutto, l'avrete capito da soli che sono una che parla.
Il punto è proprio la passione: fin da quando ero una bambina ho sempre desiderato scrivere un libro.
Che mi crediate o meno (e qualcosa mi dice che non faticherete a credermi), ho imparato prima a parlare e dopo a camminare, e tutta questa "spinta verbale" l'ho convertita nella scrittura man mano.
Ho provato svariate volte a scrivere un libro, ma ho sempre fallito miseramente trovandomi sempre nel vicolo cieco della noia dove la storia che partorivo non appassionava neanche me.
Poi ho provato coi blog, ed è andata meglio, ma mancava sempre qualcosa, tanto che alla fine li ho chiusi tutti dopo qualche anno di attività.
Ero quasi rassegnata al fatto che non avrei mai scritto qualcosa che soddisfacesse anche me, fin quando ho avuto la bacatissima idea di scrivere della mia passione.
Come già vi ho detto nei primi post, io sono una che perde facilmente interesse per le cose; la passione crescente che anima la mia attività di volontario e soccorritore è una cosa nuova, non ho mai sperimentato un interesse crescente e costante per così tanto tempo.
E' qualcosa di più della semplice gratificazione che può dare un'attività, e così ho deciso di aprire questo blog un po' per gioco un po' per sfida, per cercare di spiegare e condividere questa mia esperienza.
Per la stessa ragione ho deciso di inaugurare un paio di segnalibri in più, perchè se lo scopo è condividere penso sia carino anche farmi conoscere un po'...non ve ne frega niente? Amen, ormai è fatta!
sabato 14 aprile 2012
Fuga di gas...e dalle canzonette
Sono circa le 15 quando il telefono del 118 suona, e le istruzioni che ci danno ci lasciano un po' perplessi: "andate in giallo a XXX (paese vicino), ma senza far troppo casino, fuga di gas in un palazzo e persona chiusa in casa che non risponde, non suonate campanelli nè chiamate nessuno, in supporto per voi i Vigili del Fuoco, aspettate loro prima di entrare dentro il palazzo. Quando siete là date un'occhiata ditemi cosa vedete stando fuori".
"Giallo, ma non troppo" dico perplessa all'autista della mia squadra, che mi guarda interrogativamente
"Tipo?" mi chiede
"Tipo che arriviamo là prima che possiamo, ma a 100mt spegnamo la sirena, giusto per precauzione" gli dico
"Ricevuto!" e partiamo.
Raggiungiamo la destinazione poco dopo, spegnamo le sirene quando il navigatore ci segnala che siamo a circa 150mt dal luogo dell'evento, e cerchiamo di avvistare i Vvf, che però non si vedono.
Tutto tace.
Siamo davanti ad un complesso di tre palazzoni, non avevamo nessuna indicazione a riguardo, così decido di andare in esplorazione, e appena vedo una signora che sta uscendo dal garage sotterraneo in macchina la fermo.
"Buongiorno signora, siamo dell'ambulanza, mi sa dire dove sono gli utenti che ci hanno chiamati?" le chiedo
"Io non sono un portinaio! Non vede che c'è una porta aperta nel palazzo a 50mt da qui? C'erano anche quelli del gas, sarà là! Io che ne so!" mi risponde seccata
"D'accordo, grazie" le dico, non capendo il motivo di tanta scortesia, e mi spingo fino al palazzone indicatomi.
Individuati quelli della società del gas, vedo anche un gruppo di tre persone che mi fa segno.
"Venga! E' di qua, ultimo piano!" mi dicono con aria un po' preoccupata
"Mi dispiace, ma non posso far entrare la mia squadra se non sono sicura che qui sia tutto a posto" mi scuso con gli astanti, e mi rivolgo a quelli della società del gas "Com'è la situazione?"
"Non c'è bisogno dei Vvf, abbiamo messo noi in sicurezza il palazzo, tubature chiuse e finestre aperte" mi dice l'addetto
"E la persona chiusa in appartamento?" domando
"E' di sopra col mio collega, dovreste dargli un'occhiatina secondo me..." mi dice un po' perplesso
Faccio segno alla mia squadra di avvicinarsi con tutta l'attrezzatura, e chiamo la Centrale per informare della situazione.
"Perfetto, allora entrate, i Vvf sono stati richiamati visto che abbiamo già parlato con quelli della società del gas e hanno messo in sicurezza l'edificio, appena hai qualche altra informazione sulla persona dell'appartamento richiamami" mi dice l'operatore.
Saliamo le scale, c'è un tremendo odore di gas nella tromba delle scale, e in alto davanti alla soglia dell'appartamento incriminato l'odore è quasi insopportabile.
Arriviamo al pianerottolo, e vediamo che lì ad aspettarci ci sono due persone: Alessandro, della società del gas, e il signor Egidio, il proprietario dell'appartamento le cui tubature perdevano.
"Oh mamma, mo pure i dottori mi hanno mandato!" esordisce Egidio, con tono canzonatorio
"Buon giorno! Mi spiace, ma noi non siamo medici, siamo quelli dell'ambulanza, siamo venuti a verificare che lei stia bene" gli dico tranquillamente "entriamo in casa, che l'odore lì dentro è meno forte, così ci sediamo e facciamo due chiacchiere, ok?"
"Se lo dice lei..." mi risponde, e sempre senza prendermi sul serio entra e si siede su una delle sedie poste all'ingresso.
Io e squadra, appena messo piede dentro casa di Egidio, abbiamo un sussulto: mai visto ambiente tanto malsano.
"Il signor Egidio ci ha aperto solo dopo svariati minuti che insistevamo, diceva che stava leggendo e che non ci ha aperto perchè credeva che fossero i ragazzini che volevano fargli uno scherzo" mi spiega Alessandro "qui abbiamo aperto tutto, ma il gas ancora non è uscito, ci vorrà ancora un po'....poco dopo che abbiamo chiuso le tubature e gli abbiamo tolto anche la corrente, ha cercato di farsi un caffè!! Roba che se ci avesse pensato pochi minuti prima, voi avreste avuto un bel da fare"
Ci guardiamo un attimo in giro: la casa non è mai stata pulita, c'era polvere e sporcizia ovunque, montagne di libri e giornali per terra coprivano persino un tavolo, il bagno pieno di ruggine e rifiuti non ben identificati, la moquette della camera tutta staccata dal pavimento si perdeva in onde piene di polvere e terra, il letto della camera era per metà coperto di libri e giornali e abiti sporchi, l'altra metà dove dormiva Egidio era più o meno libera.
Tutti e quattro, parlandone a fine missione, abbiamo partorito lo stesso pensiero in quel momento: se non mi becco qualcosa qui, non mi ammalerò mai più.
Egidio non prende sul serio me e colleghi, così cerco di farmi dire quanto più possibile senza essere troppo "seria", in modo da farmi almeno un'idea di chi ho davanti.
Ha 84 anni, da 23 anni ha una macchina in garage che non usa, abita in questo appartamento da 10 anni (in cui probabilmente non ha mai pulito), e l'ultima volta che è andato dal medico era appena ventenne.
"Io in ospedale non ci vengo, signorina, non prendiamoci in giro, se vuole ci vada lei!" mi dice ridendo
"Ehehe Egidio, io sono qui per assicurarmi che lei stia bene e visto che casa sua al momento è piena di gas, io un giretto in ospedale per scrupolo lo farei, no?" gli dico
"No dai, non scherziamo, sto benissimo!" mi dice "Non avevate proprio di meglio da fare voi, eh? E dovete rompere le scatole a me! Ma non potete portarci qualcun'altro?" mi ripete ridendo
"Mettiamola così: se lei non viene a fare un giro in ospedale con me e i miei colleghi, finisce che mi mettono in galera, lo sa?" gli dico, non troppo seriamente
"Ah si? Oh mamma...no no, lei è così giovane! La gattabuia è brutta eh, io lo so, ci abitavo vicino! Va bene, verrò con voi..." mi dice rassegnato
Egidio sembra un professore universitario: nonostante la casa a rischio di contagio, lui è pulito e ben vestito, con tanto di giacca, dolcevita, pantaloni abbinati e un paio di scarpe confezionate a mano come ci racconta lui stesso...un vero signore.
Mentre avviso la C.O. di aver convinto il paziente a venire in ospedale, scegliamo la destinazione più vicina, e con la coda dell'occhio vedo che Egidio sta discutendo con i miei colleghi perchè lui vorrebbe fare le scale a piedi e che finché loro non tirano fuori le sue chiavi di casa, lui da lì non se ne và.
Il mio collega gli mostra che il mazzo di chiavi che già aveva in mano era quello giusto, ma Egidio sostiene che lo stia prendendo in giro, perchè anche se la chiave apre la serratura, in realtà, non è la chiave che cerca ma quella di scorta.
L'operatore della C.O. divertito, mi dice di condirlo via e farlo scendere sulla nostra sedia cardiopatica, come i miei colleghi stavano già facendo tra l'altro.
Con un escamotage lo mettono seduto, lo cinghiano e lo portano giù in barella mentre io mi assicuro che quelli della società del gas contattino l'amministratore del condominio segnalando la situazione, perchè Egidio ha sicuramente bisogno di aiuto, quanto meno per tornare a casa dall'ospedale.
Mentre portiamo Egidio in barella sull'ambulanza, dei bambini gli urlano ridendo "Addio! Addio!" e lui, facendogli un gesto molto eloquente, risponde "Vi piacerebbe! Ci vediamo presto, tranquilli che il sottoscritto torna!"
Durante il viaggio Egidio ci racconta di aver vissuto vicino ad un carcere per anni, e di essere scappato dalla città per non sentire le canzonette (che non abbiamo capito cosa fossero, in realtà).
Vaneggia sull'esistenza di una donna, che la mia collega riconosce come il personaggio di una pubblicità, a cui lui tiene molto e che ci dice essere davvero molto bella, e finisce a raccontarci di avere lontane parentele con gente della Val Camonica e il sangue tramandatogli è il vero segreto della longevità, proprio in virtù della storia del luogo.
"Si insomma, alla fine mi avete convinto a venire in ospedale...ma almeno sono sicuro che non denunciano la signorina?" chiede alla mia collega, indicandomi mentre compilo i documenti
"Si tranquillo Egidio, nessuno di noi va in prigione adesso che l'abbiamo portata qui a fare una visitina veloce" gli risponde la mia collega, e in pochi minuti arriviamo in ospedale.
"Poi tornerò a piedi" mi dice Egidio pensieroso "tutti i miei parenti abitano lontano...sennò torno in treno! Eh però ho dimenticato i biglietti a casa, non so nemmeno se ho abbastanza soldi!"
"Egidio, lei non torna a piedi, e possibilmente nemmeno in treno" gli dico "abbiamo già avvisato l'amministratore del palazzo, si metteranno d'accordo con l'ospedale per riportarla a casa!"
"Ah...ma lei lo sa che ho da 23 anni una macchina che non uso?" mi ripete
"Si Egidio, me l'ha già detto..." gli rispondo, e lui ricomincia a raccontare quanto ci stava dicendo durante il viaggio.
Lo prendono in carico in triage, dove sconcertati dalla sua situazione ci promettono che se ne prenderanno cura.
Ce ne andiamo poco dopo, salutando Egidio gli dico "mi raccomando, veda di non scappare dal PS!"
"Perchè? Sennò dopo danno la colpa a lei, signorina?" mi domanda divertito
"Diciamo di si, lo faccia per me e i miei colleghi, non si muova finchè non la chiamano!" gli dico sorridendo
"Eh va bene...non voglio mica farla andare in galera!" mi dice, e poco dopo inizia a chiacchierare con le persone in sala d'attesa.
Mi sto ancora domandando da quali canzonette sia fuggito Egidio, e se siano state proprio quelle canzonette a portarlo fino a qui...
"Giallo, ma non troppo" dico perplessa all'autista della mia squadra, che mi guarda interrogativamente
"Tipo?" mi chiede
"Tipo che arriviamo là prima che possiamo, ma a 100mt spegnamo la sirena, giusto per precauzione" gli dico
"Ricevuto!" e partiamo.
Raggiungiamo la destinazione poco dopo, spegnamo le sirene quando il navigatore ci segnala che siamo a circa 150mt dal luogo dell'evento, e cerchiamo di avvistare i Vvf, che però non si vedono.
Tutto tace.
Siamo davanti ad un complesso di tre palazzoni, non avevamo nessuna indicazione a riguardo, così decido di andare in esplorazione, e appena vedo una signora che sta uscendo dal garage sotterraneo in macchina la fermo.
"Buongiorno signora, siamo dell'ambulanza, mi sa dire dove sono gli utenti che ci hanno chiamati?" le chiedo
"Io non sono un portinaio! Non vede che c'è una porta aperta nel palazzo a 50mt da qui? C'erano anche quelli del gas, sarà là! Io che ne so!" mi risponde seccata
"D'accordo, grazie" le dico, non capendo il motivo di tanta scortesia, e mi spingo fino al palazzone indicatomi.
Individuati quelli della società del gas, vedo anche un gruppo di tre persone che mi fa segno.
"Venga! E' di qua, ultimo piano!" mi dicono con aria un po' preoccupata
"Mi dispiace, ma non posso far entrare la mia squadra se non sono sicura che qui sia tutto a posto" mi scuso con gli astanti, e mi rivolgo a quelli della società del gas "Com'è la situazione?"
"Non c'è bisogno dei Vvf, abbiamo messo noi in sicurezza il palazzo, tubature chiuse e finestre aperte" mi dice l'addetto
"E la persona chiusa in appartamento?" domando
"E' di sopra col mio collega, dovreste dargli un'occhiatina secondo me..." mi dice un po' perplesso
Faccio segno alla mia squadra di avvicinarsi con tutta l'attrezzatura, e chiamo la Centrale per informare della situazione.
"Perfetto, allora entrate, i Vvf sono stati richiamati visto che abbiamo già parlato con quelli della società del gas e hanno messo in sicurezza l'edificio, appena hai qualche altra informazione sulla persona dell'appartamento richiamami" mi dice l'operatore.
Saliamo le scale, c'è un tremendo odore di gas nella tromba delle scale, e in alto davanti alla soglia dell'appartamento incriminato l'odore è quasi insopportabile.
Arriviamo al pianerottolo, e vediamo che lì ad aspettarci ci sono due persone: Alessandro, della società del gas, e il signor Egidio, il proprietario dell'appartamento le cui tubature perdevano.
"Oh mamma, mo pure i dottori mi hanno mandato!" esordisce Egidio, con tono canzonatorio
"Buon giorno! Mi spiace, ma noi non siamo medici, siamo quelli dell'ambulanza, siamo venuti a verificare che lei stia bene" gli dico tranquillamente "entriamo in casa, che l'odore lì dentro è meno forte, così ci sediamo e facciamo due chiacchiere, ok?"
"Se lo dice lei..." mi risponde, e sempre senza prendermi sul serio entra e si siede su una delle sedie poste all'ingresso.
Io e squadra, appena messo piede dentro casa di Egidio, abbiamo un sussulto: mai visto ambiente tanto malsano.
"Il signor Egidio ci ha aperto solo dopo svariati minuti che insistevamo, diceva che stava leggendo e che non ci ha aperto perchè credeva che fossero i ragazzini che volevano fargli uno scherzo" mi spiega Alessandro "qui abbiamo aperto tutto, ma il gas ancora non è uscito, ci vorrà ancora un po'....poco dopo che abbiamo chiuso le tubature e gli abbiamo tolto anche la corrente, ha cercato di farsi un caffè!! Roba che se ci avesse pensato pochi minuti prima, voi avreste avuto un bel da fare"
Ci guardiamo un attimo in giro: la casa non è mai stata pulita, c'era polvere e sporcizia ovunque, montagne di libri e giornali per terra coprivano persino un tavolo, il bagno pieno di ruggine e rifiuti non ben identificati, la moquette della camera tutta staccata dal pavimento si perdeva in onde piene di polvere e terra, il letto della camera era per metà coperto di libri e giornali e abiti sporchi, l'altra metà dove dormiva Egidio era più o meno libera.
Tutti e quattro, parlandone a fine missione, abbiamo partorito lo stesso pensiero in quel momento: se non mi becco qualcosa qui, non mi ammalerò mai più.
Egidio non prende sul serio me e colleghi, così cerco di farmi dire quanto più possibile senza essere troppo "seria", in modo da farmi almeno un'idea di chi ho davanti.
Ha 84 anni, da 23 anni ha una macchina in garage che non usa, abita in questo appartamento da 10 anni (in cui probabilmente non ha mai pulito), e l'ultima volta che è andato dal medico era appena ventenne.
"Io in ospedale non ci vengo, signorina, non prendiamoci in giro, se vuole ci vada lei!" mi dice ridendo
"Ehehe Egidio, io sono qui per assicurarmi che lei stia bene e visto che casa sua al momento è piena di gas, io un giretto in ospedale per scrupolo lo farei, no?" gli dico
"No dai, non scherziamo, sto benissimo!" mi dice "Non avevate proprio di meglio da fare voi, eh? E dovete rompere le scatole a me! Ma non potete portarci qualcun'altro?" mi ripete ridendo
"Mettiamola così: se lei non viene a fare un giro in ospedale con me e i miei colleghi, finisce che mi mettono in galera, lo sa?" gli dico, non troppo seriamente
"Ah si? Oh mamma...no no, lei è così giovane! La gattabuia è brutta eh, io lo so, ci abitavo vicino! Va bene, verrò con voi..." mi dice rassegnato
Egidio sembra un professore universitario: nonostante la casa a rischio di contagio, lui è pulito e ben vestito, con tanto di giacca, dolcevita, pantaloni abbinati e un paio di scarpe confezionate a mano come ci racconta lui stesso...un vero signore.
Mentre avviso la C.O. di aver convinto il paziente a venire in ospedale, scegliamo la destinazione più vicina, e con la coda dell'occhio vedo che Egidio sta discutendo con i miei colleghi perchè lui vorrebbe fare le scale a piedi e che finché loro non tirano fuori le sue chiavi di casa, lui da lì non se ne và.
Il mio collega gli mostra che il mazzo di chiavi che già aveva in mano era quello giusto, ma Egidio sostiene che lo stia prendendo in giro, perchè anche se la chiave apre la serratura, in realtà, non è la chiave che cerca ma quella di scorta.
L'operatore della C.O. divertito, mi dice di condirlo via e farlo scendere sulla nostra sedia cardiopatica, come i miei colleghi stavano già facendo tra l'altro.
Con un escamotage lo mettono seduto, lo cinghiano e lo portano giù in barella mentre io mi assicuro che quelli della società del gas contattino l'amministratore del condominio segnalando la situazione, perchè Egidio ha sicuramente bisogno di aiuto, quanto meno per tornare a casa dall'ospedale.
Mentre portiamo Egidio in barella sull'ambulanza, dei bambini gli urlano ridendo "Addio! Addio!" e lui, facendogli un gesto molto eloquente, risponde "Vi piacerebbe! Ci vediamo presto, tranquilli che il sottoscritto torna!"
Durante il viaggio Egidio ci racconta di aver vissuto vicino ad un carcere per anni, e di essere scappato dalla città per non sentire le canzonette (che non abbiamo capito cosa fossero, in realtà).
Vaneggia sull'esistenza di una donna, che la mia collega riconosce come il personaggio di una pubblicità, a cui lui tiene molto e che ci dice essere davvero molto bella, e finisce a raccontarci di avere lontane parentele con gente della Val Camonica e il sangue tramandatogli è il vero segreto della longevità, proprio in virtù della storia del luogo.
"Si insomma, alla fine mi avete convinto a venire in ospedale...ma almeno sono sicuro che non denunciano la signorina?" chiede alla mia collega, indicandomi mentre compilo i documenti
"Si tranquillo Egidio, nessuno di noi va in prigione adesso che l'abbiamo portata qui a fare una visitina veloce" gli risponde la mia collega, e in pochi minuti arriviamo in ospedale.
"Poi tornerò a piedi" mi dice Egidio pensieroso "tutti i miei parenti abitano lontano...sennò torno in treno! Eh però ho dimenticato i biglietti a casa, non so nemmeno se ho abbastanza soldi!"
"Egidio, lei non torna a piedi, e possibilmente nemmeno in treno" gli dico "abbiamo già avvisato l'amministratore del palazzo, si metteranno d'accordo con l'ospedale per riportarla a casa!"
"Ah...ma lei lo sa che ho da 23 anni una macchina che non uso?" mi ripete
"Si Egidio, me l'ha già detto..." gli rispondo, e lui ricomincia a raccontare quanto ci stava dicendo durante il viaggio.
Lo prendono in carico in triage, dove sconcertati dalla sua situazione ci promettono che se ne prenderanno cura.
Ce ne andiamo poco dopo, salutando Egidio gli dico "mi raccomando, veda di non scappare dal PS!"
"Perchè? Sennò dopo danno la colpa a lei, signorina?" mi domanda divertito
"Diciamo di si, lo faccia per me e i miei colleghi, non si muova finchè non la chiamano!" gli dico sorridendo
"Eh va bene...non voglio mica farla andare in galera!" mi dice, e poco dopo inizia a chiacchierare con le persone in sala d'attesa.
sabato 7 aprile 2012
Faber est suae quisque fortunae
Le storie che la gente ha da raccontare sono sempre incredibili, a volte non sembrano nemmeno vere.
Poco tempo fa ho dato disponibilità insieme ad un altro collega per effettuare un ricovero Casa di Riposo - Ospedale.
Arrivo alle 7 in sede, guardo il foglio del servizio e mi dicono che è un ricovero da effettuare in ambulanza, con paziente accompagnato dal padre.
Dal padre? Di solito non è il figlio che accompagna il padre ricoverato in CdR? Bah, avranno sbagliato a scrivere, penso mentre mi avvio col mio collega a prendere il signor Giulio.
Arriviamo in poco in CdR, dove veniamo accompagnati al secondo piano della struttura; entriamo nella camera indicataci, e troviamo un uomo sulla settantina che ci aspetta col cappello e la giacca.
"Buon giorno" ci dice sorridendo "lui è mio figlio Giulio" ci dice indicando il letto dove è disteso il corpo di un uomo al quale non riesco ad attribuire un'età.
E' tracheostomizzato , la forma del corpo è tipica dei pazienti che sono allettati da anni, l'infermiere col nostro aiuto lo solleva a peso morto e ce lo sistema sulla barella, dove lo copriamo e cinghiamo.
Una volta caricato in ambulanza, partiamo alla volta dell'ospedale.
Il mio collega è alla guida, mentre io sono seduta dietro insieme a Giulio e ad Antonio, suo padre.
"Lo so che si sta chiedendo come sia possibile che al suo posto non ci sia io, in fondo sono io quello vecchio" mi dice Antonio mentre sistema le coperte al figlio "ha solo 40 anni, ed è da 10 anni che è in questo stato...per una fatalità, una banale fatalità! Ma del resto la vita non guarda in faccia a nessuno, e se deve succederti qualcosa succede e basta, non crede anche lei? Stava tornando a casa in motorino, il casco non era ben allacciato ed è stato appena sfiorato da una macchina; tanto è bastato per farlo cadere a terra battendo la testa. E questo è il risultato" conclude con occhi lucidi "aveva un bel lavoro, era una persona molto attiva; mi sono promesso e gli ho promesso che mi sarei preso cura di lui e così sto facendo, ma sa con l'età a volte diventa difficile anche per me.".
Non sapendo bene cosa dire, decido di ascoltare in silenzio, non riuscendo ad evitare di guardare Giulio, il cui corpo attraversato da brevi spasmi, giace sulla barella.
Ha gli occhi aperti, ma lo sguardo è assente, eppure Antonio dice di avere una connessione speciale con il suo ragazzo, tanto che si occupa lui di prendersi cura di tutto.
Arriviamo in ospedale, dal quale riusciamo ad andarcene soltanto tre ore dopo, causa imprevisti vari ed eventuali.
"Certo che è stato davvero sfortunato" mi dice il mio collega, mentre torniamo indietro
"Già...il tutto per una banale fatalità, forse se si fosse allacciato meglio il casco, a quest'ora sarebbe potuto andare ancora al lavoro, avrebbe continuato la sua vita"
"Boh, sta di fatto che alla fine se deve succedere, succede e basta, e senza renderti conto ti ritrovi in un letto di una casa di riposo" mi dice "e noi non ci possiamo fare proprio niente, sarà destino?"
Io al destino non ci credo, ho sempre pensato che ognuno di noi è artefice del proprio domani e ho sempre agito di conseguenza, e non ho mai pensato di credere a qualcosa che per me non esiste, ma forse la verità è che non ho ancora sentito il bisogno di crederci, a prescindere dalla sua esistenza.
Forse credere ad un fantomatico destino aiuta a sopportare il peso degli eventi, a dare una spiegazione a qualcosa che non si riesce a gestire, ed il più delle volte quel qualcosa è il dolore.
Poco tempo fa ho dato disponibilità insieme ad un altro collega per effettuare un ricovero Casa di Riposo - Ospedale.
Arrivo alle 7 in sede, guardo il foglio del servizio e mi dicono che è un ricovero da effettuare in ambulanza, con paziente accompagnato dal padre.
Dal padre? Di solito non è il figlio che accompagna il padre ricoverato in CdR? Bah, avranno sbagliato a scrivere, penso mentre mi avvio col mio collega a prendere il signor Giulio.
Arriviamo in poco in CdR, dove veniamo accompagnati al secondo piano della struttura; entriamo nella camera indicataci, e troviamo un uomo sulla settantina che ci aspetta col cappello e la giacca.
"Buon giorno" ci dice sorridendo "lui è mio figlio Giulio" ci dice indicando il letto dove è disteso il corpo di un uomo al quale non riesco ad attribuire un'età.
E' tracheostomizzato , la forma del corpo è tipica dei pazienti che sono allettati da anni, l'infermiere col nostro aiuto lo solleva a peso morto e ce lo sistema sulla barella, dove lo copriamo e cinghiamo.
Una volta caricato in ambulanza, partiamo alla volta dell'ospedale.
Il mio collega è alla guida, mentre io sono seduta dietro insieme a Giulio e ad Antonio, suo padre.
"Lo so che si sta chiedendo come sia possibile che al suo posto non ci sia io, in fondo sono io quello vecchio" mi dice Antonio mentre sistema le coperte al figlio "ha solo 40 anni, ed è da 10 anni che è in questo stato...per una fatalità, una banale fatalità! Ma del resto la vita non guarda in faccia a nessuno, e se deve succederti qualcosa succede e basta, non crede anche lei? Stava tornando a casa in motorino, il casco non era ben allacciato ed è stato appena sfiorato da una macchina; tanto è bastato per farlo cadere a terra battendo la testa. E questo è il risultato" conclude con occhi lucidi "aveva un bel lavoro, era una persona molto attiva; mi sono promesso e gli ho promesso che mi sarei preso cura di lui e così sto facendo, ma sa con l'età a volte diventa difficile anche per me.".
Non sapendo bene cosa dire, decido di ascoltare in silenzio, non riuscendo ad evitare di guardare Giulio, il cui corpo attraversato da brevi spasmi, giace sulla barella.
Ha gli occhi aperti, ma lo sguardo è assente, eppure Antonio dice di avere una connessione speciale con il suo ragazzo, tanto che si occupa lui di prendersi cura di tutto.
Arriviamo in ospedale, dal quale riusciamo ad andarcene soltanto tre ore dopo, causa imprevisti vari ed eventuali.
"Certo che è stato davvero sfortunato" mi dice il mio collega, mentre torniamo indietro
"Già...il tutto per una banale fatalità, forse se si fosse allacciato meglio il casco, a quest'ora sarebbe potuto andare ancora al lavoro, avrebbe continuato la sua vita"
"Boh, sta di fatto che alla fine se deve succedere, succede e basta, e senza renderti conto ti ritrovi in un letto di una casa di riposo" mi dice "e noi non ci possiamo fare proprio niente, sarà destino?"
Io al destino non ci credo, ho sempre pensato che ognuno di noi è artefice del proprio domani e ho sempre agito di conseguenza, e non ho mai pensato di credere a qualcosa che per me non esiste, ma forse la verità è che non ho ancora sentito il bisogno di crederci, a prescindere dalla sua esistenza.
Forse credere ad un fantomatico destino aiuta a sopportare il peso degli eventi, a dare una spiegazione a qualcosa che non si riesce a gestire, ed il più delle volte quel qualcosa è il dolore.
martedì 3 aprile 2012
The show must go on
Le prime volte che uscivo come soccorritore, come già ho detto in altri post, pensavo che le cose più "pazzesche" che potessi vedere, le avrei viste sicuramente in qualche scenario apocalittico stile maxiemergenza.
Invece mi sbagliavo, eccome se mi sbagliavo.
Col tempo ho compreso che le cose più allucinanti succedono nella realtà di tutti i giorni, in quelle situazioni quotidiane che degenerano nonappena qualcosa ne turba l'equilibrio, dando vita a volte a dei veri e propri show.
Uno di questi episodi che è rimasto particolarmente impresso nella mia mente risale al primo anno di servizio della sottoscritta, quando ancora ero in modalità "quarto in addestramento", più noto come "quarto-sguattero".
Avevo sul groppo una mattinata intensa, il mio cambio non era arrivato e al suono del telefono del 118, sono stata letteralmente trascinata in ambulanza anche se di fatto, di me, non c'era esattamente bisogno.
Codice giallo, bambino investito da automobile in un paese vicino.
In pochi minuti arriviamo in posto, in spalla abbiamo mezza ambulanza, e la scena che ci troviamo davanti è la seguente: siamo in una vecchia corte, abitata da siciliani e napoletani i cui rapporti sono stati precari dal momento stesso dell'inizio della convivenza.
Un bambino, figlio della famiglia partenopea, ha attraversato la strada in bicicletta senza guardare, venendo appena toccato dalla macchina di uno dei vicini siculi che stava uscendo dalla corte.
L'impatto è stato lieve, ma sufficiente a far cadere per terra il piccolo, che se non ricordo male non aveva più di 10 anni.
Troviamo il bambino seduto su una sedia in cortile, mentre le due fazioni si stanno insultando arrivando quasi a mettersi le mani addosso.
Appena scendiamo dall'ambulanza, veniamo investiti da urla di ogni tipo, ognuno cerca di dire la sua, accusando gli altri.
Io sono rimasta qualche secondo a fissare la scena, che tanto sicura non mi sembrava.
Il caposquadra, molto tranquillamente, cerca di farsi spiegare l'antefatto mentre io e gli altri due ci occupiamo del bambino, che di fatto non aveva nulla a parte lo spavento, qualche escoriazione sulle ginocchia e sulle mani.
Il piccolo ci racconta di aver attraversato senza guardare perchè non ci aveva pensato, e un attimo dopo s'era ritrovato per terra vicino alla macchina, e aveva iniziato ad urlare.
L'investitore non avrebbe mai fatto in tempo a vedere il bimbo in bici, ma per fortuna uscendo di casa andava a passo d'uomo.
Appena resosi conto di aver invesito il bimbo, è sceso dalla macchina per sincerarsi delle sue condizioni, ma lui già urlava, ci dice mentre gli puliamo le ferite, e da lì è partita tutta la rissa verbale tra vicini di casa.
Per precauzione gli mettiamo il collarino e poco dopo vengo mandata a rassicurare la madre che piangeva talmente tanto che mi aspettavo collassasse da un momento all'altro.
Non capisco una sola parola di quello che la signora mi dice, ma me la vedo brutta quando comincia a puntare il dito contro l'investitore, circondato dalla propria famiglia.
Ho cercato di calmarla, e mi sono presa parole perchè "difendevo il colpevole", quando invece cercavo semplicemente di evitare che scoppiasse una rissa.
Mentre sistemiamo con non poca fatica il bimbo e la mamma in ambulanza, arriva anche la Polizia Locale, e gli animi sembrano accendersi ancora di più: se i due della Locale non si fossero imposti, sicuramente la situazione sarebbe degenerata e avrebbero coinvolto anche noi, che tanto ben visti al momento non eravamo.
Molto velocemente, presi dati e documenti, partiamo alla volta dell'ospedale.
Mi spiace non aver riportato le conversazioni, come mi piace fare, ma in questa occasione avrei dovuto fare un uso eccessivo di parolacce, insulti vari ed eventuali e anche di svariate imprecazioni, così ho preferito raccontarvi l'episodio in modo un po' più stringato.
Quando lasciammo il bimbo e la mamma in ospedale, ripensando alla scena, ancora non riuscivo a credere di aver davvero assistito ad uno spettacolo simile.
Invece mi sbagliavo, eccome se mi sbagliavo.
Col tempo ho compreso che le cose più allucinanti succedono nella realtà di tutti i giorni, in quelle situazioni quotidiane che degenerano nonappena qualcosa ne turba l'equilibrio, dando vita a volte a dei veri e propri show.
Uno di questi episodi che è rimasto particolarmente impresso nella mia mente risale al primo anno di servizio della sottoscritta, quando ancora ero in modalità "quarto in addestramento", più noto come "quarto-sguattero".
Avevo sul groppo una mattinata intensa, il mio cambio non era arrivato e al suono del telefono del 118, sono stata letteralmente trascinata in ambulanza anche se di fatto, di me, non c'era esattamente bisogno.
Codice giallo, bambino investito da automobile in un paese vicino.
In pochi minuti arriviamo in posto, in spalla abbiamo mezza ambulanza, e la scena che ci troviamo davanti è la seguente: siamo in una vecchia corte, abitata da siciliani e napoletani i cui rapporti sono stati precari dal momento stesso dell'inizio della convivenza.
Un bambino, figlio della famiglia partenopea, ha attraversato la strada in bicicletta senza guardare, venendo appena toccato dalla macchina di uno dei vicini siculi che stava uscendo dalla corte.
L'impatto è stato lieve, ma sufficiente a far cadere per terra il piccolo, che se non ricordo male non aveva più di 10 anni.
Troviamo il bambino seduto su una sedia in cortile, mentre le due fazioni si stanno insultando arrivando quasi a mettersi le mani addosso.
Appena scendiamo dall'ambulanza, veniamo investiti da urla di ogni tipo, ognuno cerca di dire la sua, accusando gli altri.
Io sono rimasta qualche secondo a fissare la scena, che tanto sicura non mi sembrava.
Il caposquadra, molto tranquillamente, cerca di farsi spiegare l'antefatto mentre io e gli altri due ci occupiamo del bambino, che di fatto non aveva nulla a parte lo spavento, qualche escoriazione sulle ginocchia e sulle mani.
Il piccolo ci racconta di aver attraversato senza guardare perchè non ci aveva pensato, e un attimo dopo s'era ritrovato per terra vicino alla macchina, e aveva iniziato ad urlare.
L'investitore non avrebbe mai fatto in tempo a vedere il bimbo in bici, ma per fortuna uscendo di casa andava a passo d'uomo.
Appena resosi conto di aver invesito il bimbo, è sceso dalla macchina per sincerarsi delle sue condizioni, ma lui già urlava, ci dice mentre gli puliamo le ferite, e da lì è partita tutta la rissa verbale tra vicini di casa.
Per precauzione gli mettiamo il collarino e poco dopo vengo mandata a rassicurare la madre che piangeva talmente tanto che mi aspettavo collassasse da un momento all'altro.
Non capisco una sola parola di quello che la signora mi dice, ma me la vedo brutta quando comincia a puntare il dito contro l'investitore, circondato dalla propria famiglia.
Ho cercato di calmarla, e mi sono presa parole perchè "difendevo il colpevole", quando invece cercavo semplicemente di evitare che scoppiasse una rissa.
Mentre sistemiamo con non poca fatica il bimbo e la mamma in ambulanza, arriva anche la Polizia Locale, e gli animi sembrano accendersi ancora di più: se i due della Locale non si fossero imposti, sicuramente la situazione sarebbe degenerata e avrebbero coinvolto anche noi, che tanto ben visti al momento non eravamo.
Molto velocemente, presi dati e documenti, partiamo alla volta dell'ospedale.
Mi spiace non aver riportato le conversazioni, come mi piace fare, ma in questa occasione avrei dovuto fare un uso eccessivo di parolacce, insulti vari ed eventuali e anche di svariate imprecazioni, così ho preferito raccontarvi l'episodio in modo un po' più stringato.
Quando lasciammo il bimbo e la mamma in ospedale, ripensando alla scena, ancora non riuscivo a credere di aver davvero assistito ad uno spettacolo simile.
Iscriviti a:
Post (Atom)