giovedì 17 novembre 2011

Esperienze

Oggi vorrei scrivere traendo spunto dalla domanda che mi hanno fatto quasi tutti quelli a cui ho detto "sono un soccorritore", ovvero: "Ma qual è la cosa più brutta in assoluto che hai visto e che ti ha shockato?".
Quando mi fanno questa domanda, restano sempre "delusi" dalla mia risposta: le cose che mi hanno impressionato di più non le ho viste in servizio 118, ma avendo a che fare coi cosiddetti "servizi secondari", cioè trasporti di vario genere (disabili, dializzati, persone che devono andare in ospedale a fare visite et similia) nei quali ho avuto a che fare con molte persone che hanno avuto modo di condividere con me le loro esperienze di vita.
Quando sono di servizio 118 mi aspetto di dover affrontare situazioni critiche, e crescendo mi sono scoperta una persona difficilmente impressionabile, tuttavia avere a che fare con persone che non necessitano dell'ambulanza per un'emergenza, mi ha permesso di approfondire il rapporto col paziente, tanto da rimanerne a volte un po' "impressionata".
Una volta accompagnai una signora, Elisa, paziente di una casa di riposo, a fare una radiografia; con me e il mio collega c'era anche il figlio della signora, che lei si ostinava a non chiamare per nome.
Una volta arrivati in ospedale, la signora Elisa pregò me (e non suo figlio) di accompagnarla per la radiografia, e la cosa mi mise un po' in imbarazzo; alla fine acconsentii al volere di Elisa, che nel frattempo mi raccontò di come si sentisse trascurata dal suo unico figlio, che proprio nel momento della vecchiaia aveva deciso di abbandonarla in casa di riposo per dedicarsi ai suoi impegni senza avere pesi sulle spalle.
Mi disse che preferiva me a farle compagnia perché anche se non mi avrebbe probabilmente rivista, in quel momento le stavo dando tutte le attenzioni di cui lei sentiva di avere bisogno e mi ringraziò di averle strappato un sorriso.
Riconosco di essere una persona fortunata, e fino al mio ingresso in associazione ignoravo completamente come erano le vite degli altri, pur sapendo che c'era chi era più o meno fortunato di me.
Episodi di questo tipo si ripetono spesso, pazienti che decidono di confessare a noi soccorritori cose che noi portiamo sempre dentro, che ci aiutano a crescere, ma che certe volte fanno male.
Fanno male perchè noi, in quei momenti, non possiamo fare altro che ascoltare...siamo impotenti davanti a ferite che non si curano con disinfettante o acqua ossigenata, possiamo solo dare la nostra attenzione, la nostra presenza, la nostra disponibilità, anche questo è "essere soccorritori".
Per questo motivo, parlo personalmente, disprezzo tutti coloro che trattano i pazienti con sufficienza e superficialità, perchè ognuno di loro ha una sua storia che li ha portati a trovarsi, volenti o nolenti (e il più delle volte, nolenti) sulla nostra barella.
Con questo, naturalmente, non dico di "portarsi le cose a casa", perché a mio parere chi si porta a casa queste cose, chi non riesce a smettere di pensarci anche dopo il servizio, forse dovrebbe imparare a distaccarsi.
Bisogna dare il 100% ad ogni persona, e se ci portiamo il fagotto di quella precedente, allora la resa sarà sempre decrescente e non lo trovo giusto nei confronti di chi arriva dopo.
Una volta lasciato il paziente in ospedale o a casa ritengo conclusa la missione, per me finisce lì; altri invece, per ragioni più o meno personali, faticano a distaccarsi, a capire che bisogna tornare operativi subito, bisogna essere pronti subito a dare il massimo per chiunque altro ne abbia bisogno in qualsiasi momento.
Credo che ogni soccorritore debba fare tesoro di ogni esperienza che fa, ma senza lasciare che queste esperienze lo inghiottano, altrimenti diventa sempre più difficile.

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