martedì 21 agosto 2012

Schif-Parade

Spesso ridendo e scherzando coi colleghi e coi pazienti dall'umorismo spiccato, mi sono ritrovata a fare una specie di "Schif-parade".
A cosa mi riferisco?
Beh essenzialmente al fatto che noi soccorritori siamo persone comuni, e non siamo immuni a tutto.
Non è un discorso "profondo" quello che sto per fare, anzi, piuttosto lo chiamerei un sunto di quello di cui parlavo con un'amica una notte di turno assieme.
"Credo ci siano cose che mi disgustano proprio...tipo, hai presente la puzza di feci? Ecco per dirne una..."
e mi ha fatto la sua "Schif-Parade", così ho ben pensato di condividere con voi la mia :-D
Il primo posto è abbastanza scontato, ve ne avevo parlato in più di un'occasione, l'odore di vomito.
Anche se, più in generale, dopo gli anni di servizio sono riuscita a stabilire che la mia "Schif-Parade" è tutta occupata da tutto ciò che esce dalla bocca, eccetto il sangue.
Vomito, saliva, catarro e qualsiasi altra cosa la bocca sia in grado di espellere fatta eccezione per il sangue, mi disgusta.
Per il resto, fortunatamente, non ho problemi particolari di "sensibilità".

Spesso anche dei colleghi mi domandano cosa faccio per "superare" il ribrezzo, e devo dire che col tempo mi sono organizzata abbastanza bene da imparare a resistere per essere comunque efficiente.
Per il problema vomito, per esempio, mi tengo in tasca uno spruzzino (come quelli dei campioncini di profumo) con dentro l'olio di Eucalipto: spruzzo l'olio su una mascherina di quelle leggere, mi metto in bocca una cicca alla menta, e sono pronta ad affrontare tutto.
Stordendo l'olfatto, ho scoperto, elimino gran parte del mio problema di sensibilità.
Il resto poi è tutta questione di testa: mi sono imposta di non tirarmi indietro mai, nemmeno quando l'unica cosa a cui riesco a pensare è una doccia profumata!
E' logico poi che quando si è in squadra ci si viene incontro: i miei colleghi sanno di questa mia difficoltà, come io so delle loro, e quando siamo in servizio ci si aiuta naturalmente evitandoci a vicenda le "situazioni scomode" di cui sopra.
Il fatto è che spesso ci si trova in squadre dove la stessa cosa dà fastidio a tutti, e quindi come si fa? Ci si ride sopra, e ci si dà da fare ripetendo mentalmente che tanto l'abbiamo fatto decine di volte e siamo ancora qui, nonostante tutto.
Il più delle volte tra l'altro ciò che mi disgusta è finito sulla mia divisa, e anche questo mi ha aiutata in un certo senso ad arrivare alla conclusione che per quanto mi faccia schifo, non è sufficiente a farmi tirare indietro!


martedì 14 agosto 2012

Salto nel buio

Per un certo periodo sono stata convinta che non ci fosse qualcosa in grado di darmi fastidio, e invece dopo qualche annetto di servizio ho scoperto che c'è una cosa che non voglio vedere e alla quale spero di non dover assistere in diretta perché potrebbe urtarmi: una persona che si toglie la vita volontariamente davanti al mio naso, una sceneggiata alla quale spero di non dover assistere.
Di norma quando ci chiamano sui "tentati suicidi" arriviamo che il danno, grande o piccolo, è ormai fatto, e quindi l'intervento in sé non è diverso dal solito.
Dico di norma, perché una notte non è andata proprio così.
"Andate il giallo a XXX, c'è una che sta tentando il suicidio; vi mandiamo anche Vigili del Fuoco e Carabinieri" ci dice l'operatore al telefono.
Partiamo pensando al classico scenario delle notti dei suicidi, dove la gente prima si impasticca e poi compone il 118, invece una volta in posto non troviamo nessuno.
La piccola corte nella quale entriamo è completamente buia, silenziosa, anche un po' lugubre.
"E mo?" mi chiede il mio caposquadra guardandosi in giro "Come la troviamo sta persona?!"
"Diamo un'occhiata..." le dico dubbiosa cercando un riferimento nel buio mentre il nostro autista parcheggia il mezzo.
La cosa che mi viene più spontaneo fare in luoghi "chiusi" come le corti è cercare riferimenti in larghezza e altezza, magari così posso scorgere qualcosa in più, e mentre mi guardo in giro, la mia collega si avvicina alla porta d'entrata dell'edificio di quattro piani.
Le poche persone che iniziano a comparire nel buio, attirate dal chiasso e dai lampeggianti, giurano di non aver mai sentito il nome della persona che cerchiamo.
E' questione di un secondo.
Mi si gela il sangue.
"Spostati! E' sopra di te!" grido al mio caposquadra, che si trova esattamente perpendicolare ad una figura che sta scavalcando la ringhiera di un balcone urlando di voler morire.
Per fortuna si sposta subito indietro verso di me "Oddio, non l'avevo vista!" mi dice e in tre guardiamo su in alto, al quarto piano, dal cui balcone penzola una ragazza non proprio in sé, che continua ad urlare di volersi buttare di sotto.
"Si chiama Mara" ci urla una vicina
"Mara ti prego non ti buttare" le gridiamo "dacci il tempo di aiutarti, fidati di noi!"
"Io sono sola, nessuno viene per me!" ci urla in lacrime e vistosamente alterata
Ve lo giuro, avevamo il cuore in gola.
Non c'erano né i Vigili del Fuoco, né i Carabinieri, né nessun altro: eravamo noi tre e l'aspirante suicida penzolante.
Se si fosse voluta buttare l'avrebbe già fatto, vero, ma nelle condizioni in cui era ci preoccupava una possibile caduta accidentale.
"Mara siamo qui per te, non sei sola!" le gridiamo io e la collega, mentre con uno scatto inaspettato il nostro autista si lancia dentro al palazzo, sale i quattro piani, si butta a sua volta sulla balconata e branca stretta Mara che inizia ad agitarsi come un pesce fuori dall'acqua.
Io e collega, come svegliate dal torpore, scattiamo verso la porta aperta a nostra volta.
Io ho in spalla e tra le mani tutta l'attrezzatura, la porta sta per chiudersi mentre la mia collega sale: se resto fuori con tutto l'ambaradan sono fregata, così cerco di anticipare la porta, la spingo via, ma non faccio i calcoli col fatto che sia una porta a vetri e la sfondo completamente col braccio sinistro, entrandoci fino al gomito.
La porta va in pezzi, ma io sono dentro, quindi inizio a correre su per le scale.
Anche il caposquadra si butta fuori dal balcone per cercare di prendere Mara, e appena arrivo su e faccio per appoggiare tutta l'attrezzatura, vedo il guanto sinistro squarciato e la mia mano sanguinante.
Imprecando mentalmente, prendo garze e cerotto rotolo che tengo sempre in tasca, mi faccio una fasciatura di fortuna per far smettere al sangue di fluire, mi metto un guanto nuovo e prendo Mara per le braccia.
Con uno sforzo non indifferente, aiutati da un vicino di casa, riusciamo a portarla sul pianerottolo.
Da qui seguono due ore di autentica rissa, dove lei tenta di spaccarsi la testa sul pavimento, ci insulta senza ritegno, prova a mordere me e il Carabiniere che la teneva per le spalle e così via.
Arrivano infatti nel mentre Carabinieri, Vigili del Fuoco, Guardia Medica e dopo circa un'ora anche l' Automedica: eravamo lì in 15 persone per tener buona Mara, che ce ne stava combinando una più del demonio.
Alla fine le facciamo il cosiddetto TSO, il medico la seda, e mentre la portiamo giù ci racconta che Mara fa queste cose una volta alla settimana minimo, è una persona problematica, con il "118 facile" e purtroppo è stata lasciata sola con troppa birra e farmaci a disposizione.
Una volta in ambulanza, Mara si riprende quanto basta per iniziare ad urlare il suo dolore, ci racconta di aver subito qualcosa di orribile dal padre, che la madre sapeva e taceva, e che lei se n'è andata via.
Non so quanto possa essere affidabile un racconto del genere, ma penso che qualcosa di vero forse c'è.
Siamo arrivati in Pronto Soccorso che ci sembrava di aver scalato una montagna, la sua voce ci rimbombava nella testa.
La lasciamo lì, pur sapendo che in poco tempo il problema si sarebbe riproposto di nuovo, e noi non avremmo potuto farci niente se non segnalare nuovamente la situazione.
Prima di uscire dal PS mi sono risistemata la mia "medicazione di fortuna alla Bear Grylls", e ripensavo continuamente ad una cosa: adesso so a cosa spero di non dover assistere in diretta.

lunedì 6 agosto 2012

Una cascata di..."fortuna"

Scusate l'assenza, ma cause di forza maggiore (ovvero qualche giorno di vacanza!!) mi hanno impedito di scrivere.
Mi rifaccio del tempo perduto raccontandovi di un episodio al quale mi sono ritrovata a pensare per caso mentre sistemavo la mia divisa appena lavata (se ve lo state chiedendo, si, quando sistemo la divisa rimettendo tutte le cose che mi porto dietro nelle varie tasche, mi piace farlo ripensando un po' a quante ne ha passate e quante ancora ne passerà, poveretta!).
Ero un soccorritore certificato da circa un anno quando mi sono ritrovata a cestinare la mia prima divisa.
Per la cronaca, me ne avevano data una già mezza distrutta, però all'epoca mi era sembrata la cosa più bella che avevo nell'armadio anche se, in fin dei conti, tutta la sua storia non l'aveva scritta con me.
La mia vecchia divisa aveva le bande di plastica, e se qualcuno di voi le ha provate, saprà quanto sono difficili da pulire tra le cuciture.
Bene.
Premesso ciò, un afoso pomeriggio d'estate veniamo chiamati per una persona incosciente sospetto arresto cardiocircolatorio, codice rosso.
Durante il tragitto mi ripasso mentalmente la scaletta delle cose da fare e da portare, e in poco più di 3 minuti siamo in posto.
Corriamo, corriamo un sacco nonostante il caldo, saliamo le scale di questa comunissima abitazione di provincia, finché non sentiamo le urla provenire da dentro il bagno.
"Papà! Papà rispondi ti prego! Oddio è morto!" grida una signora sui 40 anni chinata sul corpo di un signore di circa 70 anni, supino, dentro al bagno tra la vasca e il lavandino.
"Fuori, fuori forza!" dice con calma il mio caposquadra e mi fa entrare dentro al bagno dove a malapena ci si stava in due.
Valuto il paziente, "Polso e respiro presenti!" comunico al mio caposquadra, che si accinge ad avvisare la Centrale Operativa del cambio di situazione.
L'adrenalina iniziale evidentemente mi aveva risparmiato di far caso al tremendo odore di feci che riempiva il bagno e il corridoio.
"Come si chiama il signore?" domando alla figlia, ancora spaventata
"Carlo" mi dice lei "ma è vivo vero??"
"Si signora, stia tranquilla che suo padre è vivo" le dico con calma "Carlo, Carlo mi sente?" richiedo di nuovo al signore per terra.
Questa volta apre piano gli occhi. E' pallido e sudato, il polso è accelerato e la pressione molto bassa.
"Carlo sono della Croce Rossa, riesci a parlare?" domando
"Mmmm si...si...Mi girava la testa, mi sono appoggiato alla vasca e poi..." mi dice un po' smarrito e imbarazzato, con voce flebile
"Capisco...Carlo quindi non è caduto? Ha battuto la testa?"
"No no, sono strisciato per terra, ma quando mi son trovato sul pavimento son svenuto...mamma mia, scusatemi, sono tutto sporco, che vergogna" mi dice con occhi lucidi
"Non si preoccupi, sono cose che capitano a tutti, cerchi di stare tranquillo ok?" gli dico cercando di tranquillizzarlo, e lui annuisce.
Carlo, 70 anni, era in bagno quando è letteralmente collassato.
Siccome si stava scaricando, tutto ciò che non era finito in tempo nel water era naturalmente per terra.
Cerchiamo di capire cos'era successo, e dopo un po' di domande riusciamo a scoprire che Carlo ha probabilmente un virus intestinale da qualche giorno, e il continuo andare in bagno insieme alla sua pressione normalmente bassa ha contribuito a creare la situazione in cui si trovava.
Poco dopo il nostro "interrogatorio" ai parenti, arriva in posto MSA con medico al seguito, e Carlo decide di voler andare in ospedale per un controllo visto lo spavento che si è preso.
Così mentre i parenti lo lavano e cambiano, noi prepariamo tutto quanto per portarlo in ambulanza con il telo a causa della presenza di una bella rampa di scale ripida e dell'incapacità di Carlo di stare seduto.
Una volta messo sul telo, insisto per dare una mano ai miei colleghi a portarlo giù, così mi lasciano ai piedi.
Mentre scendiamo la scala Carlo inizia a lamentarsi "Signorina mi fa male la pancia, un male tremendo!"
"Carlo cerchi di fare dei bei respiri che siamo quasi giù ok? Ancora un attimo di pazienza!" gli dico
"Eh ma io...non ce la faccio...a tenerla!" mi dice e in quel momento mi rendo conto dell'infelice posizione in cui mi trovavo.
"Dai ragazzi acceleriamo, Carlo lei stringa bene e non lasci andare niente finché non la mettiamo sulla barella mi racc..." il caposquadra non finisce la frase, un rumore inequivocabile precede una autentica calata di merda dal telo che, essendo bello liscio, ne favorisce lo scivolamento.
Ero quasi in fondo alla scala, mi sono accorta di cosa stava succedendo e ho spostato le braccia in modo da evitare che quella maleodorante cascata finisse sulla mia divisa...MA...era troppo tardi.
Ebbene si, avevo una bella strisciata che andava dal ginocchio al fondo del pantalone della divisa, fasce comprese.
Sconsolata, cercavo di calmare Carlo che piangeva e si scusava in continuazione, e una volta in ambulanza ho cercato di dare una pulita in qualche modo, considerato che avevo davanti ancora 4 ore di turno e nessuna divisa di ricambio a disposizione causa mancanza della taglia in magazzino.
Inutile dire che nemmeno con il disinfettante per i presidi sono riuscita a smacchiarla, così mentre i miei colleghi se la ridevano ironizzando sul mio tremendo odore, io pregavo di non dover uscire di nuovo, e per fortuna il telefono non suonò più.
Arrivata a casa, pulire le fasce di plastica è stato un disgustoso incubo che mi portò a cestinare quella divisa, alla quale avevo scucito e ricucito le fasce per riuscire a pulirla, e che adesso tengo di "riserva" (per inciso, è la stessa divisa protagonista della mia prima imbarazzante giornata da capoequipaggio di cui vi avevo parlato in questo post).
Non mi dilungherò a dirvi le battutine e battutacce che mi sono state fatte a raffica dai miei amici e colleghi nei giorni seguenti, altrimenti scadrei nel banale... :-D