5.36 di mattina, dormiamo da circa un'oretta perché appena rientrati da un'uscita, quando la stanza da letto si illumina a giorno.
"Che c'è?" chiedo un po' stordita
Le mie due colleghe se la ridono "Dai dai che dobbiamo uscire, è suonato! Possibile che non hai sentito?"
"Eh no..." biascico con difficoltà, mettendomi a sedere sul letto e notando che in effetti il nostro collega nonché ometto dell'equipe si era fiondato a prendere il foglio del servizio
"Verde, anziana caduta in casa" dice mentre scendiamo verso l'ambulanza, brr che freddo!
"Caduta? Adesso? Ma dico...che ti alzi a fare a quest'ora??? Stare sotto le coperte è meglio!" domando rassegnata
L'indirizzo sulla scheda è sbagliato, ci ritroviamo in una via dal nome similare e poco dopo correggiamo il tiro solo perché, con stradario alla mano, essendo nel nostro paese, riconosciamo il cognome dell'utente e il fatto che nella via dove siamo al momento il numero civico in questione appartiene ad una casa disabitata.
Due uomini ci aspettano giù sulla strada.
"Venite, di qui!" ci dice il più anziano "Mia moglie è caduta, l'ho rimessa sul letto però ha dolore ovunque!"
Scendiamo dal mezzo e ci dirigiamo dentro la corte buia, e quando vediamo la scalinata che conduce all'appartamento ci lanciamo un'eloquentissima occhiata: scale quasi verticali, strette, semighiacchiate, con due angoli retti uno all'inizio e uno alla fine.
Ma bene.
Saliamo con cautela. "Sapete, le scale sono un po' ripide e ghiacciate..." ci dice il marito
"Ce ne siamo accorti..." risponde sconsolata la mia collega mentre entriamo in casa e troviamo Giusy, 75 anni, sdraiata in diagonale sul letto, che si lamenta per il dolore.
"Buongiorno, siamo dell'ambulanza signora! Che è successo?" domandiamo
"Ehh sono caduta! Mi sono alzata per mettermi la crema per i dolori sulle gambe...non volevo svegliare mio marito, e l'ho fatto da sola...ma siccome la metto anche sotto i piedi, quando mi son alzata sono scivolata! Ho battuto tutto!" ci dice contorcendosi un po', io mi giro per vedere di che crema si trattasse, e dubbiosa spero non sia quella che vedo accanto alla finestra che Giusy indica
"Ho capito...senta Giusy, adesso la tocchiamo per capire dove ha dolore, quando le facciamo male ce lo dica, ok?" le dico e inizio a fare il testa-piedi, riscontrando che la signora ha dolore in diversi punti della schiena fino al bacino.
L'unico modo per far uscire Giusy da quell'angusta camera da letto di quell'altrettanto minuscolo appartamento, è spinalizzarla.
"Spinale quindi" dice rassegnata la mia caposquadra
Noi ci guardiamo per qualche secondo: Giusy non è proprio un fuscello, diciamo, e siamo tre ragazze e un ragazzo, ma il vero problema sono le scale ghiacciate e strette.
"Ma anche no" ci diciamo in coro sottovoce guardando le scale e la mia CE chiama la Centrale riferendo la situazione di Giusy e specificando che "Vedi, scale ripide e ghiacciate, per farci passare la spinale dal primo angolo andrebbe messa in verticale, ci mandate i Vigili del Fuoco? Noi così non ci fidiamo a portarla giù".
Detto fatto, dopo circa una decina di minuti compaiono con nostra somma sorpresa i VVF, che con santa pazienza e difficoltà portano giù Giusy dalle scale.
Una volta caricata in ambulanza, compiliamo tutti i documenti e la mia collega mi dice sottovoce "Hai visto la crema?"
"Si...dici che s'è messa veramente quella?" domando
"Eh si...era l'unica crema che c'era nella stanza...santo cielo..."
Sospiriamo guardando Giusy che sta facendo un pisolino, non trovando altro modo di affrontare il fatto che siamo stati buttati giù dal letto per una signora che ha fatto un volo d'angelo dopo essersi cosparsa di crema anticellulite persino sotto i piedi.
Ci fa tenerezza in fondo, chissà se sa che quella non è una crema per i dolori, ma che al massimo cura gli inestetismi della cellulite!
giovedì 27 dicembre 2012
martedì 25 dicembre 2012
Auguri
Il link relativo lo trovate sulla mia pagina FB. :) |
Il mio augurio è rivolto a tutti, ma in particolare ai miei colleghi; non perché faccio differenze, ma perché il Natale per i soccorritori è come San Valentino per gli innamorati: è Natale ogni giorno, ogni turno insieme, ogni uscita, ogni servizio.
Magari durante l'anno non abbiamo palline e luci colorate, ma la questione non cambia.
Condividiamo momenti stupendi e momenti difficili ogni giorno, ci facciamo in quattro, dedichiamo tempo ed energie a tutto questo senza imposizioni perché in fondo lo "spirito Natalizio" noi lo viviamo 365 giorni all'anno...se poi ci sono le luci colorate e i panettoni, ancora meglio, no?
Quest'anno la mia sede ha dedicato un servizio meraviglioso di consegna pacchi ai bambini con Babbo Natale e i suoi aiutanti.
Essere un soccorritore non è solo "Sirene&Ambulanza", per fortuna.
E' un universo fatto di istanti che, nel bene e nel male, ognuno di noi porterà sempre con sé.
Buon Natale a tutti, ragazzi!
domenica 16 dicembre 2012
Rosso...anguria!
La cosa su cui mi piacerebbe insistere, e chi mi segue da un po' lo sa, è l'informazione, soprattutto della popolazione.
Spiegare alla gente QUANDO e soprattutto COME si deve chiamare il 118 sarebbe un grande aiuto anche per noi che con l'utente non ci relazioniamo, e tutto ciò che sappiamo ci viene detto in 30 secondi di telefonata (comprensiva anche di indirizzo e numero missioni, ergo fatevi voi i vostri conti) oppure da un foglio stampato tramite pc che contiene informazioni talmente sommarie che vogliono dire tutto e niente.
Non è sicuramente facile per un operatore di Centrale capire che cosa vuole la gente, però non è facile nemmeno per noi soccorritori uscire a volte senza nemmeno sapere a cosa bisognerà affrontare, ve lo garantisco.
E' vero, siamo pronti a tutto e dopo una certa esperienza che sia un verde o un rosso, l'approccio non cambia: concentrati e focalizzati sul colpo d'occhio iniziale, così alle domande a cui non abbiamo avuto risposta, ci rispondiamo da soli.
E' una sera d'estate, siamo accaldati, anche un po' stanchi perché reduci da altre due uscite abbastanza impegnative fisicamente, e non vedevamo l'ora di mangiarci una fetta d'anguria per concludere il solito abbondante pasto organizzato quando i nostri pensieri vengono interrotti dal suono della campana.
"Rosso, uomo 50 anni non risponde".
Bene.
Alla velocità della luce ci mettiamo la giacca, e nonostante i mille gradi, voliamo sul mezzo verso il target, raggiunti pochissimi minuti dopo.
"Qui sopra! Quinto piano!" ci urlano dalla finestra
Ci guardiamo tra di noi, abbiamo pensato tutti la stessa cosa, e iniziamo a correre con in spalla mezza ambulanza in quattro.
Arriviamo in cima paonazzi, avremmo voluto usare anche noi un po' di ossigeno.
"E' qui, guarda! Si chiama Giorgio!" mi urla Vittoria, una giovane ragazza "Papà! Papà ci sono i dottori!"
"Noi non siamo dottori, siamo quelli dell'ambulanza" le dico avvicinandomi a Giorgio, 50 anni, che è seduto per terra con la schiena appoggiata al muro, sudato e sporco di vomito "Buona sera Giorgio, sono un soccorritore, riesce a parlare?"
"Si...ma ho una nausea fortissima...sa, sono tre giorni che continuo a vomitare e avere dissenteria, ho avuto anche qualche linea di febbre" mi dice tenendosi la testa con una mano
Io e gli altri tre sospiriamo, senza parole.
"Guardi dottoressa, vede? Ha vomitato tutta la banana! Si vedono i pezzi!" mi dice la moglie mettendomi sotto il naso la maglietta sporca di banana vomitata
"Non siamo medici signora...comunque non ho dubbi che sia banana..." le dico un pochino nauseata dal tremendo odore "Adesso i miei colleghi prendono due parametri e vediamo cosa fare, ok?"
"Ok...."
"Per caso suo marito è stato visto da un medico di recente?" le domando mentre guardo la documentazione ospedaliera tipica di una persona che gode di ottima salute
"Si, ha detto che ha l'influenza, ma prima si è scaricato, poi ha vomitato ed è svenuto per questo abbiamo chiamato l'ambulanza...pensavamo potesse morire!" mi dice sinceramente preoccupata
Mi fa tenerezza l'affetto con cui si preoccupa del marito, che ha perso i sensi quei cinque secondi perché dopo vomito, dissenteria, semi digiuno e disidratazione è anche normale.
I parametri non mostrano nulla di anomalo, e la Centrale ci dice di vedere cosa vuol fare il paziente ed eventualmente avvisare.
"Signora, decidete voi cosa preferite fare; se volete portiamo il signor Giorgio a fare un controllo in ospedale, sennò sta a casa, si risposa, segue le indicazioni che il vostro medico vi ha scritto su questo foglio e domattina andrà molto meglio"
Madre e figlia si guardano dubbiose e alla fine decidono che Giorgio deve andare in ospedale.
Con non poca fatica, carichiamo Giorgio sulla sedia portantina e lo portiamo giù.
Durante il viaggio Giorgio cerca di dormire un po', ovviamente è esausto, ma noi cerchiamo di tenerlo sveglio almeno fino all'arrivo in PS dove spiego la situazione.
"Quindi...mi stai dicendo che è influenza?"
"Io non faccio diagnosi....ma il quadro parla da solo" rispondo consegnando tutta la documentazione all'infermiere di triage che mi guarda perplesso.
Scarichiamo Giorgio, che ci ringrazia, e ce ne andiamo in fretta...
"Cioè, abbiamo corso come matti, sudato come porci e faticato come schiavi per....un'influenza? In codice rosso? Iniziamo bene la serata gente...eheheh se non mi rinfresco un po' divento io un codice rosso" mi dice l'autista mentre fa manovra
"Eh va beh, questo è il nostro lavoro...viviamo con l'ebbrezza di non sapere mai cosa ci troveremo davanti veramente!" gli dico scherzando "E comunque io non voglio vedere banane per un bel po'!"
"Ahahah si va beh....andiamocene prima che ci incastrino di nuovo va...almeno adesso sappiamo cosa ci aspetta: anguria!"
domenica 9 dicembre 2012
Con un po' di vino le gocce van giù
"Giallo, tentato suicidio"
Ma che bello. Alle 20.30 di sera, appena finito il controllo con pulizia annessa della macchina, uscire così e senza aver mangiato ancora nulla ti migliora proprio l'umore.
In poco arriviamo in posto, stanotte per fortuna siamo in quattro, ho pessimi ricordi di tentati suicidi...vi ricordate di Mara no? Ecco.
Siamo in un complesso di palazzoni di case popolari, l'aria che si respira è vagamente inquietante e ce ne rendiamo conto un po' tutti.
Incrociamo in giro due persone, con evidenti problemi, che iniziano a ridere appena ci vedono e poi scappano.
Io sono il caposquadra stanotte, e personalmente per un codice giallo val la pena iniziare a dividersi i citofoni visto che non c'è nessuno a darci man forte, così ci dividiamo e due a due iniziamo a cercare il nome di riferimento, finché io e un collega non lo troviamo.
"Di qua!" gridiamo e gli altri due ci raggiungono, saliamo le scale, secondo piano, porta ovviamente chiusa
Bussiamo.
Niente.
"Siamo dell'ambulanza, possiamo entrare?" chiedo cercando di capire se la persona fosse almeno in ascolto; a causa di precedenti esperienze, abbiamo imparato che mettere alla prova la pazienza di questi pazienti non è cosa furba, così meglio aspettare.
Silenzio.
"Andiamo avanti noi tre" dice il mio collega agli altri due ragazzi "Vediamo che succede, tu stai dietro di noi" mi dicono e così proviamo ad entrare.
La porta non è chiusa a chiave, e la apriamo con facilità.
Entriamo in un appartamento spoglio, sporco e maleodorante.
"Signor Bianchi! Signor Bianchi ci sente?" chiediamo per capire dove fosse, ma resta tutto silenzioso e buio.
il cucinino è lurido, c'è un coltello sopra ad un tagliere buttato nel lavello macchiato e sporco, un armadietto stracolmo di medicine e per terra sembrava ci avessero vuotato la spazzatura.
Il salotto idem, stesse condizioni.
Ci spingiamo più avanti e arriviamo alla camera.
Un letto bisunto, composto di scheletro e di un materasso senza biancheria, ospita sopra Mario Bianchi, 60 anni, in posizione supina, con indosso pantaloni e maglietta che a naso non cambiava da almeno una settimana.
"Mario! Mario mi sente?" lo scuotiamo
"Mmmmmh lasciatemi morireeeeee" ci dice non riuscendo quasi a muoversi
"Mario forza, sveglia! Ragazzi voi prendete i parametri intanto....Mario, che hai preso per ridurti così?" gli chiedo captando un forte odore di vino provenire dalla sua bocca
"Non te lo dico...voi non mi fate morire..."
"Mario, qualcuno ci ha chiamati, non possiamo mica lasciarti qui così, lasciati aiutare...dai, dimmi cos'hai preso, così vediamo come fare per farti stare meglio!"
"La boccetta...col vino...eh si, quella ho preso..." dice farfugliante
Lo lascio coi miei colleghi e vado in cucina a setacciare di nuovo l'angolo delle medicine, e trovo una boccetta di Talofen, vuota.
Siamo alle solite.
Mi prendo la boccetta, torno in camera e i miei colleghi mi danno i parametri, così decido di chiamare la Centrale Operativa, spiegando il problema.
"Portatelo in giallo a XXX, fate attenzione, ok? Sai, la zona..." mi dice l'operatore
Io, che resto sorpresa da tanta considerazione, gli rispondo "Ok eventualmente ci sentiamo se cambia qualcosa".
Torno in camera di Mario, che di alzarsi e venire con noi non ne vuole sapere.
Inizia a raccontarci che il prete del suo paese è un disgraziato perché non gli dà i soldi, che lui ha già tentato di uccidersi svariate volte, che fuma, ma che non lavora e che sua moglie l'ha lasciato dopo che ha combinato qualcosa su Facebook.
"E' che sto Facebook, si insomma...non si capisce con chi hai a che fare, se sono uomini o donne! E mia moglie mi ha lasciato!" si lamenta bestemmiando
Io e colleghi restiamo sempre più allibiti, e decidiamo che dopo ben un'ora a casa di Mario che parla a macchinetta è ora di andare.
"Oddio!!! Mario!!!" una voce alle mie spalle fa sobbalzare tutti.
"Scusi, ma lei chi è?" domando allibita alla donna che si è portata al capezzale di Mario senza che io e colleghi riuscissimo a capire
"Oh Giovanna, vedi? Non riesco a morire!"
"Dai Mario non fare così, fatti aiutare!"
"No Giovanna, io devo morire, così non si può andare avanti!"
"Mario smettila, dai, cerca di riprenderti, vai in ospedale che ti guariscono loro!"
E la conversazione tra i due va avanti così qualche minuto. Noi, con la classica espressione di chi non ci sta capendo una mazza, ci lanciamo occhiate eloquenti.
Metto una mano sulla spalla di Giovanna, la allontano fisicamente da Mario, mi ci metto davanti e le richiedo scandendo la frase "Signora, lei chi è?"
Lei mi guarda, ride da sola, si guarda in giro e mi fa "Io non so niente!"
"Va bene, ma lei chi è? Riesce a capire cosa le sto chiedendo?"
"Sono la vicina! Siamo amici...cioè no, siamo vicini, amici no perché mi chiede i soldi e non me li ridà poi tenta di uccidersi!"
"Ok, allora signora Giovanna, la accompagno alla porta, qui non c'è nulla da vedere, e noi dobbiamo andare, mi segua" le dico mentre i miei colleghi caricano di peso Mario sulla sedia portantina
"Si ma io...Mario!!! Ohhhh ascolta!!! Ma torni a dormire??" urla mentre la allontano
"Mi sa che mi tengono in prigione questi qui! E io voglio morire, ma in ospedale non mi fanno morire!"
"Si senta Giovanna, ci aspetti da basso, ok?" le dico e controllo che se ne vada
Torno dai miei colleghi e con santa pazienza portiamo giù Mario, e lo carichiamo sulla barella.
In mezzo a questa follia, siamo rimasti fermi circa un'ora e mezza.
Sento il cellulare in tasca che vibra e riconosco il numero della Centrale Operativa.
"Si pronto?"
"Ragazzi tutto bene?"
"Si perché?"
"Chiedevamo, ci siamo sentiti mezz'ora fa, stavate per andare, ma a noi risultate ancora sul posto! Volevamo sapere se è tutto a posto"
Abbastanza sorpresa, rispondo "Tranquillo, abbiamo avuto un imprevisto, ma nulla di che, il paziente è a bordo e noi stiamo bene, partiamo adesso"
"Ok per qualsiasi cosa chiamate, ok?"
"Ok, grazie"
Click.
Spiego celermente ai colleghi il contenuto della telefonata e mentre anche sulla loro faccia si dipinge un'espressione di stupore assoluto, carichiamo Mario. Giovanna è sparita.
Durante tutto il viaggio, Mario non smette di parlare; mentre io compilo tutti i documenti, i due colleghi seduti dietro con me lo fanno chiacchierare un po' e così arriviamo in PS.
L'odore tremendo di vino e di quel qualcosa che si sente quando non ci si lava per svariati giorni, ha completamente invaso l'ambulanza, scendiamo dal mezzo nauseati.
Scaricato Mario, torniamo in ambulanza ed iniziamo a disinfettare e profumare ogni angolo, e finalmente quell'odore tremendo e nauseabondo scompare lasciando posto ad un profumo di disinfettante.
Mentre rientriamo, il mio collega alla guida mi fa "E quindi....su Facebook non si capisce se son uomini o donne..."
"Lascia perdere, non approfondiamo" gli dico offrendo caramelle alla menta "A volte preferisco non sapere!"
"Si in effetti...beata ignoranza!"
Ma che bello. Alle 20.30 di sera, appena finito il controllo con pulizia annessa della macchina, uscire così e senza aver mangiato ancora nulla ti migliora proprio l'umore.
In poco arriviamo in posto, stanotte per fortuna siamo in quattro, ho pessimi ricordi di tentati suicidi...vi ricordate di Mara no? Ecco.
Siamo in un complesso di palazzoni di case popolari, l'aria che si respira è vagamente inquietante e ce ne rendiamo conto un po' tutti.
Incrociamo in giro due persone, con evidenti problemi, che iniziano a ridere appena ci vedono e poi scappano.
Io sono il caposquadra stanotte, e personalmente per un codice giallo val la pena iniziare a dividersi i citofoni visto che non c'è nessuno a darci man forte, così ci dividiamo e due a due iniziamo a cercare il nome di riferimento, finché io e un collega non lo troviamo.
"Di qua!" gridiamo e gli altri due ci raggiungono, saliamo le scale, secondo piano, porta ovviamente chiusa
Bussiamo.
Niente.
"Siamo dell'ambulanza, possiamo entrare?" chiedo cercando di capire se la persona fosse almeno in ascolto; a causa di precedenti esperienze, abbiamo imparato che mettere alla prova la pazienza di questi pazienti non è cosa furba, così meglio aspettare.
Silenzio.
"Andiamo avanti noi tre" dice il mio collega agli altri due ragazzi "Vediamo che succede, tu stai dietro di noi" mi dicono e così proviamo ad entrare.
La porta non è chiusa a chiave, e la apriamo con facilità.
Entriamo in un appartamento spoglio, sporco e maleodorante.
"Signor Bianchi! Signor Bianchi ci sente?" chiediamo per capire dove fosse, ma resta tutto silenzioso e buio.
il cucinino è lurido, c'è un coltello sopra ad un tagliere buttato nel lavello macchiato e sporco, un armadietto stracolmo di medicine e per terra sembrava ci avessero vuotato la spazzatura.
Il salotto idem, stesse condizioni.
Ci spingiamo più avanti e arriviamo alla camera.
Un letto bisunto, composto di scheletro e di un materasso senza biancheria, ospita sopra Mario Bianchi, 60 anni, in posizione supina, con indosso pantaloni e maglietta che a naso non cambiava da almeno una settimana.
"Mario! Mario mi sente?" lo scuotiamo
"Mmmmmh lasciatemi morireeeeee" ci dice non riuscendo quasi a muoversi
"Mario forza, sveglia! Ragazzi voi prendete i parametri intanto....Mario, che hai preso per ridurti così?" gli chiedo captando un forte odore di vino provenire dalla sua bocca
"Non te lo dico...voi non mi fate morire..."
"Mario, qualcuno ci ha chiamati, non possiamo mica lasciarti qui così, lasciati aiutare...dai, dimmi cos'hai preso, così vediamo come fare per farti stare meglio!"
"La boccetta...col vino...eh si, quella ho preso..." dice farfugliante
Lo lascio coi miei colleghi e vado in cucina a setacciare di nuovo l'angolo delle medicine, e trovo una boccetta di Talofen, vuota.
Siamo alle solite.
Mi prendo la boccetta, torno in camera e i miei colleghi mi danno i parametri, così decido di chiamare la Centrale Operativa, spiegando il problema.
"Portatelo in giallo a XXX, fate attenzione, ok? Sai, la zona..." mi dice l'operatore
Io, che resto sorpresa da tanta considerazione, gli rispondo "Ok eventualmente ci sentiamo se cambia qualcosa".
Torno in camera di Mario, che di alzarsi e venire con noi non ne vuole sapere.
Inizia a raccontarci che il prete del suo paese è un disgraziato perché non gli dà i soldi, che lui ha già tentato di uccidersi svariate volte, che fuma, ma che non lavora e che sua moglie l'ha lasciato dopo che ha combinato qualcosa su Facebook.
"E' che sto Facebook, si insomma...non si capisce con chi hai a che fare, se sono uomini o donne! E mia moglie mi ha lasciato!" si lamenta bestemmiando
Io e colleghi restiamo sempre più allibiti, e decidiamo che dopo ben un'ora a casa di Mario che parla a macchinetta è ora di andare.
"Oddio!!! Mario!!!" una voce alle mie spalle fa sobbalzare tutti.
"Scusi, ma lei chi è?" domando allibita alla donna che si è portata al capezzale di Mario senza che io e colleghi riuscissimo a capire
"Oh Giovanna, vedi? Non riesco a morire!"
"Dai Mario non fare così, fatti aiutare!"
"No Giovanna, io devo morire, così non si può andare avanti!"
"Mario smettila, dai, cerca di riprenderti, vai in ospedale che ti guariscono loro!"
E la conversazione tra i due va avanti così qualche minuto. Noi, con la classica espressione di chi non ci sta capendo una mazza, ci lanciamo occhiate eloquenti.
Lei mi guarda, ride da sola, si guarda in giro e mi fa "Io non so niente!"
"Va bene, ma lei chi è? Riesce a capire cosa le sto chiedendo?"
"Sono la vicina! Siamo amici...cioè no, siamo vicini, amici no perché mi chiede i soldi e non me li ridà poi tenta di uccidersi!"
"Ok, allora signora Giovanna, la accompagno alla porta, qui non c'è nulla da vedere, e noi dobbiamo andare, mi segua" le dico mentre i miei colleghi caricano di peso Mario sulla sedia portantina
"Si ma io...Mario!!! Ohhhh ascolta!!! Ma torni a dormire??" urla mentre la allontano
"Mi sa che mi tengono in prigione questi qui! E io voglio morire, ma in ospedale non mi fanno morire!"
"Si senta Giovanna, ci aspetti da basso, ok?" le dico e controllo che se ne vada
Torno dai miei colleghi e con santa pazienza portiamo giù Mario, e lo carichiamo sulla barella.
In mezzo a questa follia, siamo rimasti fermi circa un'ora e mezza.
Sento il cellulare in tasca che vibra e riconosco il numero della Centrale Operativa.
"Si pronto?"
"Ragazzi tutto bene?"
"Si perché?"
"Chiedevamo, ci siamo sentiti mezz'ora fa, stavate per andare, ma a noi risultate ancora sul posto! Volevamo sapere se è tutto a posto"
Abbastanza sorpresa, rispondo "Tranquillo, abbiamo avuto un imprevisto, ma nulla di che, il paziente è a bordo e noi stiamo bene, partiamo adesso"
"Ok per qualsiasi cosa chiamate, ok?"
"Ok, grazie"
Click.
Spiego celermente ai colleghi il contenuto della telefonata e mentre anche sulla loro faccia si dipinge un'espressione di stupore assoluto, carichiamo Mario. Giovanna è sparita.
Durante tutto il viaggio, Mario non smette di parlare; mentre io compilo tutti i documenti, i due colleghi seduti dietro con me lo fanno chiacchierare un po' e così arriviamo in PS.
L'odore tremendo di vino e di quel qualcosa che si sente quando non ci si lava per svariati giorni, ha completamente invaso l'ambulanza, scendiamo dal mezzo nauseati.
Scaricato Mario, torniamo in ambulanza ed iniziamo a disinfettare e profumare ogni angolo, e finalmente quell'odore tremendo e nauseabondo scompare lasciando posto ad un profumo di disinfettante.
Mentre rientriamo, il mio collega alla guida mi fa "E quindi....su Facebook non si capisce se son uomini o donne..."
"Lascia perdere, non approfondiamo" gli dico offrendo caramelle alla menta "A volte preferisco non sapere!"
"Si in effetti...beata ignoranza!"
giovedì 22 novembre 2012
Scherzi...da prete
Sono circa le 11.30 di una domenica mattina fredda, grigia e piovosa, con qualche tuono in sottofondo.
Una di quelle mattine in cui a) ti domandi perché non sei rimasto a casa a dormire invece di andare a turnare, b) siccome il tempo fa schifo alla gente non viene voglia di fare niente e c) di conseguenza, magari, anche noi riusciamo a non far niente fino alla fine del turno.
Mentre penso queste cose, compiacendomi di quanto siano logiche, il suono del telefono mi interrompe.
DRIIIIIIN
"Ma nooooo" e credo che tutti e quattro abbiamo pensato la stessa cosa
"Rosso, persona incosciente in chiesa, via XXX a XXX"
Partiamo.
Piove a dirotto, il cielo è grigio, per strada non c'è nessuno, le sirene rimbombano nel vuoto dei paesi che scorrono dai finestrini battuti dalla pioggia.
Rosso. In chiesa.
Arriviamo in pochissimo tempo, ci catapultiamo giù sotto la pioggia battente, attraversiamo la piazza deserta di corsa finché non siamo davanti ad una delle porte laterali d'entrata.
La spingiamo per entrare, la pioggia non smettere di cadere, i tuoni gravi accompagnano il pesante cigolio della porta di legno.
Buio.
Non c'è nessuno, nemmeno un'anima, solo candele accese e l'eco della pioggia nella navata.
Ci guardiamo e capiamo che c'è qualcosa che non va.
In due nanosecondi siamo di nuovo a bordo, bagnati, un pochino inquietati, pronti a ripartire.
Il caposquadra avvisa la Centrale che ci siamo trovati in una chiesa vuota, e che ci saremmo diretti nella seconda chiesa del paese per essere sicuri di averle provate tutte e così facciamo.
Arriviamo in pochi secondi, di nuovo con mezza ambulanza in spalla, sotto la pioggia battente scendiamo e corriamo verso il portone laterale in legno, lo apriamo e il cigolio riecheggia nella gelida e buia navata di una chiesa completamente vuota. Di nuovo.
Ci viene spontaneo guardarci le spalle, con una discreta inquietudine.
Vedere l'ambulanza alle nostre spalle, coi lampeggianti accesi è stato un gran sollievo, e ci siamo catapultati a bordo in un attimo.
"Ok, il paese ha due chiese, sono vuote, quindi rientriamo?" chiede il caposquadra alla Centrale
"Rientrate" ci dicono
E, ve lo garantisco, non potevamo essere più contenti.
sabato 17 novembre 2012
Voi non capite
"Giallo, donna di 35 anni, sospetta crisi d'ansia e relativa difficoltà respiratoria"
Ci avviamo al target, raggiunto in pochi minuti: villetta a schiera, un sentiero che porta dal cancelletto alla porta talmente stretto e con un angolo tremendo che ci siamo domandati tutti in quale supermercato avesse comprato la laurea il genio che ha progettato quel sentiero.
La porta di ingresso è socchiusa, e sentiamo delle urla.
"Adesso basta! Voi mi fate morire!"
"Permesso, siamo quelli dell'ambulanza" dice il caposquadra ed entriamo.
C'è un odore di immondizia che trova giustificazione nella stessa, sparsa su tutto il pavimento della cucina, che vediamo alla nostra sinistra, e nel corridoio.
La casa è spoglia, c'è il minimo indispensabile per viverci.
Entriamo in salotto e troviamo Raffaella, 35 anni, sudata, rossa in viso, visibilmente agitata e urlante; al suo fianco, in piedi, Ilaria, una ragazzina di 15 anni e di fianco a lei Francesco, stessa età.
"Raffaella hai rotto, cazzo! La devi finire!" urla Francesco, mentre Ilaria cerca di farlo smettere piangendo "Smettila idiota, non vedi che sta male??? Non urlare!!"
"Voi mi ammazzate così, disgraziati!" urla Raffaella sempre più affaticata
Cerchiamo di mettere fine a questo teatrino, allontanando Francesco e Ilaria da Raffaella, che sembra quasi calmarsi.
"Signora cerchi di calmarsi adesso, mi dice il suo nome?" le chiede il caposquadra
"Raff....Ra....Raffaella...." dice cercando di respirare
"Ok Raffaella, allora, mi dice che è successo?"
"Quei...quei due disgraziati! Ilaria, Francé voi mi fate morire! Io voglio morire, non ce la faccio più!" e inizia a singhiozzare
"Mamma non fare così!" ricomincia a piangere Ilaria e Francesco sfugge a me a all'autista, e ricomincia ad urlare "Ma te non capisci un cazzo! Io la proteggo tua figlia!"
Prendo Francesco per un braccio "Cerca di calmarti e non urlare" gli dico e metto lui e Ilaria in un angolo lontano da Raffella "Cosa sta succedendo ragazzi?"
Mentre Raffaella parla con il caposquadra, i due ragazzini snocciolano a me e all'autista la loro versione: Francesco è il fidanzatino di Ilaria, figlia di Raffaella, madre single. Lui vuole uscire di sera con Ilaria, ma Raffaella non vuole perché non si fida, e da lì il litigio.
"Ragazzi, avete chiamato voi quindi i soccorsi?" chiedo
"Si, ad un certo punto ha iniziato a soffocare, lei ha problemi di cuore, è sovrappeso...fa così tante cose...povera mamma...cazzo, Francé, è tutta colpa tua! Vaffanculo!" urla Ilaria, spaventata
"Smettetela di urlare, o peggiorate la situazione" dice fermo l'autista
"Non siamo dei bambini!" ribatte arrogante Francesco
"Allora non comportatevi come tali" gli dico secca, mettendolo finalmente a tacere
Ripristinata la calma, presi i parametri e i dati, decidiamo comunque di convincere Raffaella a venire con noi in ospedale visti i suoi precedenti problemi di cuore, così la carichiamo mentre la vicina di casa interviene portandosi a casa i due ragazzini.
Caricare Raffaella, che è decisamente corpulenta, è già complicato in uno spazio ristretto; in più il sentiero per uscire è talmente stretto che ad un certo punto, per uscire dal cancelletto angolato decidiamo di prendere di peso la barella.
Una volta caricata in ambulanza, cerchiamo di riprenderci dallo sforzo non indifferente e Raffaella comincia a piangere "Io voglio morire, non ce la faccio più! Sono stanca!"
"Raffaella, tutti siamo stanchi, passiamo periodi schifosi, però non bisogna mica arrendersi dai!" le dice il caposquadra
"Voi non capite" dice singhiozzando "Mi sono sposata giovane, ero incinta, ma ho sposato un pazzo che mi picchiava e voleva picchiare anche la bambina, così dopo il divorzio sono scappata perché mi stava addosso. Ogni tanto cambiamo casa, ho paura che un giorno venga qui e possa portarmi via la mia bambina! Mi spacco la schiena al lavoro tutti i giorni, vivo con la paura che possa ritrovarmelo fuori casa anche se lui non ha la patente e fino a qui non so come ci potrebbe arrivare visto che non ha nemmeno i soldi per un biglietto del pullman e abita dal lato opposto dell'Italia, ma ho paura. E mo quel deficiente vuole portare fuori la mia bambina di sera! Da soli! Ma stiamo scherzando??? E come faccio a dirglielo? Lei non lo sa, non voglio che abbia così paura anche lei! Non è giusto...."
Ha ragione, noi non possiamo capire davvero.
"E non l'hai denunciato?" chiedo
"Certo, ma alla fine lui non mi ha più toccata dopo il divorzio...però qualche volta me lo trovo in giro e non capisco! Non fa nulla di male, ma è inquietante vederlo passare per caso nei posti che frequento...Per questo ce ne siamo venuti qui, così lontano, completamente sole...." dice "Sono esausta...."
"Forza Raffaella" le diciamo cercando di sostenerla, pur sapendo che un dramma simile non l'avremmo certo risolto noi "Tieni duro per Ilaria! Lei è giovane, è normale che sia spericolata e spensierata, è giusto così"
"Lo so, però non riesco a non preoccuparmi e poi mi vengono queste brutte cose!"
Le porgiamo un fazzoletto, e restiamo in silenzio tenendole la mano.
Riuscivamo a percepire sia la sua paura sia la sua tristezza e frustrazione.
La lasciamo in Pronto Soccorso su un letto, coperta, esausta "Sto per addormentarmi...non dormo da tanto..." ci dice sottovoce raggomitolandosi nel lenzuolo
"Dormi Raffaella" le diciamo e lei chiude gli occhi mentre noi ce ne andiamo in silenzio.
Ci avviamo al target, raggiunto in pochi minuti: villetta a schiera, un sentiero che porta dal cancelletto alla porta talmente stretto e con un angolo tremendo che ci siamo domandati tutti in quale supermercato avesse comprato la laurea il genio che ha progettato quel sentiero.
La porta di ingresso è socchiusa, e sentiamo delle urla.
"Adesso basta! Voi mi fate morire!"
"Permesso, siamo quelli dell'ambulanza" dice il caposquadra ed entriamo.
C'è un odore di immondizia che trova giustificazione nella stessa, sparsa su tutto il pavimento della cucina, che vediamo alla nostra sinistra, e nel corridoio.
La casa è spoglia, c'è il minimo indispensabile per viverci.
Entriamo in salotto e troviamo Raffaella, 35 anni, sudata, rossa in viso, visibilmente agitata e urlante; al suo fianco, in piedi, Ilaria, una ragazzina di 15 anni e di fianco a lei Francesco, stessa età.
"Raffaella hai rotto, cazzo! La devi finire!" urla Francesco, mentre Ilaria cerca di farlo smettere piangendo "Smettila idiota, non vedi che sta male??? Non urlare!!"
"Voi mi ammazzate così, disgraziati!" urla Raffaella sempre più affaticata
Cerchiamo di mettere fine a questo teatrino, allontanando Francesco e Ilaria da Raffaella, che sembra quasi calmarsi.
"Signora cerchi di calmarsi adesso, mi dice il suo nome?" le chiede il caposquadra
"Raff....Ra....Raffaella...." dice cercando di respirare
"Ok Raffaella, allora, mi dice che è successo?"
"Quei...quei due disgraziati! Ilaria, Francé voi mi fate morire! Io voglio morire, non ce la faccio più!" e inizia a singhiozzare
"Mamma non fare così!" ricomincia a piangere Ilaria e Francesco sfugge a me a all'autista, e ricomincia ad urlare "Ma te non capisci un cazzo! Io la proteggo tua figlia!"
Prendo Francesco per un braccio "Cerca di calmarti e non urlare" gli dico e metto lui e Ilaria in un angolo lontano da Raffella "Cosa sta succedendo ragazzi?"
Mentre Raffaella parla con il caposquadra, i due ragazzini snocciolano a me e all'autista la loro versione: Francesco è il fidanzatino di Ilaria, figlia di Raffaella, madre single. Lui vuole uscire di sera con Ilaria, ma Raffaella non vuole perché non si fida, e da lì il litigio.
"Ragazzi, avete chiamato voi quindi i soccorsi?" chiedo
"Si, ad un certo punto ha iniziato a soffocare, lei ha problemi di cuore, è sovrappeso...fa così tante cose...povera mamma...cazzo, Francé, è tutta colpa tua! Vaffanculo!" urla Ilaria, spaventata
"Smettetela di urlare, o peggiorate la situazione" dice fermo l'autista
"Non siamo dei bambini!" ribatte arrogante Francesco
"Allora non comportatevi come tali" gli dico secca, mettendolo finalmente a tacere
Ripristinata la calma, presi i parametri e i dati, decidiamo comunque di convincere Raffaella a venire con noi in ospedale visti i suoi precedenti problemi di cuore, così la carichiamo mentre la vicina di casa interviene portandosi a casa i due ragazzini.
Caricare Raffaella, che è decisamente corpulenta, è già complicato in uno spazio ristretto; in più il sentiero per uscire è talmente stretto che ad un certo punto, per uscire dal cancelletto angolato decidiamo di prendere di peso la barella.
Una volta caricata in ambulanza, cerchiamo di riprenderci dallo sforzo non indifferente e Raffaella comincia a piangere "Io voglio morire, non ce la faccio più! Sono stanca!"
"Raffaella, tutti siamo stanchi, passiamo periodi schifosi, però non bisogna mica arrendersi dai!" le dice il caposquadra
"Voi non capite" dice singhiozzando "Mi sono sposata giovane, ero incinta, ma ho sposato un pazzo che mi picchiava e voleva picchiare anche la bambina, così dopo il divorzio sono scappata perché mi stava addosso. Ogni tanto cambiamo casa, ho paura che un giorno venga qui e possa portarmi via la mia bambina! Mi spacco la schiena al lavoro tutti i giorni, vivo con la paura che possa ritrovarmelo fuori casa anche se lui non ha la patente e fino a qui non so come ci potrebbe arrivare visto che non ha nemmeno i soldi per un biglietto del pullman e abita dal lato opposto dell'Italia, ma ho paura. E mo quel deficiente vuole portare fuori la mia bambina di sera! Da soli! Ma stiamo scherzando??? E come faccio a dirglielo? Lei non lo sa, non voglio che abbia così paura anche lei! Non è giusto...."
Ha ragione, noi non possiamo capire davvero.
"E non l'hai denunciato?" chiedo
"Certo, ma alla fine lui non mi ha più toccata dopo il divorzio...però qualche volta me lo trovo in giro e non capisco! Non fa nulla di male, ma è inquietante vederlo passare per caso nei posti che frequento...Per questo ce ne siamo venuti qui, così lontano, completamente sole...." dice "Sono esausta...."
"Forza Raffaella" le diciamo cercando di sostenerla, pur sapendo che un dramma simile non l'avremmo certo risolto noi "Tieni duro per Ilaria! Lei è giovane, è normale che sia spericolata e spensierata, è giusto così"
"Lo so, però non riesco a non preoccuparmi e poi mi vengono queste brutte cose!"
Le porgiamo un fazzoletto, e restiamo in silenzio tenendole la mano.
Riuscivamo a percepire sia la sua paura sia la sua tristezza e frustrazione.
La lasciamo in Pronto Soccorso su un letto, coperta, esausta "Sto per addormentarmi...non dormo da tanto..." ci dice sottovoce raggomitolandosi nel lenzuolo
"Dormi Raffaella" le diciamo e lei chiude gli occhi mentre noi ce ne andiamo in silenzio.
domenica 11 novembre 2012
Familiarità
Oggi vi annoio un po' parlandovi di un discorso che facevo con un'amica non coinvolta nel mondo del volontariato.
Parlando, mi ha fatto una domanda che mi ha fatto sorridere.
"Ma come fate a dormire tutti assieme che manco vi conoscete? Si insomma, non siete in imbarazzo?"
Ripensando alle ultime chicche notturne, mi sono fatta una risata tra me e me, e ho pensato che tutto sommato è vero, è anomala come situazione.
Nella vita normale non si dorme con sconosciuti la prima sera che gli si stringe la mano, però è anche vero che non si affronta nemmeno la morte di solito con le persone che ci stanno attorno; non ci si trova con chiunque a spalare feci alle 6 del mattino dopo il collasso di un paziente, a gonfiare guanti per bambini spaventati disegnandoci sopra una faccia sorridente sperando che smettano di piangere, a portare giù pesi massimi da infinite rampe di scale, a tirare fuori persone da macchine distrutte, ad uscire nel cuore della notte per qualcuno che finge di star male, a sentirsi dire grazie per aver contribuito a salvare una vita, ad essere insultati perché il paziente in quel momento aveva le scatole girate, a pulire l'ambulanza come se fosse la nostra macchina preferita e potrei andare avanti.
Il rapporto che si crea tra soccorritori credo sia qualcosa di davvero particolare, in fin dei conti si è una squadra.
Certi "imbarazzi" non esistono coi colleghi, è un po' come essere a casa.
Sentirsi a casa in sede credo sia comune per un soccorritore; della serie che sono in giro e "passo in sede a salutare e a prendere un caffè" e così ci butto via le ore.
Vi è familiare come cosa, vero?
A volte dopo una giornata di lavoro, vedere la gente che se ne va verso casa mentre io mi dirigo in sede per il turno di notte mi fa uno strano effetto.
Non saprei spiegarlo, però appena metto piede in sede e mi ritrovo con la mia squadra la sensazione è quella che si prova quando si è a casa.
Andare a letto in una stanza comune è praticamente normale, e anzi vi dirò...dopo certe uscite, è confortante sapere di non essere soli nonostante tutto.
Ricordo ancora chiaramente la sensazione provata la notte dell'incidente di Edoardo (Click QUI per il post), a distanza di così tanto tempo da quell'evento ricordo chiaramente il suo nome, il suo cognome, la sua data di nascita, ma ancora di più ricordo la sensazione di sollievo provata quando io e i miei due colleghi abbiamo varcato la soglia della sede.
Un silenzio di tomba, al buio siamo entrati in punta di piedi benché in quel momento ci fossimo solo noi, e quando siamo andati a dormire stringendoci nei piumoni, tutti e tre ci siamo guardati in silenzio nel buio per qualche minuto ringraziando di non essere soli, sapendo che per qualsiasi cosa eravamo tutti e tre lì.
Passare la notte a giocare a carte, o ai giochi in scatola, a parlare delle cose più disparate, a guardare la TV, a dormire l'uno sull'altro sul divano, a mangiare di tutto pur sapendo che al mattino il lavoro ci aspetta, non è una distrazione, ma un modo come un altro per affrontare quello che a volte la realtà nasconde, e il modo migliore per dare il massimo là fuori senza farci inghiottire dagli eventi è essere una squadra, perché la realtà è dura...ma noi, assieme, lo siamo di più.
Parlando, mi ha fatto una domanda che mi ha fatto sorridere.
"Ma come fate a dormire tutti assieme che manco vi conoscete? Si insomma, non siete in imbarazzo?"
Ripensando alle ultime chicche notturne, mi sono fatta una risata tra me e me, e ho pensato che tutto sommato è vero, è anomala come situazione.
Nella vita normale non si dorme con sconosciuti la prima sera che gli si stringe la mano, però è anche vero che non si affronta nemmeno la morte di solito con le persone che ci stanno attorno; non ci si trova con chiunque a spalare feci alle 6 del mattino dopo il collasso di un paziente, a gonfiare guanti per bambini spaventati disegnandoci sopra una faccia sorridente sperando che smettano di piangere, a portare giù pesi massimi da infinite rampe di scale, a tirare fuori persone da macchine distrutte, ad uscire nel cuore della notte per qualcuno che finge di star male, a sentirsi dire grazie per aver contribuito a salvare una vita, ad essere insultati perché il paziente in quel momento aveva le scatole girate, a pulire l'ambulanza come se fosse la nostra macchina preferita e potrei andare avanti.
Il rapporto che si crea tra soccorritori credo sia qualcosa di davvero particolare, in fin dei conti si è una squadra.
Certi "imbarazzi" non esistono coi colleghi, è un po' come essere a casa.
Sentirsi a casa in sede credo sia comune per un soccorritore; della serie che sono in giro e "passo in sede a salutare e a prendere un caffè" e così ci butto via le ore.
Vi è familiare come cosa, vero?
A volte dopo una giornata di lavoro, vedere la gente che se ne va verso casa mentre io mi dirigo in sede per il turno di notte mi fa uno strano effetto.
Non saprei spiegarlo, però appena metto piede in sede e mi ritrovo con la mia squadra la sensazione è quella che si prova quando si è a casa.
Andare a letto in una stanza comune è praticamente normale, e anzi vi dirò...dopo certe uscite, è confortante sapere di non essere soli nonostante tutto.
Ricordo ancora chiaramente la sensazione provata la notte dell'incidente di Edoardo (Click QUI per il post), a distanza di così tanto tempo da quell'evento ricordo chiaramente il suo nome, il suo cognome, la sua data di nascita, ma ancora di più ricordo la sensazione di sollievo provata quando io e i miei due colleghi abbiamo varcato la soglia della sede.
Se penso ad una squadra divertente, colorata e funzionante, perdonatemi, ma loro sono sempre la prima immagine che la mia memoria richiama :-D |
Passare la notte a giocare a carte, o ai giochi in scatola, a parlare delle cose più disparate, a guardare la TV, a dormire l'uno sull'altro sul divano, a mangiare di tutto pur sapendo che al mattino il lavoro ci aspetta, non è una distrazione, ma un modo come un altro per affrontare quello che a volte la realtà nasconde, e il modo migliore per dare il massimo là fuori senza farci inghiottire dagli eventi è essere una squadra, perché la realtà è dura...ma noi, assieme, lo siamo di più.
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lunedì 5 novembre 2012
Pazienza
Sono le 19.35, attacco alle 20 quando faccio la notte, ma arrivo sempre una mezz'oretta prima sia la mattina sia la sera.
Metto piede in sede assieme ad altri miei due colleghi che turnano con me la notte, saluto l'equipaggio smontante e la caposquadra mi dice "Oggi zero uscite! Secondo me le fate tutte voi!"
"Vaffanculo!" le dico e in quel momento DRIIIIIIN
Restiamo tutti immobili.
Magari non ho sentito bene.
Magari non ho sentito bene.
DRIIIIIN
Scatta una delle mie colleghe a prendere il servizio.
"Ragazzi, rosso! Correre! Ve l'avevo detto!" mi dice dandomi in mano il foglio
Manca il nostro autista, quindi esce quello di turno di pomeriggio con me e gli altri due che montano di notte.
Mentre imposto il navigatore sento per radio che ci chiamano, mandandoci in supporto l'Elisoccorso.
"Rosso, paziente incosciente a seguito di una caduta, sembra che non respiri, 50 anni" dico alla squadra
Arriviamo in posto in pochi minuti, ci catapultiamo giù dal mezzo portandoci dietro tutto il possibile e l'impossibile.
"Di qui, di qui!" ci indica un ragazzo e noi lo seguiamo dentro ad una casa, dell'Elisoccorso ancora nessuna traccia.
Entrando vediamo Alfredo, 50 anni steso per terra con una salvietta sotto la testa, immobile, e la moglie che urla.
Ci buttiamo su di lui, constatando presenza di circolo, respiro e risposta alla chiamata.
Bene.
"E' caduto, è caduto e ora è così! Non si muove più! Mio Dio aiutatemi, dov'è il medico??"
"Signora si calmi" le dico cercando di allontanarla dal raggio d'azione dei miei colleghi impegnati a tenere la testa e mettere collarino, per poi passare ai parametri "Suo marito respira, il cuore batte, adesso vediamo come va"
"Voi non capite! E' diabetico, cardiopatico, ha avuto problemi neurologici...insomma le ha avute tutte!" mi dice con esasperazione
"Mi spieghi com'è caduto, lei c'era?" intanto sento fuori il familiare rumore dell'Elisoccorso
"Si, gli è girata la testa, e invece di fare il gradino è caduto a peso morto sul tavolino da caffè del soggiorno!" mi dice "Io ho subito chiamato il 118, sono anche io volontaria da 30 anni ormai"
"Capisco..." intanto mi segno i parametri, abbiamo una visione abbastanza chiara di quello che potrebbe essere successo, e in quel momento entrano medico e infermiere ai quali riferisco tutta la situazione: Alfredo deve aver avuto sicuramente un malore di natura neurologica, che ha causato la rovinosa caduta contro il tavolino e il conseguente stato di afasia.
"Grazie ragazzi, caricatelo" mi dice il medico, e mentre lui sta visionando le cartelle di Alfredo, noi ci accingiamo a caricarlo in ambulanza.
Alfredo non è proprio un fuscello, e con non poca fatica e l'aiuto dell'infermiere riusciamo a metterlo sulla barella e successivamente sul mezzo.
Alfredo deve aver preso una bella botta, c'è un piccolo taglio sopra l'ematoma, inoltre non è completamente lucido, lo si potrebbe definire un paziente di tipo V.
"Ricoveriamo in codice giallo" dice il medico, e l'equipe dell'Elicottero decide di seguirci
"Dovete medicargli il taglio! Sta sanguinando! Prendete le garze e il disinfettante!" mi urla la signora da fuori l'ambulanza, mentre Alfredo inizia ad avere i primi conati di vomito e noi ci chiudiamo in ambulanza.
"Preparate l'aspiratore" ci dice l'infermiere, e mentre l'ambulanza schizza sulle strade della provincia in direzione ospedale, noi aspiriamo Alfredo che ogni tanto tira su schiuma e catarro, si agita e riesce a tenerci occupati tutti e quattro costantemente.
Pulisco velocemente il taglietto sul capo, ma essendo un segno superficiale decidiamo di non infagottarlo troppo.
Alfredo ha gli occhi sbarrati, crediamo sia spaventato e disorientato, ma tuttavia stabile.
Arriviamo presto in PS.
Entro nella sala del triage, riferisco la situazione, il pronto soccorso è intasato e hanno un codice rosso nella sala emergenze.
Sto per finire di compilare i documenti quando sento una voce familiare alle mie spalle "Che cavolo ci fa ancora qui! Deve essere visto da un medico!!" la moglie di Alfredo sbraita in PS
"Signora si calmi, suo marito al momento è stabile, appena il medico si libera verrà a vederlo" le dice l'infermiere
"Non siete capaci di fare nulla" continua lei "E' una vergogna!"
"Signora per cortesia, stia lì con suo marito, il medico arriverà presto" le dico indicandole la lettiga di Alfredo
"Guarda, guarda qui! Sanguina ancora! Non siete capaci di fare il vostro lavoro! Non avete nemmeno tamponato la ferita! Io sono una soccorritrice da 30 anni! So come si fanno queste cose e voi siete incapaci!"
In quel momento la mia pazienza decide di andare in ferie.
"Io sono dentro da molto meno, ma almeno ho imparato a distinguere le priorità a differenza sua. Io e la mia squadra abbiamo lavorato con un medico e un infermiere, i quali hanno visto come abbiamo gestito la situazione, supportando le loro istruzioni, quindi vediamo di mantenere i toni bassi" le dico, imponendomi di non andare oltre.
Lei mi manda a quel paese in malo modo, e borbottando va dal marito.
"Complimenti, non avrei saputo dire meglio senza usare parolacce" mi dice sottovoce l'infermiere facendomi l'occhiolino "Alcuni sono davvero impossibili!"
"Ne so qualcosa..." rispondo sospirando
In realtà mi ribolle il sangue, perché va bene che siamo volontari, ma sentire una presunta collega insultare me e la mia squadra ingiustificatamente mi fa perdere le staffe.
Stiamo per andarcene quando sento ancora la moglie di Alfredo urlare "Hey voi! I documenti di mio marito! Ve li state dimenticando! Io non li ho!" mi dice con fare arrogante
Io mi giro, e col tono più piatto che potessi fare, cercando di limitare la mia espressività facciale (che di solito è decisamente spiccata), le dico "Li ha il medico, li chieda a lui" e me ne vado.
La pazienza è la virtù dei forti...e dei soccorritori.
giovedì 1 novembre 2012
Imbarazzo
Sono circa le 10 del mattino quando il telefono suona, "malore a XXX, donna, 40 anni, svenuta in bagno, giallo".
Ero certificata da pochi giorni, per inciso, e uscivo ancora come quarto vista l'inesperienza.
La via che la Centrale ci dà non esiste né per il TomTom, né sullo stradario.
Qui volano le prime parolacce del mio caposquadra, che agguanta il telefono e chiama in Centrale.
"Si ciao è la XXX, la Via XXX non esiste qui! Dove andiamo? Siamo in Via XXX adesso" chiede
"Ah già che è nuova...allora, da lì dovete andare sempre dritti, ve la trovate sulla destra, villette a schiera, civico 8"
"Ok"
Troviamo la via poco dopo, ma del numero civico manco l'ombra.
Essendo tutte case nuovissime, per altro disposte su due file parallele con ingressi all'interno, i numeri civici risultano invisibili.
Scendiamo dal mezzo, passiamo in mezzo alla fila di case correndo, ma del numero 8 nemmeno l'ombra.
Altre parolacce.
Il caposquadra chiama di nuovo la C.O. "Qui non troviamo la casa, c'è qualcuno che ci aspetta?"
"Avevo chiesto all'utente di attendervi fuori, adesso lo richiamo"
Pochi minuti dopo, un uomo imponente, con una canottiera bianca e bisunta, ci viene incontro con calma.
"E' lei che ha chiamato?" chiediamo
"Si si, venite, da questa parte...mi ero dimenticato che il civico ancora non l'abbiamo esposto, stavo guardando la tv e mi ero dimenticato che non sapete dove siamo..."
Sconsolati lo seguiamo; ci conduce davanti ad una villetta, che ha già 4 o 5 persone curiose nel giardinetto.
Entriamo e un forte odore di feci e di qualcos'altro che avremmo capito soltanto dopo, ci investe.
Ci avviciniamo al bagno, e vediamo la scena.
Bagno piccolo e per terra, tra il lavandino e i sanitari c'è una donna, sulla trentina, decisamente sovrappeso, in orizzontale.
"Oh Dio che figura, mamma mia...ma perché..." ed inizia a piangere
"E' mia sorella, si chiama Elisa" ci dice sotto voce l'uomo in canottiera
"Elisa" la chiama il caposquadra "Adesso la tiriamo fuori, ok?" poi fa cenno a me di mettermi alla testa e agli altri due di recuperare tutti i presidi del caso.
Con manovre degne dei migliori contorsionisti, riusciamo a infilare ad Elisa il collarino, tirarla fuori dal bagno sulla spinale, prenderle i parametri e metterla sulla barella per caricarla in ambulanza.
Dopo aver fatto tutte le domande del caso, il caposquadra chiama la Centrale mentre io e gli altri due ci accingiamo a caricarla.
E' davvero pesante, ma cerchiamo di non farle capire che stiamo faticando, perché lei non smette di piangere.
Una volta caricata, anche l'ambulanza si impregna di quell'odore che avevamo sentito appena entrati.
"Elisa, lei ricorda tutto vero?" le domando di nuovo
"Si...mio Dio...volevo andare in bagno, ma mi è girata la testa e sono caduta...così mi sono ritrovata per terra...ho le mestruazioni...e mi sono fatta tutto dentro!" e singhiozza ancora più forte per l'imbarazzo
"Elisa non si preoccupi, purtroppo sono cose che succedono" le dice la collega rassicurandola
"Si ma che schifo" singhiozza lei "Io lavoro in una struttura di assistenza per anziani, so cosa vuol dire pulire una persona e non è mica bello! Figuriamoci per voi che non dovreste nemmeno farlo!"
"Elisa, noi siamo dei tuttofare" le dico cercando di sdrammatizzare "Non preoccuparti, ok?"
Lei cerca di sorridere tra un singhiozzo e l'altro "Vedete sono pure...si insomma...grossa ecco...e voi mi dovete sollevare! E' brutto non riuscire ad avere il controllo del proprio corpo!"
"In queste situazioni, meno ci si muove e meglio è" le dice la collega "Adesso stai tranquilla che ti diamo una pulita per quanto possiamo fare, è sempre meglio di nulla" e in due ci mettiamo a pulire il pulibile, anche se essendo spinalizzata non potevamo fare molto, era pur sempre qualcosa.
Poco dopo partiamo alla volta dell'ospedale.
Elisa era un po' meno imbarazzata, però faticava a guardarci negli occhi, ed eravamo tre donne con un solo uomo al volante.
"Meno male che siete tre donne..." ci dice a bassa voce "Sicuramente il vostro collega è bravo, però che vergogna...avrà visto qualcosa?"
"Elisa, il nostro collega è in servizio da parecchi anni, ne ha viste di cose, non si impressiona né scandalizza tanto facilmente!" le dice il caposquadra "Noi ci siamo da un po' meno, ma se fossimo così impressionabili, non faremmo questo mestiere, no?"
"Eh si..." ci dice con un timido sorriso
In poco arriviamo in ospedale, la sbarelliamo e la salutiamo.
"Grazie, davvero...siete stati davvero gentili" ci dice imbarazzata
Le sorridiamo e ce ne andiamo.
Ci siamo guardate in faccia tutte e tre.
"Cavolo che sfortuna...pure il ciclo..." dice la mia collega
"Sarà per quello che è andata per terra...." dice la mia caposquadra
"Beh è capitato anche a me di sentirmi male...per fortuna non mi è servita l'ambulanza!!!" constato risalendo sul mezzo
"A me non potrà mai succedere! Ehehehe" ridacchia il nostro autista, che si becca uno sguardo di fuoco da parte di tutte e tre "Ok ok scherzo...cioè, no non scherzo...va beh fanciulle, avete capito!"
"Si, si...abbiamo capito!"
sabato 27 ottobre 2012
Il confine
Sono circa le 2 di notte d'inverno quando il 118 chiama, siamo andati a letto presto, forse una delle poche volte, ed ecco la fregatura.
"Rosso a XXX, bambino di 15 mesi che non respira, vi diamo tutti i dettagli via filo, andate!" dice l'operatore, e noi scattiamo come se fossimo stati svegli da subito.
La destinazione è lontana, ma probabilmente di ambulanze operative questa notte non ce ne sono tante.
"Ciao, è la XXX, siamo a metà tragitto circa, il bambino?" chiedo con il foglio della missione in mano
"Allora, cambio codice in giallo, bambino ha ripreso a respirare, ma voi andate comunque a dare un'occhiata, ok? MSA in supporto"
"Ricevuto" e chiudo la chiamata.
Qualche minuto dopo arriviamo in posto, una normalissima villetta di provincia come ce ne sono tante nella mia zona.
Alessia, sui 30 anni, ci aspetta fuori impaziente "Ma quanto ci avete messo??"
Cominciamo bene.
"Signora, noi distiamo da qui ben 14km, non possiamo metterci 3 minuti ad arrivare; dov'è il bambino?" le dico con tono calmo
Lei seccata ci conduce in casa.
Il piccolo Filippo, 15 mesi, è in braccio al papà, è bollente.
"Ha la febbre?" domando mentre lo prendo in braccio
"Si aveva la febbre alta! Poi ad un certo punto non ha respirato più, ha chiuso gli occhi e gli è uscita un po' di schiuma dalla bocca" mi dice il papà visibilmente spaventato "Siccome mia moglie era una volontaria come voi, ha detto che dovevamo chiamare l'ambulanza e così abbiamo fatto"
"Capisco, gli avete dato qualcosa nel frattempo? Tipo paracetamolo?" chiedo
"Si si assolutamente; non volevamo darglielo, sai, dare dei medicinali ai bimbi così piccoli non ci piace..." mi risponde sempre Alessia che mi guarda mentre controllo il piccolo Filippo assieme ai miei colleghi.
Poco dopo arriva il medico, al quale riferisco tutto quanto trovando conferma da parte di entrambi i giovani genitori.
"Signora, se il bambino ha la febbre così alta come leggo dalla scheda della collega, forse è il caso di appellarsi a Santo Paracetamolo, non crede? O aspettiamo sempre che abbiano le convulsioni? Non bisogna abusare dei farmaci, ma quando è necessario, sarebbe meglio fare un uso coscienzioso" dice il medico con tono quasi ironico, esplicitando il pensiero che tutti avevamo formulato.
Poi il medico guardandomi mi dice "Facciamo che lo portate comunque a fare un controllino all'ospedale qui vicino, noi vi seguiamo in macchina visto che stiamo rientrando a nostra volta" mi dà tutti i documenti del caso e poi aspetta fuori.
Noi in poco carichiamo Filippo e la sua agitatissima mamma Alessia, che appena sale in ambulanza inizia a mettere a dura prova la pazienza mia e dei miei colleghi.
"Allora, tu prendi il ghiaccio, le garze e dammi anche la coperta, gli abbassiamo la temperatura però senza scoprirlo, ok?" dice sbracciandosi sul mezzo.
I miei colleghi mi guardano con un punto di domanda stampato in faccia, cercando di capire come comportarsi.
"Allora, adesso lei si mette sulla barella, la cinghiamo bene, copriamo lei che con questo freddo ha avuto la bella pensata di uscire senza giacca, e noi pensiamo a Filippo che resterà da qui all'ospedale tra le sue braccia, chiaro?" le dico con il classico sorriso-da-soccorritore stampato sulla faccia
"Si ma se non gli metto il ghiaccio...senti tu lì dietro, passamene uno! Perché l'ambulanza non si muove??" dice continuando ad agitarsi in direzione dei miei due colleghi, impedendoci di assicurarla sulla barella.
"Alessia, non glielo ripeterò un'altra volta; mi fa piacere che anche lei sia dei nostri, comprendo l'agitazione per il frangente spiacevole, MA qui nessuno si muove finché non si rimette seduta sulla barella e smette di fare qualcosa che non le compete, il caposquadra sono io, loro sono i miei colleghi, noi gestiamo la situazione, che sarebbe molto meno complicata se lei adesso collaborasse. Ne avrà visti di pazienti non collaboranti, no?" le dico e lei annuisce "Bene, spero di non doverla considerare uno di quelli" le dico con calma
"Alessia smettila" interviene secco il marito aprendo il portellone dell'ambulanza "Questi ragazzi sono qui per aiutarci, l'ha detto anche il medico che ci pensano loro, cerca di tenere Filippo e dar retta ai loro consigli" le dice "In pochi minuti saremo in ospedale, io vi seguo in macchina, dai, ci vediamo tra poco" e chiude il portellone
"E va bene" sbuffa seccata mettendosi sulla barella, e il tragitto prosegue senza intoppi fino all'ospedale dove scarichiamo lei e il piccolo Filippo.
"Se siete testardi..." mi dice sottovoce mentre la accompagniamo dentro al pronto soccorso
"Avevamo alternativa?" le chiedo mentre ricontrollo i documenti
"Probabilmente no..." mi dice con tono quasi amareggiato "Ho oltrepassato il confine, vero?"
Io e colleghi facciamo spallucce.
"Se fosse capitato a me come soccorritore, probabilmente me la sarei presa col paziente..." ci dice a denti stretti.
Noi restiamo in silenzio.
"Ciao ragazzi" ci dice l'infermiera del PS pediatrico "Che succede?"
Inizio a fargli un rapido resoconto, "Ottimo, vedo che l'avete trasportato nel modo corretto" poi si avvicina ai genitori di Filippo e inizia a parlare con loro.
Noi salutiamo e usciamo, e non posso fare a meno di notare l'occhiata di gelo che ci lancia Alessia mentre ce ne andiamo.
mercoledì 24 ottobre 2012
Sbocc-attack
Mattinata uggiosa, di quelle dove la pioggia cade stile vaporizzatore, ovvero: quanto basta a darti fastidio, ma non abbastanza per avere una qualsivoglia utilità.
Sono circa le 9 quando arriva la chiamata "Verde, XXX, sospetta frattura del femore in persona anziana".
Ordinaria amministrazione, penso mentre assieme ai miei due colleghi salgo in ambulanza lamentandomi della pioggia che mi stava trasformando i capelli in una massa informe.
"Dopo facciamo colazione? Io ho fame" dico al mio autista durante il tragitto, non sapendo a cosa stavo andando incontro.
Ebbene si, non potevo sapere che il mio peggior incubo stava per diventare realtà.
"Eheheh fanciulla, vediamo se rientriamo!" mi dice ridendo e in poco arriviamo in posto.
Ci attende al piano terra un uomo sulla quarantina, si chiama Luca e si presenta come il figlio della signora Marzia, 70 anni, sprofondata nel morbido materasso del letto matrimoniale.
"Ieri è caduta, l'abbiamo messa a letto e siccome non passava, il medico di famiglia ci ha detto di chiamarvi, venite" e ci indica la strada "Lui è ancora di sopra".
Saliamo le scale, al primo piano troviamo la camera da letto.
Mentre i miei colleghi vanno a prendere i parametri e valutano la signora, il medico mi ferma spiegandomi brevemente vita e miracoli della signora Marzia.
"Si, ma doc, perché non chiamare ieri l'ambulanza?" domando mentre guardo le carte della signora
"Non avevamo capito l'entità del danno" mi risponde secco "Ora devo andare, ho un'altra visita".
E quindi, giustamente, sospettando una frattura del femore la fa sistemare sul letto. Non fa una piega.
Mamma mia, roba da non credere, penso mentre lui se ne va, e torno dalla signora.
"Parametri nella norma, la frattura del femore è più che sospetta" mi dice sottovoce la mia collega alzando le lenzuola che rivelano la classica posizione ruotata del piede.
"Eh va bene, Marzia andiamo a fare un controllino, ok? Roba da poco, giusto per sistemare questa gamba, ok?" le dico cercando di tranquillizzarla, la vedo nervosa.
"Va bene, però devo dirvi una cosa..." ci dice esitante e un po' spaventata "Appena mi muovono, vomito"
Io la guardo, come gli altri due colleghi, con un pizzico di diffidenza; tutti i pazienti dicono così, ma alla fine (PER FORTUNA) solo una parte di loro ha davvero questo problema.
"Staremo attenti" la rassicuro, e iniziamo a metterla sulla tavola spinale.
"Visto Marzia? E' tutto a posto!" le dice l'autista mentre la leghiamo con il ragno e tutto l'ambaradan del caso.
Per fortuna non è un paziente XXXL, così senza sforzi eccessivi la solleviamo e iniziamo il tragitto per portarla sulla barella.
Arriviamo sulle scale, e appena iniziamo a scenderle Marzia si lamenta "Mi viene da vomitare!"
"Resista Marzia, è solo una sensazione!" le dico intenta a non inciampare "Abbia ancora qualche secondo di pazienza" mentre pronuncio queste parole, mettiamo l'ultimo piede giù dall'ultimo gradino della scala e sento il familiare suono di un bel conato.
Cazzo, lo sbocco in sospensione no!!
Io e colleghi, da bravi circensi improvvisati, siamo riusciti a mettere la spinale sulla barella preparata qui fuori, e ad evitare che Marzia ci riversasse in testa la colazione, tenendole il sacchetto sotto la pioggerella.
Appena terminato lo "sbocc-attack", la carichiamo in ambulanza.
"Ehm guardate che ha la nausea persino quando viene con me in macchina ed è seduta davanti!" ci dice imbarazzato il figlio.
Io e colleghi ci scambiamo uno sguardo eloquente, il mio peggiore incubo è diventato realtà: paziente con lo sbocco estremamente facile.
Fantastico.
Il viaggio, naturalmente, l'ho passato tenendo il sacchetto incollato alla paziente che ha vomitato tutto il viaggio fino a dentro il PS mentre la mia collega teneva la spinale.
Naturalmente avevo a portata di mano la mia boccetta di eucalipto che mi ha salvata alla grande anche questa volta.
Forse dovrei aprire un nuovo segnalibro dedicato alle sole "sbocc-adventures" perché io il paziente vomitante è un lusso che proprio non riesco a farmi mancare...mai.
Sono circa le 9 quando arriva la chiamata "Verde, XXX, sospetta frattura del femore in persona anziana".
Ordinaria amministrazione, penso mentre assieme ai miei due colleghi salgo in ambulanza lamentandomi della pioggia che mi stava trasformando i capelli in una massa informe.
"Dopo facciamo colazione? Io ho fame" dico al mio autista durante il tragitto, non sapendo a cosa stavo andando incontro.
Ebbene si, non potevo sapere che il mio peggior incubo stava per diventare realtà.
"Eheheh fanciulla, vediamo se rientriamo!" mi dice ridendo e in poco arriviamo in posto.
Ci attende al piano terra un uomo sulla quarantina, si chiama Luca e si presenta come il figlio della signora Marzia, 70 anni, sprofondata nel morbido materasso del letto matrimoniale.
"Ieri è caduta, l'abbiamo messa a letto e siccome non passava, il medico di famiglia ci ha detto di chiamarvi, venite" e ci indica la strada "Lui è ancora di sopra".
Saliamo le scale, al primo piano troviamo la camera da letto.
Mentre i miei colleghi vanno a prendere i parametri e valutano la signora, il medico mi ferma spiegandomi brevemente vita e miracoli della signora Marzia.
"Si, ma doc, perché non chiamare ieri l'ambulanza?" domando mentre guardo le carte della signora
"Non avevamo capito l'entità del danno" mi risponde secco "Ora devo andare, ho un'altra visita".
E quindi, giustamente, sospettando una frattura del femore la fa sistemare sul letto. Non fa una piega.
Mamma mia, roba da non credere, penso mentre lui se ne va, e torno dalla signora.
"Parametri nella norma, la frattura del femore è più che sospetta" mi dice sottovoce la mia collega alzando le lenzuola che rivelano la classica posizione ruotata del piede.
"Eh va bene, Marzia andiamo a fare un controllino, ok? Roba da poco, giusto per sistemare questa gamba, ok?" le dico cercando di tranquillizzarla, la vedo nervosa.
"Va bene, però devo dirvi una cosa..." ci dice esitante e un po' spaventata "Appena mi muovono, vomito"
Io la guardo, come gli altri due colleghi, con un pizzico di diffidenza; tutti i pazienti dicono così, ma alla fine (PER FORTUNA) solo una parte di loro ha davvero questo problema.
"Staremo attenti" la rassicuro, e iniziamo a metterla sulla tavola spinale.
"Visto Marzia? E' tutto a posto!" le dice l'autista mentre la leghiamo con il ragno e tutto l'ambaradan del caso.
Per fortuna non è un paziente XXXL, così senza sforzi eccessivi la solleviamo e iniziamo il tragitto per portarla sulla barella.
Arriviamo sulle scale, e appena iniziamo a scenderle Marzia si lamenta "Mi viene da vomitare!"
"Resista Marzia, è solo una sensazione!" le dico intenta a non inciampare "Abbia ancora qualche secondo di pazienza" mentre pronuncio queste parole, mettiamo l'ultimo piede giù dall'ultimo gradino della scala e sento il familiare suono di un bel conato.
Cazzo, lo sbocco in sospensione no!!
Io e colleghi, da bravi circensi improvvisati, siamo riusciti a mettere la spinale sulla barella preparata qui fuori, e ad evitare che Marzia ci riversasse in testa la colazione, tenendole il sacchetto sotto la pioggerella.
Appena terminato lo "sbocc-attack", la carichiamo in ambulanza.
"Ehm guardate che ha la nausea persino quando viene con me in macchina ed è seduta davanti!" ci dice imbarazzato il figlio.
Io e colleghi ci scambiamo uno sguardo eloquente, il mio peggiore incubo è diventato realtà: paziente con lo sbocco estremamente facile.
Fantastico.
Il viaggio, naturalmente, l'ho passato tenendo il sacchetto incollato alla paziente che ha vomitato tutto il viaggio fino a dentro il PS mentre la mia collega teneva la spinale.
Naturalmente avevo a portata di mano la mia boccetta di eucalipto che mi ha salvata alla grande anche questa volta.
Forse dovrei aprire un nuovo segnalibro dedicato alle sole "sbocc-adventures" perché io il paziente vomitante è un lusso che proprio non riesco a farmi mancare...mai.
sabato 20 ottobre 2012
Copia&Incolla? Ctrl+c .. Ctrl+v, fate prima.
Siccome mi hanno chiesto perché ho deciso di approdare su Facebook, spreco un post per fare qualche considerazione.
La prima ragione per cui l'ho fatto è perché ho pensato che forse era il momento di dare un po' più di spazio a questo blog, soprattutto su una piattaforma che, pur non entusiasmandomi, ha comunque ancora un bel potere di diffusione.
Inoltre continuo ad incappare in pagine FB che letteralmente copiano ed incollano i post dal blog, alcuni li hanno anche firmati col proprio nome, e sono certa che a qualcuno di voi non è sfuggita la cosa.
L'ho trovato un po' fastidioso; in particolare, mi fa davvero piacere che il mio messaggio circoli, però mi dispiace vederlo firmato addirittura da altre persone, considerato che io tengo a mantenere l'anonimato proprio perché non conta chi sono io, conta come stanno le cose che racconto. Io sono una persona qualunque, l'ho sempre detto, è scritto in alto a destra del blog, no?
Bene.
Vedere le mie esperienze con sotto un'altra firma, beh...permettetelo, mi fa girare le palle, eccome.
Così invito quelli che fanno copia e incolla, pure firmando in qualche caso che ho visto, a scrivermi due righe almeno, mi pare il minimo.
Ho costruito il blog mettendomi in gioco in prima persona, a volte non è facile raccontarvi e condividere quello che vi racconto e condivido, l'avrete capito da soli.
Conosco bene le dinamiche del web, non è una questione di ingenuità.
E' che, più semplicemente, mi dispiace.
venerdì 19 ottobre 2012
Roba da pazzi
Intitolo questo post così perché MAI nella mia esperienza di soccorritore ho avuto a che fare con un paziente che minaccia l'equipaggio di turno a suon di "tanto so come devo fare per chiamare il 118 e farmi mandare l'ambulanza, e sarete obbligati a fare quello che dico io".
Sono stata fortunata fino ad allora?
Probabile.
Di chi sto parlando?
Di un paziente con cui ormai abbiamo dimestichezza perché ogni tanto, quando gli gira (tradotto = circa una volta a settimana), chiama il 118 fingendo una grave dispnea e si fa un giro in Pronto Soccorso.
I PS della zona ormai conoscono bene questo paziente, e normalmente lo rispediscono a casa immediatamente...tutti tranne un paio, che sembrano stare al suo gioco e che quindi il nostro affezionato predilige.
Questo paziente, 80 anni suonati e completamente solo, nei suoi momenti deliranti una cosa giusta l'ha detta: "Ho lavorato e pagato le tasse, ho il diritto di essere curato".
Vero.
Il punto è che invece, adesso che è in difficoltà, il sistema si dimentica di lui, da qui lo sviluppo della sindrome del "118 facile".
Quella mattina, alle 6, veniamo svegliati dal suono della campana;
Leggo il foglio del servizio:
Codice giallo.
Mmm.
Problemi respiratori, dispnea.
Sarà mica....?
Nome del richiedente: Signor Rossi.
Eccolo, puntuale. Codice Rossi.
Conoscere il paziente dovrebbe rendere l'uscita più semplice, ma con lui questa regola non vale.
I soccorritori per il Rossi sono alla stregua di sguatteri occasionali, il che a volte fa quasi ridere, ma diciamo che alle 6 del mattino tanto divertente non è.
Arriviamo a casa sua in poco tempo, ci facciamo aprire e lo troviamo in piedi ciondolante per casa, tranquillo.
"Buon giorno Rossi" gli diciamo "Che succede sta volta?"
"Non respiro!" ci dice fingendo affaticamento, lo spettacolo stava per iniziare.
"Ok, dai si sieda, prendiamo i parametri e vediamo come va, ok? Come al solito" gli diciamo e proseguiamo rilevando i parametri che, come sempre, sono impeccabili.
"Voglio andare a farmi vedere" dice "Sto male!"
"E va bene, ma non si può andare a XXX, è intasato e..." il mio caposquadra non fa in tempo a terminare la frase che Rossi inizia a sbraitare "Voi non avete capito! Io devo andare là, gli altri mi mandano a casa, là invece mi curano davvero!"
Noi, che conosciamo bene la situazione, decidiamo di non dargli troppa corda e con gentilezza lo convinciamo a salire in ambulanza dove lui continua imperterrito ad urlarci contro che noi siamo obbligati a fare quello che dice lui e via dicendo.
Discutere con Rossi è assolutamente inutile, fa prendere rabbia a noi e a lui, quindi dopo aver cercato di calmarlo spiegando le cose in modo tranquillo, decidiamo di non proseguire col dibattito.
In poco arriviamo in PS, ed è qui che inizia a salirci l'agitazione.
Come reagirà Rossi quando s'accorgerà che questo non è il PS che vuole?
Cercando di far finta di nulla, scarichiamo la barella avvisando che siamo arrivati e l'annuncio ha avuto lo stesso effetto che ha un lenzuolo rosso sventolato davanti al naso di un toro inferocito.
"Io qua non voglio starci! Voi dovete portarmi a XXX, io ho pagato!"
"Rossi, per quel servizio deve pagare un'ambulanza che la venga a prendere e la porti dove vuole lei...il 118 sa che non funziona così, non ricominciamo a discutere su!" gli dico cercando di minimizzare
"No! Voi siete qui apposta per portarmi dove dico io! Non fate abbastanza!"
"Rossi, noi abbiamo fatto anche troppo, il 118 non serve per fare da taxi" gli dice un mio collega, constatando che la nostra ambulanza è impegnata dalle 6 con il signor Rossi, e al momento sono quasi le 8.
"Voi fate come vi dico! Se voglio andare in PS, mi ci portate gratis!" e mentre lui seguita ad urlare, arriva il medico del PS che riconoscendo il nostro paziente, decide di farcelo scaricare lì e che l'avrebbero gestito loro.
"IO VI DENUNCIO SE MI LASCIATE QUI!" urla, attaccandosi alla nostra barella a ventosa e iniziando una scenata senza precedenti.
Non c'è stato modo di scollarlo dalla barella, tanto che la C.O. ha dovuto staccare la nostra ambulanza (che batte un territorio abbastanza vasto e non sempre ben coperto, per inciso) per far riportare il Rossi a casa.
Frustrati e sconsolati, ce lo portiamo via, mentre lui seguita a dircene di cotte e di crude.
Simula persino di morire soffocato sulla barella, ma siccome lo conosco abbastanza bene, prendo la maschera per l'ossigeno che lui odia, e gli dico "A chi fa fatica a respirare si dà l'ossigeno, adesso gliene do un po' e vediamo come va, ok?"
Appena la vede, si calma immediatamente e mi dice "No no, passato!".
A breve siamo nuovamente sotto casa sua, dove lo dobbiamo riportare e lui inizia di nuovo ad urlare, arrivando a dire "Tanto so come devo fare per chiamare il 118 e farmi mandare l'ambulanza, e sarete obbligati a fare quello che dico io".
Noi ci guardiamo, controlliamo l'ora, sono le 8 passate.
Avremmo dovuto smontare alle 7.
Decidiamo di farci dare il cambio dai colleghi, che vengono per fortuna a recuperarci, perché se avessimo scaricato Rossi a casa, non avremmo fatto in tempo a girare l'angolo che saremmo dovuti correre di nuovo da lui.
Inutile dire che, alla fine, l'ha avuta vinta lui ed è stato portato dove desiderava.
Servizio taxi, insomma.
Di questi casi ce ne sono a bizzeffe, scommetto che ogni sede ha i suoi "pazienti affezionati" che si vanno a prendere una volta a settimana, però trovo immensamente triste che queste persone vengano abbandonate in questo modo.
E' ingiusto, sia nei loro confronti sia nei confronti di chi magari in quel momento ha davvero bisogno di un'ambulanza, che però non c'è perché sta facendo un servizio come questo.
Questo paziente, 80 anni suonati e completamente solo, nei suoi momenti deliranti una cosa giusta l'ha detta: "Ho lavorato e pagato le tasse, ho il diritto di essere curato".
Vero.
Il punto è che invece, adesso che è in difficoltà, il sistema si dimentica di lui, da qui lo sviluppo della sindrome del "118 facile".
Quella mattina, alle 6, veniamo svegliati dal suono della campana;
Leggo il foglio del servizio:
Codice giallo.
Mmm.
Problemi respiratori, dispnea.
Sarà mica....?
Nome del richiedente: Signor Rossi.
Eccolo, puntuale. Codice Rossi.
Conoscere il paziente dovrebbe rendere l'uscita più semplice, ma con lui questa regola non vale.
I soccorritori per il Rossi sono alla stregua di sguatteri occasionali, il che a volte fa quasi ridere, ma diciamo che alle 6 del mattino tanto divertente non è.
Arriviamo a casa sua in poco tempo, ci facciamo aprire e lo troviamo in piedi ciondolante per casa, tranquillo.
"Buon giorno Rossi" gli diciamo "Che succede sta volta?"
"Non respiro!" ci dice fingendo affaticamento, lo spettacolo stava per iniziare.
"Ok, dai si sieda, prendiamo i parametri e vediamo come va, ok? Come al solito" gli diciamo e proseguiamo rilevando i parametri che, come sempre, sono impeccabili.
"Voglio andare a farmi vedere" dice "Sto male!"
"E va bene, ma non si può andare a XXX, è intasato e..." il mio caposquadra non fa in tempo a terminare la frase che Rossi inizia a sbraitare "Voi non avete capito! Io devo andare là, gli altri mi mandano a casa, là invece mi curano davvero!"
Noi, che conosciamo bene la situazione, decidiamo di non dargli troppa corda e con gentilezza lo convinciamo a salire in ambulanza dove lui continua imperterrito ad urlarci contro che noi siamo obbligati a fare quello che dice lui e via dicendo.
Discutere con Rossi è assolutamente inutile, fa prendere rabbia a noi e a lui, quindi dopo aver cercato di calmarlo spiegando le cose in modo tranquillo, decidiamo di non proseguire col dibattito.
In poco arriviamo in PS, ed è qui che inizia a salirci l'agitazione.
Come reagirà Rossi quando s'accorgerà che questo non è il PS che vuole?
Cercando di far finta di nulla, scarichiamo la barella avvisando che siamo arrivati e l'annuncio ha avuto lo stesso effetto che ha un lenzuolo rosso sventolato davanti al naso di un toro inferocito.
"Io qua non voglio starci! Voi dovete portarmi a XXX, io ho pagato!"
"Rossi, per quel servizio deve pagare un'ambulanza che la venga a prendere e la porti dove vuole lei...il 118 sa che non funziona così, non ricominciamo a discutere su!" gli dico cercando di minimizzare
"No! Voi siete qui apposta per portarmi dove dico io! Non fate abbastanza!"
"Rossi, noi abbiamo fatto anche troppo, il 118 non serve per fare da taxi" gli dice un mio collega, constatando che la nostra ambulanza è impegnata dalle 6 con il signor Rossi, e al momento sono quasi le 8.
"Voi fate come vi dico! Se voglio andare in PS, mi ci portate gratis!" e mentre lui seguita ad urlare, arriva il medico del PS che riconoscendo il nostro paziente, decide di farcelo scaricare lì e che l'avrebbero gestito loro.
"IO VI DENUNCIO SE MI LASCIATE QUI!" urla, attaccandosi alla nostra barella a ventosa e iniziando una scenata senza precedenti.
Non c'è stato modo di scollarlo dalla barella, tanto che la C.O. ha dovuto staccare la nostra ambulanza (che batte un territorio abbastanza vasto e non sempre ben coperto, per inciso) per far riportare il Rossi a casa.
Frustrati e sconsolati, ce lo portiamo via, mentre lui seguita a dircene di cotte e di crude.
Simula persino di morire soffocato sulla barella, ma siccome lo conosco abbastanza bene, prendo la maschera per l'ossigeno che lui odia, e gli dico "A chi fa fatica a respirare si dà l'ossigeno, adesso gliene do un po' e vediamo come va, ok?"
Appena la vede, si calma immediatamente e mi dice "No no, passato!".
A breve siamo nuovamente sotto casa sua, dove lo dobbiamo riportare e lui inizia di nuovo ad urlare, arrivando a dire "Tanto so come devo fare per chiamare il 118 e farmi mandare l'ambulanza, e sarete obbligati a fare quello che dico io".
Noi ci guardiamo, controlliamo l'ora, sono le 8 passate.
Avremmo dovuto smontare alle 7.
Decidiamo di farci dare il cambio dai colleghi, che vengono per fortuna a recuperarci, perché se avessimo scaricato Rossi a casa, non avremmo fatto in tempo a girare l'angolo che saremmo dovuti correre di nuovo da lui.
Inutile dire che, alla fine, l'ha avuta vinta lui ed è stato portato dove desiderava.
Servizio taxi, insomma.
Di questi casi ce ne sono a bizzeffe, scommetto che ogni sede ha i suoi "pazienti affezionati" che si vanno a prendere una volta a settimana, però trovo immensamente triste che queste persone vengano abbandonate in questo modo.
E' ingiusto, sia nei loro confronti sia nei confronti di chi magari in quel momento ha davvero bisogno di un'ambulanza, che però non c'è perché sta facendo un servizio come questo.
giovedì 11 ottobre 2012
Thank you very much
Sono circa le 22 quando il suono della chiamata, inconfondibile, interrompe la nostra serata.
Codice giallo, evento cardiologico in paziente sessantenne.
Arriviamo in poco tempo, conosco bene la strada e altrettanto bene la via in questione.
"Buona sera signora, che succede?" domando appena vedo arrivarmi incontro una signora preoccupata seguita da un ragazzo
"Mio padre è svenuto" dice lui "E' diventato tutto rosso e adesso è pallido!"
Il signor Luigi ha dei trascorsi che gli hanno imposto l'impianto del pacemaker, e probabilmente l'entrata in funzione del suo salvavita artificiale deve avergli provocato il malore...come era già successo tempo prima, ci dice, stesso episodio.
"Luigi, mi dica, cosa si sente?" domando mentre i miei colleghi prendono i parametri
"Stanco...un po' affaticato, mi manca un po' il respiro" mi dice "Ma non preoccupatevi..."
"Luigi noi dobbiamo preoccuparci!" gli dice un mio collega "Non è che l'attacchino gliel'ha provocato la partita di calcio??" continua cercando di far rilassare Luigi, che sorride e risponde "Eh cavolo...non farmici pensare mica che me ne torna un altro!!"
Tranquillizzati anche figlio e moglie, carichiamo Luigi sulla barella e mentre lo spingiamo fuori la signora mi grida "Grazie dottoressa!"
Io sorridendo le dico quello che ripeto ai 3/4 dei pazienti che ci crede dei medici "Signora noi non siamo dottori, siamo dei soccorritori"
Il figlio mi affianca, mi mette una mano sulla spalla e mi dice "Massì, va bene lo stesso, voi vi fate proprio un gran culo ragazzi, siete i migliori, grazie!"
Io e colleghi sorridiamo, non è vero che la gente non ringrazia mai...o forse semplicemente noi siamo molto fortunati a trovare chi un "grazie" e un "sorriso" ce lo regala spesso.
"Troppo gentile, peccato per la partita di stasera!" risponde ridendo il nostro autista
"Eh va beh...le mazzate facciamo sempre in tempo a riprenderle la prossima volta!" dice Luigi dalla barella.
Il viaggio prosegue tranquillo, scambiamo qualche battuta e poi arriviamo in ospedale, dove lasciamo Luigi.
"Abbiamo avvisato che suo figlio sta arrivando, di indirizzarlo qui in astanteria, i suoi documenti sono tutti a posto...adesso ci vuole solo un po' di pazienza" gli dico mentre sistemo assieme al mio collega le ultime cose
"Grazie davvero ragazzi!" ci dice riconoscente
"Di nulla Luigi, buona notte" gli diciamo, andandocene un sorriso stampato in faccia.
Codice giallo, evento cardiologico in paziente sessantenne.
Arriviamo in poco tempo, conosco bene la strada e altrettanto bene la via in questione.
"Buona sera signora, che succede?" domando appena vedo arrivarmi incontro una signora preoccupata seguita da un ragazzo
"Mio padre è svenuto" dice lui "E' diventato tutto rosso e adesso è pallido!"
Il signor Luigi ha dei trascorsi che gli hanno imposto l'impianto del pacemaker, e probabilmente l'entrata in funzione del suo salvavita artificiale deve avergli provocato il malore...come era già successo tempo prima, ci dice, stesso episodio.
"Luigi, mi dica, cosa si sente?" domando mentre i miei colleghi prendono i parametri
"Stanco...un po' affaticato, mi manca un po' il respiro" mi dice "Ma non preoccupatevi..."
"Luigi noi dobbiamo preoccuparci!" gli dice un mio collega "Non è che l'attacchino gliel'ha provocato la partita di calcio??" continua cercando di far rilassare Luigi, che sorride e risponde "Eh cavolo...non farmici pensare mica che me ne torna un altro!!"
Tranquillizzati anche figlio e moglie, carichiamo Luigi sulla barella e mentre lo spingiamo fuori la signora mi grida "Grazie dottoressa!"
Io sorridendo le dico quello che ripeto ai 3/4 dei pazienti che ci crede dei medici "Signora noi non siamo dottori, siamo dei soccorritori"
Il figlio mi affianca, mi mette una mano sulla spalla e mi dice "Massì, va bene lo stesso, voi vi fate proprio un gran culo ragazzi, siete i migliori, grazie!"
Io e colleghi sorridiamo, non è vero che la gente non ringrazia mai...o forse semplicemente noi siamo molto fortunati a trovare chi un "grazie" e un "sorriso" ce lo regala spesso.
"Troppo gentile, peccato per la partita di stasera!" risponde ridendo il nostro autista
"Eh va beh...le mazzate facciamo sempre in tempo a riprenderle la prossima volta!" dice Luigi dalla barella.
Il viaggio prosegue tranquillo, scambiamo qualche battuta e poi arriviamo in ospedale, dove lasciamo Luigi.
"Abbiamo avvisato che suo figlio sta arrivando, di indirizzarlo qui in astanteria, i suoi documenti sono tutti a posto...adesso ci vuole solo un po' di pazienza" gli dico mentre sistemo assieme al mio collega le ultime cose
"Grazie davvero ragazzi!" ci dice riconoscente
"Di nulla Luigi, buona notte" gli diciamo, andandocene un sorriso stampato in faccia.
lunedì 1 ottobre 2012
Un pomeriggio di pioggia
Oggi voglio raccontarvi un'uscita che mi è capitato di fare parecchio tempo fa, ma che mi è rimasta impressa perché anomala.
Come già vi dissi in altre occasioni, quando la Centrale Operativa ci invia in soccorso di qualche bambino in difficoltà spesso e volentieri ci dà un codice rosso.
Il più delle volte non sono nemmeno lontanamente dei codici gialli, figuriamoci dei rossi. Per fortuna.
Tuttavia è quando questi codici gialli e o rossi restano invariati che, di norma, ci si preoccupa.
E' quello che successe proprio quella volta, in un tardo pomeriggio di pioggia.
"Giallo, bambino con convulsioni" ci dice l'operatore della C.O.
Noi siamo in quattro, in pochi minuti arriviamo sul posto, portiamo giù tutto ciò che ci era possibile portare giù dal mezzo ed entriamo in casa.
"Aiutateci! Vi prego! Sta male!" urla una signora, madre di Michele, un bimbetto biondo di meno di due anni che giace sul divano supino.
Ci catapultiamo sul piccolo e alla velocità della luce cercando in ogni modo di stabilizzarlo per quanto possibile.
Era sicuramente febbricitante, le convulsioni, che non accennavano a smettere, in un primo momento pensavamo fossero dovute esclusivamente a quello.
Cerchiamo di raffreddarlo.
Niente, non si riprende.
Le pupille midriatiche, la lingua gonfia, la mandibola serrata e la saturazione in calo ci spingono a provare ad infilare la canula orofaringea.
Non ne avevo mai infilata una in bocca ad un bambino prima di allora, per inciso, però non me la sono sentita di tenerlo in braccio, non ho grande dimestichezza con questo tipo di paziente, così ho preferito provare la manovra mentre una collega più esperta lo sorreggeva.
Niente da fare, non la tollerava.
La madre del piccolo Michele inizia a diventare pallida, quasi bluastra "Ma io ho chiamato l'ambulanza! Dove sono quelli dell'ambulanza??!" non dimenticherò mai questa scena, rare sono state le volte in cui ho visto tanta disperazione negli occhi di una persona "Quelli dell'ambulanza siamo noi signora" le risponde con tono pacato il nostro autista quando sentiamo per radio che anche l'Automedica stava venendo in nostro supporto.
Quello che vi sto raccontando è avvenuto in un lasso di tempo davvero breve, ma che se ci ripenso è sembrata davvero un'eternità.
"Signora sta arrivando il medico" dice una mia collega
Michele non si riprende, respira male, sembra abbia del muco nelle vie aeree e la lingua gonfia che s'è anche morso non facilita il nostro lavoro.
La frustrazione sta prendendo piede nei nostri animi.
Continuiamo a cercare di raffreddarlo, di aprirgli la bocca, lo chiamiamo, le proviamo davvero tutte più o meno ortodosse che siano.
La stanza è a soqquadro, la nostra roba è sparsa in giro pronta per essere usata, i genitori sono sotto shock e mentre noi cerchiamo di rassicurarli sul fatto che i bambini hanno capacità di ripresa incredibili, sentiamo la sirena dell'Automedica.
In pochi secondi medico ed infermiere sono in casa.
Dedico due righe per dirvi che quella volta sono stati davvero eccezionali, vederli lavorare così bene è stato soddisfacente anche per noi che fino a pochi istanti prima eravamo così impotenti.
Aspirano in profondità, finalmente le vie aeree sono libere e il respiro diventa meno affannoso, ma Michele ancora non è presente.
Ha lo sguardo perso nel vuoto.
"Carichiamo forza, tenete pronto tutto, anche il DAE" dice l'infermiere lasciandoci senza parole
Essendo in quattro noi, io salgo sull'Automedica che segue l'ambulanza nella corsa verso l'ospedale più vicino.
Ci permettono di entrare insieme a Michele, mai viste tante persone lavorare su un paziente così piccolo.
Lo aspirano, monitorano, raffreddano e via dicendo.
Noi guardiamo la scena senza fiatare, come fosse un film.
Non so quanti minuti passano nel mentre, ma ad un certo punto una voce non ben identificata ci dice "Grazie ragazzi, potete andare".
"Ehm...ok..." diciamo quasi sottovoce e in punta di piedi usciamo dal PS.
Diamo uno sguardo all'ambulanza che, completamente sfatta dopo un intervento impegnativo, rispecchia abbastanza bene il nostro stato d'animo.
Purtroppo di uscite su bambini più o meno piccoli ne avevo già fatte parecchie, però era la prima volta che ne lasciavo uno in PS senza vederlo riprendersi.
E' stata una sensazione davvero strana, per fortuna durata poco.
Come già vi dissi in altre occasioni, quando la Centrale Operativa ci invia in soccorso di qualche bambino in difficoltà spesso e volentieri ci dà un codice rosso.
Il più delle volte non sono nemmeno lontanamente dei codici gialli, figuriamoci dei rossi. Per fortuna.
Tuttavia è quando questi codici gialli e o rossi restano invariati che, di norma, ci si preoccupa.
E' quello che successe proprio quella volta, in un tardo pomeriggio di pioggia.
"Giallo, bambino con convulsioni" ci dice l'operatore della C.O.
Noi siamo in quattro, in pochi minuti arriviamo sul posto, portiamo giù tutto ciò che ci era possibile portare giù dal mezzo ed entriamo in casa.
"Aiutateci! Vi prego! Sta male!" urla una signora, madre di Michele, un bimbetto biondo di meno di due anni che giace sul divano supino.
Ci catapultiamo sul piccolo e alla velocità della luce cercando in ogni modo di stabilizzarlo per quanto possibile.
Era sicuramente febbricitante, le convulsioni, che non accennavano a smettere, in un primo momento pensavamo fossero dovute esclusivamente a quello.
Cerchiamo di raffreddarlo.
Niente, non si riprende.
Le pupille midriatiche, la lingua gonfia, la mandibola serrata e la saturazione in calo ci spingono a provare ad infilare la canula orofaringea.
Non ne avevo mai infilata una in bocca ad un bambino prima di allora, per inciso, però non me la sono sentita di tenerlo in braccio, non ho grande dimestichezza con questo tipo di paziente, così ho preferito provare la manovra mentre una collega più esperta lo sorreggeva.
Niente da fare, non la tollerava.
La madre del piccolo Michele inizia a diventare pallida, quasi bluastra "Ma io ho chiamato l'ambulanza! Dove sono quelli dell'ambulanza??!" non dimenticherò mai questa scena, rare sono state le volte in cui ho visto tanta disperazione negli occhi di una persona "Quelli dell'ambulanza siamo noi signora" le risponde con tono pacato il nostro autista quando sentiamo per radio che anche l'Automedica stava venendo in nostro supporto.
Quello che vi sto raccontando è avvenuto in un lasso di tempo davvero breve, ma che se ci ripenso è sembrata davvero un'eternità.
"Signora sta arrivando il medico" dice una mia collega
Michele non si riprende, respira male, sembra abbia del muco nelle vie aeree e la lingua gonfia che s'è anche morso non facilita il nostro lavoro.
La frustrazione sta prendendo piede nei nostri animi.
Continuiamo a cercare di raffreddarlo, di aprirgli la bocca, lo chiamiamo, le proviamo davvero tutte più o meno ortodosse che siano.
La stanza è a soqquadro, la nostra roba è sparsa in giro pronta per essere usata, i genitori sono sotto shock e mentre noi cerchiamo di rassicurarli sul fatto che i bambini hanno capacità di ripresa incredibili, sentiamo la sirena dell'Automedica.
In pochi secondi medico ed infermiere sono in casa.
Dedico due righe per dirvi che quella volta sono stati davvero eccezionali, vederli lavorare così bene è stato soddisfacente anche per noi che fino a pochi istanti prima eravamo così impotenti.
Aspirano in profondità, finalmente le vie aeree sono libere e il respiro diventa meno affannoso, ma Michele ancora non è presente.
Ha lo sguardo perso nel vuoto.
"Carichiamo forza, tenete pronto tutto, anche il DAE" dice l'infermiere lasciandoci senza parole
Essendo in quattro noi, io salgo sull'Automedica che segue l'ambulanza nella corsa verso l'ospedale più vicino.
Ci permettono di entrare insieme a Michele, mai viste tante persone lavorare su un paziente così piccolo.
Lo aspirano, monitorano, raffreddano e via dicendo.
Noi guardiamo la scena senza fiatare, come fosse un film.
Non so quanti minuti passano nel mentre, ma ad un certo punto una voce non ben identificata ci dice "Grazie ragazzi, potete andare".
"Ehm...ok..." diciamo quasi sottovoce e in punta di piedi usciamo dal PS.
Diamo uno sguardo all'ambulanza che, completamente sfatta dopo un intervento impegnativo, rispecchia abbastanza bene il nostro stato d'animo.
Purtroppo di uscite su bambini più o meno piccoli ne avevo già fatte parecchie, però era la prima volta che ne lasciavo uno in PS senza vederlo riprendersi.
E' stata una sensazione davvero strana, per fortuna durata poco.
Per vie traverse siamo riusciti ad informarci
sulle condizioni di Michele, che era riuscito
sulle condizioni di Michele, che era riuscito
a riprendersi soltanto giorni dopo.
venerdì 21 settembre 2012
Con gli occhi...chiusi
Ci sono pazienti le cui situazioni a volte mi spezzano il cuore, tanto che alcuni di loro mi dispiace davvero lasciarli soli in Pronto Soccorso.
Ogni soccorritore è più sensibile verso determinati tipi di pazienti e per quanto mi riguarda quelli che mi coinvolgono di più sono gli anziani.
Una di loro è la signora Sofia, ospite di una casa di riposo della mia zona.
Sofia non ci vede più, ha 80 anni, ma è ancora in sé e vuole in qualche modo mantenere un po' di indipendenza...tuttavia questi tentativi di preservazione di libertà la portano a volte a dei guai, come stamattina, quando Sofia testardamente ha deciso di alzarsi dal letto per andare in bagno cadendo rovinosamente per terra e battendo la testa.
Gli operatori della casa di riposo l'hanno trovata per terra in camera, con un occhio nero e un grosso bernoccolo sopra l'arcata sopraccigliare sinistra.
Dopo una medicazione veloce, all'alba delle 11 passate decidono di chiamare il 118 a causa dei dolori che lamentava Sofia e così arriviamo noi, per altro reduci da altre due uscite.
Appena arriviamo da Sofia, capiamo subito che abbiamo di fronte una signora bella arzilla e cerchiamo di tenerla calma spiegandole per filo e per segno ogni gesto che facciamo.
Inizialmente di lei si occupano i miei due colleghi, mentre io vengo portata in un'altra camera adiacente per dare una controllata ad una signora che secondo l'operatore della struttura non stava bene e necessitava di un'ambulanza; dopo aver specificato che io non sono un medico, ma che il problema della signora è palese, ovvero che la pressione alta in un paziente iperteso è normale se non segue una terapia, l'operatore della struttura si convince a richiamare il loro medico per decidere il da farsi e una volta convinti che la pastiglia per la pressione era necessaria, posso tranquillizzare l'operatore e andare da Sofia.
"Sofia mi raccomando" le dico una volta arrivati in ambulanza "Il collare che le abbiamo messo al collo serve per precauzione, non si agiti ok? Adesso partiamo, andiamo a XXX, è qui vicino e la strada è quasi tutta dritta! Se per caso ha dolori, nausea o qualsiasi altra cosa me lo dica, ok? Io e il mio collega siamo qui per lei"
"D'accordo...è che il collare mi dà fastidio...ma dov'è che andiamo?"
"A XXX Sofia, noi siamo qui con lei, stiamo compilando dei documenti, ma ci siamo!" le dico con calma e continuo a compilare i documenti mentre tengo d'occhio la signora, che sembra essersi acquietata sulla barella.
"Manca tanto?" mi domanda pochi minuti dopo
"No Sofia, tranquilla ci siamo quasi...adesso siamo a XXX, le curve sono tante perché ci sono tante rotonde...ecco, siamo in centro a XXX, ancora poco e smettiamo di sballottarla!" le dico tenendole la mano
E continuiamo a parlarle finché non arriviamo in PS, dove spiego all'infermiere del triage la situazione di Sofia.
Una volta registrata, la spostiamo sulla lettiga dell'ospedale e continuiamo a parlarle e spiegarle cosa stavamo facendo sia noi sia l'infermiere, per non farla sentire spaesata e supplire alla mancanza della vista.
Sofia viene messa in sala d'attesa degli allettati in attesa dei parenti, purtroppo la sala è vuota.
"Sofia guardi che il letto è alto, non cerchi di scendere perché potrebbe fare una brutta caduta" le dice il mio collega
"Ok..." dice lei "Ma se devo scendere?"
"No Sofia, tenga" le dico mettendole in mano il telecomando per le chiamate d'emergenza del PS "Se ha problemi, schiacci forte questo bottone che le ho messo sotto le dita, e qualcuno verrà ad aiutarla! Noi purtroppo dobbiamo andare, ma si ricordi di non mettere giù i piedi dal letto, d'accordo?"
"D'accordo...grazie" ci dice un po' disorientata
Avendo tirato davvero in lungo, ora dovevamo andare sul serio.
Mentre usciamo dalla sala d'attesa dei barellati che ha solo lei come unica paziente, un senso di tristezza mi prende.
"Scusami" dico ad un ragazzo fermo lì fuori in attesa del padre che era stato a sua volta portato in PS "Posso chiederti una cortesia? Vedi quella signora? Non vede, ed è un po' spaventata...se per favore le dai un'occhiata e le dai una mano mi faresti un immenso favore..."
"Si ho sentito" mi dice lui "D'accordo, resto qui fuori a controllare"
"Ti ringrazio" gli dico, un pochino meno triste
Mentre esco, il mio collega mi raggiunge "E' arrivato il fratello della signora di corsa, l'ho mandato in astanteria" mi dice.
Sapendo che Sofia non era più sola, ho provato un immenso senso di sollievo.
Ogni soccorritore è più sensibile verso determinati tipi di pazienti e per quanto mi riguarda quelli che mi coinvolgono di più sono gli anziani.
Una di loro è la signora Sofia, ospite di una casa di riposo della mia zona.
Sofia non ci vede più, ha 80 anni, ma è ancora in sé e vuole in qualche modo mantenere un po' di indipendenza...tuttavia questi tentativi di preservazione di libertà la portano a volte a dei guai, come stamattina, quando Sofia testardamente ha deciso di alzarsi dal letto per andare in bagno cadendo rovinosamente per terra e battendo la testa.
Gli operatori della casa di riposo l'hanno trovata per terra in camera, con un occhio nero e un grosso bernoccolo sopra l'arcata sopraccigliare sinistra.
Dopo una medicazione veloce, all'alba delle 11 passate decidono di chiamare il 118 a causa dei dolori che lamentava Sofia e così arriviamo noi, per altro reduci da altre due uscite.
Appena arriviamo da Sofia, capiamo subito che abbiamo di fronte una signora bella arzilla e cerchiamo di tenerla calma spiegandole per filo e per segno ogni gesto che facciamo.
Inizialmente di lei si occupano i miei due colleghi, mentre io vengo portata in un'altra camera adiacente per dare una controllata ad una signora che secondo l'operatore della struttura non stava bene e necessitava di un'ambulanza; dopo aver specificato che io non sono un medico, ma che il problema della signora è palese, ovvero che la pressione alta in un paziente iperteso è normale se non segue una terapia, l'operatore della struttura si convince a richiamare il loro medico per decidere il da farsi e una volta convinti che la pastiglia per la pressione era necessaria, posso tranquillizzare l'operatore e andare da Sofia.
"Sofia mi raccomando" le dico una volta arrivati in ambulanza "Il collare che le abbiamo messo al collo serve per precauzione, non si agiti ok? Adesso partiamo, andiamo a XXX, è qui vicino e la strada è quasi tutta dritta! Se per caso ha dolori, nausea o qualsiasi altra cosa me lo dica, ok? Io e il mio collega siamo qui per lei"
"D'accordo...è che il collare mi dà fastidio...ma dov'è che andiamo?"
"A XXX Sofia, noi siamo qui con lei, stiamo compilando dei documenti, ma ci siamo!" le dico con calma e continuo a compilare i documenti mentre tengo d'occhio la signora, che sembra essersi acquietata sulla barella.
"Manca tanto?" mi domanda pochi minuti dopo
"No Sofia, tranquilla ci siamo quasi...adesso siamo a XXX, le curve sono tante perché ci sono tante rotonde...ecco, siamo in centro a XXX, ancora poco e smettiamo di sballottarla!" le dico tenendole la mano
E continuiamo a parlarle finché non arriviamo in PS, dove spiego all'infermiere del triage la situazione di Sofia.
Una volta registrata, la spostiamo sulla lettiga dell'ospedale e continuiamo a parlarle e spiegarle cosa stavamo facendo sia noi sia l'infermiere, per non farla sentire spaesata e supplire alla mancanza della vista.
Sofia viene messa in sala d'attesa degli allettati in attesa dei parenti, purtroppo la sala è vuota.
"Sofia guardi che il letto è alto, non cerchi di scendere perché potrebbe fare una brutta caduta" le dice il mio collega
"Ok..." dice lei "Ma se devo scendere?"
"No Sofia, tenga" le dico mettendole in mano il telecomando per le chiamate d'emergenza del PS "Se ha problemi, schiacci forte questo bottone che le ho messo sotto le dita, e qualcuno verrà ad aiutarla! Noi purtroppo dobbiamo andare, ma si ricordi di non mettere giù i piedi dal letto, d'accordo?"
"D'accordo...grazie" ci dice un po' disorientata
Avendo tirato davvero in lungo, ora dovevamo andare sul serio.
Mentre usciamo dalla sala d'attesa dei barellati che ha solo lei come unica paziente, un senso di tristezza mi prende.
"Scusami" dico ad un ragazzo fermo lì fuori in attesa del padre che era stato a sua volta portato in PS "Posso chiederti una cortesia? Vedi quella signora? Non vede, ed è un po' spaventata...se per favore le dai un'occhiata e le dai una mano mi faresti un immenso favore..."
"Si ho sentito" mi dice lui "D'accordo, resto qui fuori a controllare"
"Ti ringrazio" gli dico, un pochino meno triste
Mentre esco, il mio collega mi raggiunge "E' arrivato il fratello della signora di corsa, l'ho mandato in astanteria" mi dice.
Sapendo che Sofia non era più sola, ho provato un immenso senso di sollievo.
lunedì 10 settembre 2012
Non aprite quella porta
Da quando faccio i turni di notte, come spesso vi ho detto, ho modo di vedere un mondo in un certo senso nuovo.
Il fatto è che, certe notti, benedico il fatto che dalle mie parti la squadra sia composta da almeno tre persone, perché a volte non sono proprio tranquilla, diciamocelo.
Non parlo di paura di intervento, ma di timore delle persone...alcune persone che ho incontrato certe notti erano davvero inquietanti.
Avete presente la sensazione che si ha quando si avverte nell'aria che c'è qualcosa che non va? Ecco.
Penso sia molto istintiva come sensazione, ma sono certa che ognuno di voi sa di cosa sto parlando.
Una notte di inverno suona il telefono, erano circa le 2.30, "Andate in giallo, guardia medica in posto richiede intervento del mezzo per un addome acuto e stato di agitazione".
"Vabbè, speriamo sia una cosa veloce perché fa un freddo cane!" mi dice l'autista mentre scende a tirar fuori il mezzo.
In poco siamo sul posto, normale agglomerato di villette a schiera, vediamo delle luci accese in una di esse e ci avviciniamo.
"Sarà questa?" mi chiede l'autista, e in quell'istante sentiamo delle grida
"Aaaaahhhhhhh bastaaaaaaaaaaaaa aaaaahhhhhhhh" la porta d'ingresso si spalanca all'improvviso, un ragazzo in tuta esce urlando e si butta per terra contorcendosi, dietro di lui il medico "Torna qui Riccardo! Dove stai andando???" gli urla e lo afferra per le braccia
Noi eravamo in piedi, occhi a palla, senza parole a -10°C che guardavamo la scena chiedendoci chi ce l'avesse fatto fare di turnare proprio quella notte.
"Ciao doc, è lui?" gli chiedo mentre faccio cenno agli altri due miei colleghi di avvicinarsi
"Si si, è lui, Riccardo, 30 anni, aiutatemi a portarlo dentro...perdonatemi se ho chiamato, sapevo avrebbero fatto uscire voi, ma la situazione non mi convince..." mi dice, e noto un certo stato di ansia nelle sue parole.
A forza portiamo Riccardo in casa, lo adagiamo sul divano, lui continua ad urlare come un pazzo mentre il medico mi spiega di avergli fatto il Plasil perché vomitava, e che va portato via per accertamenti.
Non avevo afferrato cosa turbava il medico, finché non mi sono guardata attorno in casa.
Il salotto sembrava quello di una normale abitazione, un po' spoglio, ma nulla di strano, se non che a pochi metri dal divano c'era una donna in vestaglia in piedi con in braccio una bambina di circa 2 anni, non di più.
Erano immobili, come statue.
"Sono lì così da quando sono arrivato, questo urla come un pazzo e quella donna mi ha solo detto di non sapere niente...non so, ma ho come idea che si siano calati qualcosa, non so nemmeno se ci sono solo loro in casa...sui documenti Riccardo risulta inglese, ma parla benissimo l'Italiano, e quella là non sa niente...!" mi dice il medico sottovoce
"Capisco..." gli dico, poi mi rivolgo alla signora "Signora, mi scusi, può dirmi se ha della documentazione ospedaliera del signor Riccardo? Era già successo prima?"
La signora, sui 40, resta immobile, con lo sguardo perso nel vuoto e con un filo di voce mi dice "Non so, non so niente io, e nemmeno la bambina"
Anche la bambina ha uno sguardo perso, non piange, non ride, è li che ci fissa immobile.
Informo la Centrale della situazione, e mi consigliano di caricare velocemente e andare in PS.
Mettiamo sempre di peso Riccardo sulla barella, il tempo di mettergli le cinghie e ricomincia a vomitare, il Plasil evidentemente ancora non aveva fatto effetto.
Lo carichiamo e partiamo in codice verde.
"Dai Riccardo, abbi pazienza che tra poco arriviamo" gli dico mentre ricopio dai suoi documenti i dati necessari, ma lui continua a dimenarsi come un pesce fuori dall'acqua, ci ha letteralmente messo a soqquadro l'ambulanza.
Ad un certo punto inizia ad urlare ancora più forte "Vomitooooo aaaaaaahhhhh fatelo smettereeeee" e butta la testa nel compartimento delle bombole
"No Riccardo, forza, prendi il sacchetto" gli dice il mio collega, ma Riccardo lo spinge via con forza.
Per fortuna il Plasil stava facendo il suo mestiere, e del vomito manco l'ombra.
Riccardo tenta di estrarre le bombole dai vani, di staccare le cose dal mezzo nonostante le cinghie siano strette, si dimena e per poco non mi centra in piena faccia con una mano.
Io e collega decidiamo di tenerlo fisicamente fermo, e in due lo bracchiamo, cercando di fargli riprendere una respirazione normale...con un po' di difficoltà (e non sapete quanta fatica considerata la forza di questo ragazzo!) riusciamo a calmarlo, molliamo la presa e lui inizia a dirci "Io non ce la faccio, mi sembra di morire dal dolore aaaaahhhhhhhhhhhhh fate qualcosa! Fate qualcosa!"
"Noi non possiamo fare nulla, adesso arriviamo in PS e ti guardano loro!" gli dico "Respira profondamente e non agitarti!"
Riccardo cerca di respirare con più calma, noi pure, e in poco siamo in ospedale.
Lo scarichiamo e torniamo in ambulanza, guardandoci in faccia tutti e tre e poi guardando le condizioni del vano sanitario.
"Mi sembra di aver soccorso un indemoniato, manco nell'Esorcista....!" mi dice il mio collega, asciugandosi la fronte
"Io sto ancora pensando al brivido che ho avuto quando ho visto la signora e la bambina...chissà se c'era qualcun'altro..." dico mentre rassetto
"Ti prego, non farmici pensare...alla prima mossa strana, ero pronto a prendere le chiavi dell'ambulanza e a trascinarci voi due sopra per scappare!"
sabato 1 settembre 2012
Chiacchiere in itinere
A causa di alcuni impegni non sono riuscita ad aggiornare il blog di recente, ma non me ne sono dimenticata!
Oggi più che raccontarvi qualche episodio, vorrei soffermarmi su un discorso che ho fatto con un collega in merito al ruolo del soccorritore.
Voglio condividere con voi questo discorso perché mi interessa sapere cosa ne pensano anche altri di questo argomento, del quale si discute spesso, quindi fatevi avanti se ve la sentite.
Il mio collega autista ha iniziato questa discussione con me una notte, mentre uscivamo in codice verde, dicendomi: "Sai, credo la gente, sia soccorritori che non, debba ridimensionare l'importanza che dà a questo ruolo...in fondo siamo solo portantini, e a sentire i medici direi che hanno anche ragione a dire così, non pensi?"
Gli ho risposto: "Credo che il discorso sia un po' più complicato di così; tieni conto della realtà in cui viviamo in cui il soccorritore è un volontario con una preparazione acquisita al 40% al corso e al 60% sulla strada, non adeguatamente addestrato a fronteggiare certe eventualità né adeguatamente tutelato come figura. La gente ha un'opinione di noi che si basa essenzialmente su un misto di fantasia ed esperienze personali, ed è vero che principalmente noi siamo dei portantini, però comprendi dopo tutti i tuoi onorati anni di servizio che dicendo così stai facendo di un'erba un fascio?"
"Si ok" mi ha detto "però parlo di quelle situazioni dove vedi gente giocare al supereroe quando devi saper fare bene quelle cose che ti servono per gestire la scena...parlo di incidenti, o rianimazione et similia, penso che si dia troppa importanza al nostro ruolo perché alla fine il grosso non è che lo facciamo noi. Dobbiamo imparare a fare bene il nostro lavoro"
"Sono d'accordo sul saper fare bene il nostro lavoro senza dimenticare che non siamo Super Man, medici o infermieri, però mi stupisce che la pensi così dopo tutto quello che hai visto...sono d'accordo sul fatto che il vero problema non siano il sangue, gli incidenti e il defibrillatore, però parlo di quelle situazioni in cui noi ci ritroviamo volenti o nolenti e che non dovremmo affrontare da soli, per esempio l'episodio di Mara per dirne una. Non è questione di ridimensionare il proprio ruolo, secondo me è questione di conoscere bene e far conoscere bene questo ruolo per evitare che ci si spinga troppo oltre, o troppo indietro. Perché a volte il problema sta proprio in chi svaluta la figura del soccorritore pensando che sia semplicemente uno che va in ambulanza con le sirene e la divisa a farsi vedere...quanti cretini hai conosciuto così? Penso parecchi..." gli ho fatto notare.
"Beh hai ragione" mi ha risposto un po' poco convinto "forse mi sono spiegato male, è vero ci sono situazioni che esulano dalla nostra competenza, ma che di fatto ci competono lo stesso. Effettivamente definire questo ruolo sarebbe una soluzione...perché ci sono alcuni che pensano di giocare a ER o al Dr House quando invece non è competenza loro"
"Vero, però non sono mica tutti così per fortuna...ce ne sono parecchi, ma non mi sembrano la maggioranza..." gli ho detto.
"Mah..." ha sbuffato guardando sempre la strada "sarà che dopo tanti anni forse anche chi fa questo 'mestiere' è cambiato...gente che vuole fare, dire, bruciando le tappe pensando di essere subito pronto a spaccare il mondo, poi alla prima difficoltà di incarta e di ammettere i propri sbagli non se ne parla nemmeno...insomma la questione rispetto e dell'umiltà diciamo che è cambiata"
"In parte credo tu abbia ragione" gli ho risposto mentre eravamo quasi sul posto "forse è proprio quello il nocciolo della questione...l'umiltà nel riconoscere che non siamo super eroi e che dobbiamo imparare; il rispetto dei ruoli, delle responsabilità, del colleghi, del paziente, della vita e anche di se stessi. Oh guarda, il civico 4 è là...siamo arrivati. Dai ragazzi scendiamo"
martedì 21 agosto 2012
Schif-Parade
Spesso ridendo e scherzando coi colleghi e coi pazienti dall'umorismo spiccato, mi sono ritrovata a fare una specie di "Schif-parade".
A cosa mi riferisco?
Non è un discorso "profondo" quello che sto per fare, anzi, piuttosto lo chiamerei un sunto di quello di cui parlavo con un'amica una notte di turno assieme.
"Credo ci siano cose che mi disgustano proprio...tipo, hai presente la puzza di feci? Ecco per dirne una..."
e mi ha fatto la sua "Schif-Parade", così ho ben pensato di condividere con voi la mia :-D
Il primo posto è abbastanza scontato, ve ne avevo parlato in più di un'occasione, l'odore di vomito.
Anche se, più in generale, dopo gli anni di servizio sono riuscita a stabilire che la mia "Schif-Parade" è tutta occupata da tutto ciò che esce dalla bocca, eccetto il sangue.
Vomito, saliva, catarro e qualsiasi altra cosa la bocca sia in grado di espellere fatta eccezione per il sangue, mi disgusta.
Per il resto, fortunatamente, non ho problemi particolari di "sensibilità".
Spesso anche dei colleghi mi domandano cosa faccio per "superare" il ribrezzo, e devo dire che col tempo mi sono organizzata abbastanza bene da imparare a resistere per essere comunque efficiente.
Per il problema vomito, per esempio, mi tengo in tasca uno spruzzino (come quelli dei campioncini di profumo) con dentro l'olio di Eucalipto: spruzzo l'olio su una mascherina di quelle leggere, mi metto in bocca una cicca alla menta, e sono pronta ad affrontare tutto.
Stordendo l'olfatto, ho scoperto, elimino gran parte del mio problema di sensibilità.
Il resto poi è tutta questione di testa: mi sono imposta di non tirarmi indietro mai, nemmeno quando l'unica cosa a cui riesco a pensare è una doccia profumata!
E' logico poi che quando si è in squadra ci si viene incontro: i miei colleghi sanno di questa mia difficoltà, come io so delle loro, e quando siamo in servizio ci si aiuta naturalmente evitandoci a vicenda le "situazioni scomode" di cui sopra.
Il fatto è che spesso ci si trova in squadre dove la stessa cosa dà fastidio a tutti, e quindi come si fa? Ci si ride sopra, e ci si dà da fare ripetendo mentalmente che tanto l'abbiamo fatto decine di volte e siamo ancora qui, nonostante tutto.
Il più delle volte tra l'altro ciò che mi disgusta è finito sulla mia divisa, e anche questo mi ha aiutata in un certo senso ad arrivare alla conclusione che per quanto mi faccia schifo, non è sufficiente a farmi tirare indietro!
Anche se, più in generale, dopo gli anni di servizio sono riuscita a stabilire che la mia "Schif-Parade" è tutta occupata da tutto ciò che esce dalla bocca, eccetto il sangue.
Vomito, saliva, catarro e qualsiasi altra cosa la bocca sia in grado di espellere fatta eccezione per il sangue, mi disgusta.
Per il resto, fortunatamente, non ho problemi particolari di "sensibilità".
Spesso anche dei colleghi mi domandano cosa faccio per "superare" il ribrezzo, e devo dire che col tempo mi sono organizzata abbastanza bene da imparare a resistere per essere comunque efficiente.
Per il problema vomito, per esempio, mi tengo in tasca uno spruzzino (come quelli dei campioncini di profumo) con dentro l'olio di Eucalipto: spruzzo l'olio su una mascherina di quelle leggere, mi metto in bocca una cicca alla menta, e sono pronta ad affrontare tutto.
Stordendo l'olfatto, ho scoperto, elimino gran parte del mio problema di sensibilità.
Il resto poi è tutta questione di testa: mi sono imposta di non tirarmi indietro mai, nemmeno quando l'unica cosa a cui riesco a pensare è una doccia profumata!
E' logico poi che quando si è in squadra ci si viene incontro: i miei colleghi sanno di questa mia difficoltà, come io so delle loro, e quando siamo in servizio ci si aiuta naturalmente evitandoci a vicenda le "situazioni scomode" di cui sopra.
Il fatto è che spesso ci si trova in squadre dove la stessa cosa dà fastidio a tutti, e quindi come si fa? Ci si ride sopra, e ci si dà da fare ripetendo mentalmente che tanto l'abbiamo fatto decine di volte e siamo ancora qui, nonostante tutto.
Il più delle volte tra l'altro ciò che mi disgusta è finito sulla mia divisa, e anche questo mi ha aiutata in un certo senso ad arrivare alla conclusione che per quanto mi faccia schifo, non è sufficiente a farmi tirare indietro!
martedì 14 agosto 2012
Salto nel buio
Per un certo periodo sono stata convinta che non ci fosse qualcosa in grado di darmi fastidio, e invece dopo qualche annetto di servizio ho scoperto che c'è una cosa che non voglio vedere e alla quale spero di non dover assistere in diretta perché potrebbe urtarmi: una persona che si toglie la vita volontariamente davanti al mio naso, una sceneggiata alla quale spero di non dover assistere.
Di norma quando ci chiamano sui "tentati suicidi" arriviamo che il danno, grande o piccolo, è ormai fatto, e quindi l'intervento in sé non è diverso dal solito.
Dico di norma, perché una notte non è andata proprio così.
"Andate il giallo a XXX, c'è una che sta tentando il suicidio; vi mandiamo anche Vigili del Fuoco e Carabinieri" ci dice l'operatore al telefono.
Partiamo pensando al classico scenario delle notti dei suicidi, dove la gente prima si impasticca e poi compone il 118, invece una volta in posto non troviamo nessuno.
La piccola corte nella quale entriamo è completamente buia, silenziosa, anche un po' lugubre.
"E mo?" mi chiede il mio caposquadra guardandosi in giro "Come la troviamo sta persona?!"
"Diamo un'occhiata..." le dico dubbiosa cercando un riferimento nel buio mentre il nostro autista parcheggia il mezzo.
La cosa che mi viene più spontaneo fare in luoghi "chiusi" come le corti è cercare riferimenti in larghezza e altezza, magari così posso scorgere qualcosa in più, e mentre mi guardo in giro, la mia collega si avvicina alla porta d'entrata dell'edificio di quattro piani.
Le poche persone che iniziano a comparire nel buio, attirate dal chiasso e dai lampeggianti, giurano di non aver mai sentito il nome della persona che cerchiamo.
E' questione di un secondo.
Mi si gela il sangue.
"Spostati! E' sopra di te!" grido al mio caposquadra, che si trova esattamente perpendicolare ad una figura che sta scavalcando la ringhiera di un balcone urlando di voler morire.
Per fortuna si sposta subito indietro verso di me "Oddio, non l'avevo vista!" mi dice e in tre guardiamo su in alto, al quarto piano, dal cui balcone penzola una ragazza non proprio in sé, che continua ad urlare di volersi buttare di sotto.
"Si chiama Mara" ci urla una vicina
"Mara ti prego non ti buttare" le gridiamo "dacci il tempo di aiutarti, fidati di noi!"
"Io sono sola, nessuno viene per me!" ci urla in lacrime e vistosamente alterata
Ve lo giuro, avevamo il cuore in gola.
Non c'erano né i Vigili del Fuoco, né i Carabinieri, né nessun altro: eravamo noi tre e l'aspirante suicida penzolante.
Se si fosse voluta buttare l'avrebbe già fatto, vero, ma nelle condizioni in cui era ci preoccupava una possibile caduta accidentale.
"Mara siamo qui per te, non sei sola!" le gridiamo io e la collega, mentre con uno scatto inaspettato il nostro autista si lancia dentro al palazzo, sale i quattro piani, si butta a sua volta sulla balconata e branca stretta Mara che inizia ad agitarsi come un pesce fuori dall'acqua.
Io e collega, come svegliate dal torpore, scattiamo verso la porta aperta a nostra volta.
Io ho in spalla e tra le mani tutta l'attrezzatura, la porta sta per chiudersi mentre la mia collega sale: se resto fuori con tutto l'ambaradan sono fregata, così cerco di anticipare la porta, la spingo via, ma non faccio i calcoli col fatto che sia una porta a vetri e la sfondo completamente col braccio sinistro, entrandoci fino al gomito.
La porta va in pezzi, ma io sono dentro, quindi inizio a correre su per le scale.
Anche il caposquadra si butta fuori dal balcone per cercare di prendere Mara, e appena arrivo su e faccio per appoggiare tutta l'attrezzatura, vedo il guanto sinistro squarciato e la mia mano sanguinante.
Imprecando mentalmente, prendo garze e cerotto rotolo che tengo sempre in tasca, mi faccio una fasciatura di fortuna per far smettere al sangue di fluire, mi metto un guanto nuovo e prendo Mara per le braccia.
Con uno sforzo non indifferente, aiutati da un vicino di casa, riusciamo a portarla sul pianerottolo.
Da qui seguono due ore di autentica rissa, dove lei tenta di spaccarsi la testa sul pavimento, ci insulta senza ritegno, prova a mordere me e il Carabiniere che la teneva per le spalle e così via.
Arrivano infatti nel mentre Carabinieri, Vigili del Fuoco, Guardia Medica e dopo circa un'ora anche l' Automedica: eravamo lì in 15 persone per tener buona Mara, che ce ne stava combinando una più del demonio.
Alla fine le facciamo il cosiddetto TSO, il medico la seda, e mentre la portiamo giù ci racconta che Mara fa queste cose una volta alla settimana minimo, è una persona problematica, con il "118 facile" e purtroppo è stata lasciata sola con troppa birra e farmaci a disposizione.
Una volta in ambulanza, Mara si riprende quanto basta per iniziare ad urlare il suo dolore, ci racconta di aver subito qualcosa di orribile dal padre, che la madre sapeva e taceva, e che lei se n'è andata via.
Non so quanto possa essere affidabile un racconto del genere, ma penso che qualcosa di vero forse c'è.
Siamo arrivati in Pronto Soccorso che ci sembrava di aver scalato una montagna, la sua voce ci rimbombava nella testa.
La lasciamo lì, pur sapendo che in poco tempo il problema si sarebbe riproposto di nuovo, e noi non avremmo potuto farci niente se non segnalare nuovamente la situazione.
Prima di uscire dal PS mi sono risistemata la mia "medicazione di fortuna alla Bear Grylls", e ripensavo continuamente ad una cosa: adesso so a cosa spero di non dover assistere in diretta.
Di norma quando ci chiamano sui "tentati suicidi" arriviamo che il danno, grande o piccolo, è ormai fatto, e quindi l'intervento in sé non è diverso dal solito.
Dico di norma, perché una notte non è andata proprio così.
"Andate il giallo a XXX, c'è una che sta tentando il suicidio; vi mandiamo anche Vigili del Fuoco e Carabinieri" ci dice l'operatore al telefono.
Partiamo pensando al classico scenario delle notti dei suicidi, dove la gente prima si impasticca e poi compone il 118, invece una volta in posto non troviamo nessuno.
La piccola corte nella quale entriamo è completamente buia, silenziosa, anche un po' lugubre.
"E mo?" mi chiede il mio caposquadra guardandosi in giro "Come la troviamo sta persona?!"
"Diamo un'occhiata..." le dico dubbiosa cercando un riferimento nel buio mentre il nostro autista parcheggia il mezzo.
La cosa che mi viene più spontaneo fare in luoghi "chiusi" come le corti è cercare riferimenti in larghezza e altezza, magari così posso scorgere qualcosa in più, e mentre mi guardo in giro, la mia collega si avvicina alla porta d'entrata dell'edificio di quattro piani.
Le poche persone che iniziano a comparire nel buio, attirate dal chiasso e dai lampeggianti, giurano di non aver mai sentito il nome della persona che cerchiamo.
E' questione di un secondo.
Mi si gela il sangue.
"Spostati! E' sopra di te!" grido al mio caposquadra, che si trova esattamente perpendicolare ad una figura che sta scavalcando la ringhiera di un balcone urlando di voler morire.
Per fortuna si sposta subito indietro verso di me "Oddio, non l'avevo vista!" mi dice e in tre guardiamo su in alto, al quarto piano, dal cui balcone penzola una ragazza non proprio in sé, che continua ad urlare di volersi buttare di sotto.
"Si chiama Mara" ci urla una vicina
"Mara ti prego non ti buttare" le gridiamo "dacci il tempo di aiutarti, fidati di noi!"
"Io sono sola, nessuno viene per me!" ci urla in lacrime e vistosamente alterata
Ve lo giuro, avevamo il cuore in gola.
Non c'erano né i Vigili del Fuoco, né i Carabinieri, né nessun altro: eravamo noi tre e l'aspirante suicida penzolante.
Se si fosse voluta buttare l'avrebbe già fatto, vero, ma nelle condizioni in cui era ci preoccupava una possibile caduta accidentale.
"Mara siamo qui per te, non sei sola!" le gridiamo io e la collega, mentre con uno scatto inaspettato il nostro autista si lancia dentro al palazzo, sale i quattro piani, si butta a sua volta sulla balconata e branca stretta Mara che inizia ad agitarsi come un pesce fuori dall'acqua.
Io e collega, come svegliate dal torpore, scattiamo verso la porta aperta a nostra volta.
Io ho in spalla e tra le mani tutta l'attrezzatura, la porta sta per chiudersi mentre la mia collega sale: se resto fuori con tutto l'ambaradan sono fregata, così cerco di anticipare la porta, la spingo via, ma non faccio i calcoli col fatto che sia una porta a vetri e la sfondo completamente col braccio sinistro, entrandoci fino al gomito.
La porta va in pezzi, ma io sono dentro, quindi inizio a correre su per le scale.
Anche il caposquadra si butta fuori dal balcone per cercare di prendere Mara, e appena arrivo su e faccio per appoggiare tutta l'attrezzatura, vedo il guanto sinistro squarciato e la mia mano sanguinante.
Imprecando mentalmente, prendo garze e cerotto rotolo che tengo sempre in tasca, mi faccio una fasciatura di fortuna per far smettere al sangue di fluire, mi metto un guanto nuovo e prendo Mara per le braccia.
Con uno sforzo non indifferente, aiutati da un vicino di casa, riusciamo a portarla sul pianerottolo.
Da qui seguono due ore di autentica rissa, dove lei tenta di spaccarsi la testa sul pavimento, ci insulta senza ritegno, prova a mordere me e il Carabiniere che la teneva per le spalle e così via.
Arrivano infatti nel mentre Carabinieri, Vigili del Fuoco, Guardia Medica e dopo circa un'ora anche l' Automedica: eravamo lì in 15 persone per tener buona Mara, che ce ne stava combinando una più del demonio.
Alla fine le facciamo il cosiddetto TSO, il medico la seda, e mentre la portiamo giù ci racconta che Mara fa queste cose una volta alla settimana minimo, è una persona problematica, con il "118 facile" e purtroppo è stata lasciata sola con troppa birra e farmaci a disposizione.
Una volta in ambulanza, Mara si riprende quanto basta per iniziare ad urlare il suo dolore, ci racconta di aver subito qualcosa di orribile dal padre, che la madre sapeva e taceva, e che lei se n'è andata via.
Non so quanto possa essere affidabile un racconto del genere, ma penso che qualcosa di vero forse c'è.
Siamo arrivati in Pronto Soccorso che ci sembrava di aver scalato una montagna, la sua voce ci rimbombava nella testa.
La lasciamo lì, pur sapendo che in poco tempo il problema si sarebbe riproposto di nuovo, e noi non avremmo potuto farci niente se non segnalare nuovamente la situazione.
Prima di uscire dal PS mi sono risistemata la mia "medicazione di fortuna alla Bear Grylls", e ripensavo continuamente ad una cosa: adesso so a cosa spero di non dover assistere in diretta.
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