domenica 29 gennaio 2012

Il buio dopo i lampeggianti

Quando si pensa al soccorritore, in automatico si pensa alle sirene dell'ambulanza, a quelle luci blu e quel suono più simile ad un grido che spezza il silenzio; si pensa che "noi ci siamo abituati a certe cose" [cit. di un paziente].
Ci si può abituare al suono del telefono, al grido della sirena, ai vari ed eventuali odori, alla vista del sangue, ad alzarsi nel cuore della notte trascinandosi giù dal letto, ad alzarsi alle 6 del mattino per andare in sede anche quando fuori nevica.
Però posso garantirvi che nessuno si abitua mai alla sofferenza, al dolore, alla morte.
Nessuno sano di mente e con esperienza nell'ambito può dire che siano cose a cui "ci si può fare l'abitudine".
Si impara a conviverci, in modo più o meno sereno.
Per la gente noi andiamo e veniamo, di solito anche abbastanza velocemente.
Il fatto è che per noi il turno non è sempre così breve.
Ci sono certe mattine dove il tempo vola, altre in cui speri che voli.
Non sappiamo mai cosa potrebbe capitare, e credo che il problema maggiore per molti di noi sia, a volte, di non avere nemmeno il tempo per realizzare.
E' vero, abbiamo forse un po' più di coraggio, un po' più di determinazione, un po' più di resistenza, ma è anche vero che a volte avremmo bisogno di un po' più tempo.
Alcune situazioni in cui veniamo a trovarci a volte hanno ripercussioni nel momento seguente alla conclusione del servizio, e come già dicevo in alcuni post indietro, è fondamentale impedire a tutte queste esperienze di inghiottirci.
Personalmente il mio modo per interiorizzare l'ho trovato in breve tempo: io parlo.
Parlo tanto, a volte forse troppo, ma del resto l'avrete capito da soli che sono una che parla...altrimenti non avrei scritto un blog.
C'è chi piange, chi tace, chi molla, chi si distrae, chi si fa divorare...e c'è chi, come me, parla.
Una collega, all'inzio del mio percorso, una volta mi disse: "a volte, soprattutto le prime, se senti di doverti sfogare, fallo. Piangi, urla, parla, fai il cazzo che vuoi, ma sfogati. A certe cose non si può fare l'abitudine, ma del resto siamo tutti sulla stessa barca, siamo qui per aiutare e per aiutarci soprattutto. Perché noi aiutiamo il paziente, ma poi dobbiamo anche darci una mano a vicenda, non siamo dei robot e se non lo facciamo tra noi, non c'è qualcuno che ci pensa fuori da queste mura".
Sul momento, sono sincera, non avevo capito cosa volesse dire e mi ero chiesta cosa avesse tanto da preoccuparsi.
La mia proverbiale fortuna mi ha concesso di rendermene conto in tempo zero, comunque, quando vidi il primo ACC con decesso annesso poco dopo.
Quella volta, come già dissi in precedenza, ero una ragazzina neo-certificata e mi ritrovai da sola con la figlia della signora deceduta, che altri al mondo non aveva che sua madre.
Cosa avrei potuto dire? Cosa avrei dovuto dire? Esistono parole adatte? Cosa avrei dovuto fare? Come mi sarei dovuta comportare?
In quel momento ho capito cosa significa aver bisogno di una mano, a volte.
Quella volta tornai in sede con l'amaro in bocca, con la sensazione di non aver fatto abbastanza, nonostante il mio equipaggio dicesse il contrario.
Avevo bisogno di darmi una risposta, e così ho iniziato a raccontare, a confrontarmi con altri.
Raccontare, parlare, confrontarmi mi ha permesso di affrontare con lucidità i fatti evitando di farmi divorare da essi, mi ha permesso di mantenere quel salutare distacco che permette a ciascuno di noi di non mollare.
Questa è la ragione per cui tengo in particolar modo al debriefing, cioè quell' "intervento psicologico-clinico strutturato e di gruppo, condotto da uno psicologo esperto di situazioni di emergenza, che si tiene a seguito di un avvenimento potenzialmente traumatico, allo scopo di eliminare o alleviare le conseguenze emotive spesso generate da questo tipo di esperienze." (cit. Wikipedia).
Non sempre abbiamo a disposizione uno "psicologo esperto di situazioni di emergenza", ma ripercorrere tutto l'intervento insieme, a mente fredda, è lo strumento migliore che una squadra ha a disposizione per far chiarezza.

mercoledì 25 gennaio 2012

Fango e pantaloni bianchi

Mattina uggiosa, nebbia, pioggerellina che contribuisce ad aumentare la foschia (che dalle mie parti non si risparmia mai!), freddo umido...si insomma, tutti buoni motivi per voler restare al caldo e all'asciutto sul divano in sede.
Peccato che, ogni volta che si spera di restare in sede, si esce sempre, è matematico.
Quella mattina, un'amica e collega passava dalla sede per un saluto e un caffè in compagnia, e indossava un paio di pantaloni splendidamente bianchi.
Mentre apprezzavamo il caffè caldo, ecco che suona il telefono 118.
"Ciao, vai a XXX, in via XXX; non è una via di paese, è sterrata porta in un campo. Andate in giallo, uomo probabilmente incastrato sotto ad una tettoia crollata, fatemi sapere quando arrivate".
Riflettendo su quel "probabilmente", la mia amica in visita decide di infilarsi una giacca e buttarsi in ambulanza con me e gli altri due.
Arriviamo davanti alla via indicata, sterrata e che portata dritta in mezzo a dei campi.
Non trovando nessuno ad aspettarci (come sempre, del resto) decidiamo di provare a proseguire verso i campi, domandandoci se saremmo mai riusciti ad uscire da una strada tanto fangosa.
Dopo un centinaio di metri, vediamo delle persone che ci fanno segno di avvicinarci.
Lasciamo il mezzo a circa una trentina di metri dal gruppo di persone, perchè la strada finiva lì, e iniziamo ad addentrarci nel campo incolto.
"Ahiaaaaa mi fa maleeee chiamate qualcuno aaaaaaaaaa" sentiamo urlare un uomo, e pochi secondi dopo la scena che ci si presenta è la seguente: campo incolto, foschia, pioggia, gruppo di persone non ben identificate che si aggirano attorno ad un capanno innegabilmente "artigianale" crollato sopra ad un uomo sulla quarantina, urlante e incastrato tra il tetto crollato e una carriola.
Appoggio lo zaino per terra e inizio a tirar fuori di tutto come richiesto dal caposquadra, mentre gli altri miei 3 colleghi valutano la situazione.
In due secondi realizzo che il campo è un gigante formicaio, quelle bestiole nere erano ovunque, senza possibilità di scampo.
Iniziamo a farci raccontare da Emilio cosa era successo, e tra una parolaccia e un grido ci spiega che la tettoia era già traballante da mesi, ma lui non l'aveva mai riparata e stamattina le assi avevano deciso di cedere a domino sopra di lui.
Io e colleghi ci guardiamo in faccia, cercando di smettere di pensare a quanto fosse stato stupido, e iniziamo a decidere cosa fare, mentre attendevamo l'arrivo dei Vigili del Fuoco.
Mentre medicavo la fronte di Emilio, mi cade l'occhio sulla carriola sulla quale era schiacciato e ci vedo dentro una motosega.
Essendo ignorante in materia, (e avendo visto troppe puntate di CSI, passatemela) mi si gela il sangue e faccio segno ai miei colleghi; il nostro autista ci rassicura dicendoci come si aziona, e poco più tranquilla proseguo a medicare Emilio.
"Fanculo mi fa maleeeee le gambeeeee cazzo!! Dove sono i pompieri???" urla
"Signor Emilio, stanno arrivando, abbia pazienza, so che è dura..." gli dice il mio caposquadra
"No, non sapete un cavolo mi fa maleee! Le gambeee! Io i pompieri non li sento! Non li avete chiamati! E il medico?? Dov'è il medico ahiiaaaa!"
"Emilio" gli dico tamponando la fronte "Sente le sirene? Stanno arrivando!" gli dico, sentendo una sirena in lontananza e pregando che non si perdessero nella melma
"Stronza! Io non sento un cazzo! Non sta venendo nessuno ahaiaaaaaa" seguita ad urlare
Mi giro per prendere altre garze sterili dallo zaino e DENTRO ad esso ci vedo un cagnolino, tipo Jack Russel, scondinzolante.
Nella follia generale, si era accalcata una folla insolita per un campo disperso nel nulla, e qualcuno aveva ben pensato di far ciondolare il proprio cane attorno alla scena.
Perdo la pazienza, e quando vedo arrivare un uomo sorridente che chiama il cane non riesco a non rispondere "Fuori dai piedi, lei e il cane, immediatamente".
Prendendo il cagnolino (che colpa non aveva, sia chiaro!), se ne và borbottando.
Allontano abbastanza bruscamente la folla di gente intenta a fare foto e video con i cellulari, e in quel momento arriva l'automedica.
"Mi fa maleeeee toglietemi da qui! Non sento le gambe aiutooooo" urlava Emilio
Il mio caposquadra racconta al medico quanto sapevamo, e un'espressione di disappunto si dipinge sulla sua faccia, proprio come sulla nostra pochi minuti prima.
Emilio seguita a mandarci tutti a quel paese per il dolore, finchè non arrivano i Vigili del Fuoco.
Giuro: non avevo MAI visto tanti mezzi dei VVF tutti assieme (erano 4, per inciso), per qualche secondo mi sono sentita come un bambino che vede per la prima volta l'autopompa.
In pochi minuti, i VVF liberano Emilio dalla morsa, mettendo in sicurezza la scena.
Coordinandoci, mettiamo Emilio sulla spinale e successivamente sulla barella.
Non avevo mai lavorato con VVF, medico e infermiere nello stesso momento, devo ammettere che è stato soddisfacente vedere come funziona la coordinazione tra diverse squadre.
Emilio smette di urlare, e inizia a scusarsi con tutti per le parolacce che ci aveva rivolto.
Lo carichiamo in ambulanza, e il medico decide di salire con noi.
Il viaggio, in codice verde perchè di lesioni serie non ne aveva (e questi sono alcuni dei miracoli che a volte i soccorritori hanno il privilegio di vedere), è stato un incubo: Emilio ci ha fatti fermare ogni 200mt perchè aveva l'impressione di vomitare, ma alla fine non tirava su nulla.
Alla 3 volta che ci obbliga a fermarci, lagnandosi e iniziando a sputare in giro dappertutto (comprese sulle nostre facce, naturalmente), il medico si indispone e prendendo il telefono chiede alla Centrale di darci un codice giallo per arrivare prima in ospedale.

...inutile dire che la mia amica ha dovuto buttare i pantaloni bianchi, vero?


sabato 21 gennaio 2012

Se non te l'aspetti

Certe volte, semplicemente, non te l'aspetti.
A cosa faccio riferimento? Penso non a torto che un soccorritore che legge una frase del genere inizia ad avere flash su vari ed eventuali interventi.
L'ultima volta che ho pensato questa frase è stata ieri mattina.
Veniamo chiamati in codice verde perchè la guardia medica ha allertato il 118 per il ricovero di un paziente dispnoico con sospetta polmonite in corso.
Arriviamo in posto, in un bellissimo appartamento, dove troviamo il medico insieme a Luca, un camionista sulla cinquantina, che si trascinava letteralmente per casa.
Il medico ci riferisce i parametri, e ci dice che era in quello stato da almeno un mesetto, ma che non ha mai voluto curarsi, fino ad una settimana fa quando si è aggravato e non ha potuto nemmeno lavorare.
Poche ore prima, spaventato dalla dispnea sempre più grave, ha allertato la guardia medica, che ha ritenuto opportuno chiamare noi.
Con buona pace di Luca, lo vestiamo, lo aiutiamo a prendere le sue cose e lo portiamo in ambulanza.
"Io devo chiedervi scusa" ci dice affannato e tossendo "non volevo disturbarvi, io non volevo!"
"Non si preoccupi Luca " gli risponde il mio caposquadra "siamo qui apposta, non c'è da vergognarsi se si sta male!"
"Si ma io...io non ho mai avuto niente! Io scalo le montagne, lo sapete? Ho appena fatto l'attraversata dell'Atlantico in vela, e lavoro anche sulle barche nel Mediterraneo quando non guido i camion! Non ho mai avuto niente!" ci dice affaticato
"Luca, guardi che a volte può capitare...stress, stanchezza etc rendono più vulnerabili; facciamo qualche controllo in ospedale, così le possono indicare il modo corretto per rimettersi completamente" gli dico mentre compilo i moduli cartacei.
Io e il mio caposquadra, presi dai mille fogli da compilare, non ci accorgiamo subito che Luca inizia ad appisolarsi.
Con la coda dell'occhio vedo che s'è completamente accasciato, probabilmente sfinito dalle ore insonni dell'ultimo mese; tuttavia, non potendo lasciarlo dormire, batto forte le mani e lo chiamo a gran voce "Luca! Luca sveglia forza! 10 minuti e siamo arrivati, non possiamo farla dormire!" gli dico
Lui si sveglia all'improvviso, tossissce e mi dice "sono stanco, non ce la faccio più....lasciatemi dormire per favore!"
"No Luca, non possiamo, davvero; cerchi di stare sveglio! Ci racconti dei suoi viaggi!" gli dico, mantenendo il tono di voce alto.
Di malavoglia, Luca inzia a raccontare dell'Alaska, della Patagonia e dell'Atlantico...poi ad un certo punto si addormenta di nuovo.
Mancavano 5minuti all'arrivo in ospedale, e lo sveglio di nuovo.
"Luca! Sveglia" grido
Luca però apre gli occhi di scatto, inizia a dimenarsi dalla barella, si sgancia le cinghie e inizia a gridare "Dove sono? E voi chi siete? Dove sono??? Voglio tornare a casa! Riportatemi a casa!"
A me e al mio caposquadra è venuto un colpo nel sentirlo urlare così, non ci aspettavamo una crisi del genere, e ci alziamo immediatamente per cercare di ripristinare l'ordine, altrimenti sarebbe potuto diventare pericoloso per sé e per noi.
Luca tra l'altro è grande e grosso, e in questi casi la prudenza non è mai troppa.
"Luca calmati" gli dico "Guardami, siamo della Croce Rossa, sei in ambulanza, stiamo andando in pronto soccorso, ricordi?"
Luca mi fissa per qualche istante, mentre il CS chiama la Centrale per riferire la situazione.
Luca non sembra tornare lucido "No, no io in pronto soccorso...il dottore...ma voi? E mi fa male il torace, proprio qui...mio papà, lui non sta bene...no in pronto soccorso no!"
Cerco di tranquillizzarlo di nuovo, gli accarezzo la testa piano, e gli dico "Luca forza, ti ricordi di noi? Ci ha chiamati il medico, stamattina, perchè non stavi bene..."
"Il medico...ah....già..." riacquistando lentamente lucidità, si tranquillizza un po' "Perchè non posso dormire? Dormo adesso eh...io dormo"
"No Luca, sveglia forza! Siamo arrivati, l'infermiere vuol parlare con te, non con noi!" gli dico battendo le mani per tenerlo sveglio
"Si...no...ma io sono stanco..." mi dice con occhi semi chiusi
Guardato a vista da me e collega, vista la crisi precedente, arriviamo in pronto soccorso.
Della serie che non puoi abbassare lo sguardo un attimo, nemmeno per compilare i documenti, che può succedere di tutto in pochi secondi.
Ecco cosa intendo quando dico che, ad un soccorritore, un paio di mani ed uno di occhi non bastano mai!

martedì 10 gennaio 2012

Rifiuto ricovero

Quante volte é capitato di dover far firmare il modulo di rifiuto ricovero ad un paziente che invece avremmo voluto poter obbligare ad andare in pronto soccorso?
A me è successo qualche volta, ma una volta in particolare ricordo perché per puro caso seppi anche l'epilogo della vicenda.
Mancavano pochi giorni a Natale, e in giro c'era il caos più totale: supermercati pieni, centri commerciali inagibili data la folla et cetera.
Niente di insolito, insomma.
Quella mattina era un venerdì ed ero di turno quando, verso mezzogiorno, fummo chiamati per un uomo, 70 anni, che si era sentito male in un noto centro commerciale della zona. Codice giallo.
Niente di strano, pensai, era un classico "scenario natalizio di un centro commerciale" e quindi con discreta calma stavo riepilogando mentalmente ciò di cui avremmo avuto bisogno.
Una volta arrivati in posto ci trovammo letteralmente imbottigliati nel traffico del parcheggio, e per quanto sembri incredibile, nemmeno un'ambulanza in sirena era in grado di far spostare la gente in preda alle compere last minute.
Con non poca difficoltà, individuammo nella folla un gruppetto di tre persone che si sbracciavano e che venivano a fatica verso di noi.
In due nanosecondi, io e gli altri due della squadra scendemmo dal mezzo mentre l'autista faceva manovra, e aiutammo i tre a salire.
Chiuso il portellone, tirammo un sospiro di sollievo (sensazione che, per altro, durò davvero poco) e iniziammo a fare il punto della situazione.
Con noi, belli pigiati nel vano sanitario, c'erano Annamaria, una signora sui 70 anni, Emanuele, un ragazzo sui 30 e infine Giacomo, il signore di 70 anni per il quale eravamo stati mandati.
"Stavo sistemando gli scaffali quando ho sentito la signora urlare, ho visto il signore per terra e ho chiamato subito il 118" racconta Emanuele, un po' nervoso "Non ho visto nulla d'altro, era già per terra quando sono arrivato nella loro corsia...adesso potrei tornare al lavoro? Se non mi trovano sono guai!".
"Tranquillo" gli disse il caposquadra "vai pure, grazie per l'aiuto!"
Emanuele si eclissò alla velocità della luce, lasciando un po' più spazio vitale sul mezzo.
"Stavamo facendo la spesa, poi lui mi ha detto che gli girava la testa, è tutta mattina che non sta bene...è ansioso, aveva anche un fastidio allo stomaco..." incalzò Annamaria, che non la smetteva un attimo di parlare.
Avete presente quel tipo di "moglie-duce" (non me ne vogliate per la definizione, ma a quello ho pensato quando l'ho vista&sentita!) che parla, parla, parla, e ordina, e parla ancora, e che è la fonte delle incomprensioni con noi soccorritori? Ecco. Di questo tipo di persona parlo.
Il caposquadra fece scendere dall'ambulanza il terzo dell'equipaggio insieme alla moglie, in modo da farsi raccontare con calma l'accaduto e tenerla lontana da Giacomo, che ancora non aveva proferito parola.
Sul mezzo rimasimo io, il caposquadra, l'autista seduto davanti pronto a spostarsi in caso di necessità, e Giacomo.
Finalmente la calma.
Giacomo non voleva stare sulla barella, quindi restò seduto su una delle poltroncine del mezzo.
"Giacomo, mentre la mia collega le prende due parametri, mi racconta cos'è successo?" domandò il caposquadra, mentre mi accingevo a collegare il saturimetro e a prendere la pressione.
Giacomo sembrava nervoso, respirava affannosamente, sudava freddo ed era grigio in faccia, non pallido, davvero grigio.
"Eh sa, con l'età! Poi la moglie mi stressa, è Natale, e non abbiamo ancora fatto la spesa!" racconta sorridendo nervosamente
"Ok, ma non è ancora Natale! Si ricorda quand'è svenuto? Ha battuto la testa?"
"Mi girava la testa, però mia moglie mi ha aiutato mentre cadevo...poi è diventato tutto nero e mi son svegliato per terra! Mi faceva un po' male qui, ma a 70 anni non si è più giovani!" ci disse, stringendosi il petto
"E adesso come và?"
"Adesso bene!" disse ben poco convinto
"Giacomo senta, sta sudando freddo, è un po' pallido, è svenuto e i suoi parametri non ci convincono per niente...è il caso che andiamo a fare un giro in ospedale, no?" domanda il mio caposquadra, al quale riferisco che il polso era decisamente aritmico, la pressione bassa e la saturazione instabile.
In quel momento la signora Annamaria apre il portellone, e inizia a vomitarci addosso parole.
Notiamo che Giacomo inizia ad agitarsi, e a lamentare un senso di nausea.
Dopo una baruffa verbale degna di un teatrino, la signora tenta di obbligare Giacomo ad andare in pronto soccorso.
"Ci vuole troppo! Devo comprare ancora i regali alle nipotine!" ci disse Giacomo, tendando di alzarsi, e scendendo dall'ambulanza.
Io e squadra eravamo decisamente preoccupati, così chiamando il 118 e riferendo la situazione, provammo a far parlare Giacomo direttamente con l'operatore di Centrale, che a sua voltà tentò con insuccesso di convincerlo a farsi vedere.
Mentre il mio caposquadra tirava fuori i moduli per il rifiuto di ricovero, mi avvicinai a Giacomo e gli dissi: "Guardi, il PS può anche essere vuoto! Fare un controllino non le costa nulla, e ha ancora qualche giorno prima di Natale. Si sentirebbe più sollevato anche lei se sapesse che è tutto a posto, no?"
Giacomo mi sorrise, e mi disse: "Siete dei cari ragazzi, ma io devo finire di fare le mie cose! Andrò a fare un controllo dopo Natale, ok?"
Mentre cercavo una frottola convincente, Giacomo firmava i moduli di rifiuto ricovero e se ne tornava dentro al supermercato, litigando con la moglie.
Io e colleghi, decisamente perplessi, le avevamo provate tutte per convincerlo, però non potevamo certo obbligarlo a venire, non stava a noi decidere, così ritornammo in sede.
Quel giorno abbiamo fatto altre due uscite, dopo Giacomo.
Una settimana dopo, per caso mi ritrovai a parlare con un amico il cui zio lavorava in quel supermercato.
"A proposito, visto che magari ne sai di più...mio zio ha detto che settimana scorsa hanno chiamato l'ambulanza per un signore che conosce, che è stato male in negozio"
Io, che non avevo pensato subito a Giacomo, gli dissi: "Beh normale...tra la ressa e il caldo...!"
"No no, deve essere stato qualcosa di più...mio zio lo conosceva quel tizio lì...non è voluto andare in ospedale, e alla fine sai cos'è successo? E' morto! Pensa che sfiga! Aveva lì un'ambulanza!"
"Ma dai...!" risposi, ripensando alla settimana prima, e un atroce dubbio mi prese "Sai il giorno?" domandai.
"Venerdì mattina scorso...non mi ricordo la data, ma era sicuramente venerdì perché mio zio è venuto da me il sabato mattina! Mica eri di turno anche tu?".
Eh si, c'ero anche io.

venerdì 6 gennaio 2012

La befana vien di....notte? Ma và!

Alle 7.30 di stamattina sono piombata in sede armata di calza piena di dolci, occhiali e foulard colorato...giusto per rendere più "befanica" la mattinata!
Il fatto è che non abbiamo avuto nemmeno il tempo di farci una risata che suona il telefono 118.
Voglio parlare di questo intervento perchè l'ho trovato davvero assurdo, almeno quanto la mia mascherata.
La Centrale ci dice che il medico di guardia ha in studio un bimbo di un anno con convulsioni febbrili.
Essendo lo studio molto vicino alla nostra sede, non abbiamo nemmeno la necessità di salire in ambulanza per raggiungerlo.
In posto ci troviamo davanti il medico e i genitori del piccolo Michael, un bimbo probabilmente africano in preda a febbre e con evidente difficoltà respiratoria.
Decidiamo di caricarlo in ambulanza subito con la madre, e prendiamo i parametri.
Saturazione e polso sono del tutto sballati, e Michael risponde soltanto a stimoli dolorosi: il classico paziente di tipo P, dove la P sta per "pain", ovvero dolore.
Mentre i miei colleghi si adoperano per abbassare la temperatura e sistemare il piccolo, pulendolo e asciugandolo, io chiamo la Centrale per riferire la situazione.
Naturalmente l'operatore della Centrale vuole parlare col medico di guardia; dopo un consulto di un paio di minuti, vengo informata che ci verrà inviata l'Automedica.
La situazione è la seguente: con un codice 2 arriveremmo in ospedale in un tempo inferiore di quello che sarebbe servito all'Automedica per raggiungerci nella nostra attuale posizione.
Tuttavia le direttive della Centrale non si discutono, così attendiamo lungamente che l'Automedica ci raggiunga.
Nel frattempo, i parametri di Michael iniziano a stabilizzarsi, e finalmente arriva il MSA; medico e infermiere, dopo aver rivalutato il piccolo, decidono di seguirci in ospedale salendo a bordo con noi.
Tutto questo nel doppio del tempo che ci sarebbe servito.
Io e colleghi, una volta lasciato il piccolino in pronto soccorso sollevati nell'averlo visto riprendersi quasi del tutto, eravamo un po' perplessi per come si era svolta la missione, e soprattutto per i tempi.
Alla fine però, abbiamo deciso che polemizzare su sprechi di risorse e di tempo non portava da nessuna parte nessuno di noi quattro...così abbiamo deciso di mangiarci su, e cosa c'è di meglio di una calza piena di dolci e una pizza fuori orario?

lunedì 2 gennaio 2012

Buoni propositi?

Il 2012 è ufficialmente iniziato.
Faccio a tutti i miei migliori auguri, ma non starò a dire cose tipo "buoni propositi" et similia; preferisco raccontarvi invece di una mia personalissima riflessione, giusto per stare in tema con il blog.
Di questi tempi, qualche anno fa, tornavo a casa da una serata con amici.
Era notte fonda/mattino presto, e avevo deciso di tornare a casa passando per l'autostrada.
Viaggiavo tranquillamente, come al solito, finché abbastanza distrattamente ho fatto caso al cartello che indicava la mia uscita, e molto automaticamente ho imboccato la strada...all'improvviso però ho dovuto tirare un'inchiodata pazzesca.
C'erano delle torce ardenti per terra, e un carabiniere in piedi in mezzo alla strada.
Abbassando il finestrino, con un po' di ansia, domandai: "Ma è chiusa? Perché non era segnalato!"
Il carabiniere sbadigliando mi rispose: "No, c'è stato un bell'incidente, passi pure, ma lentamente per favore, stanno ancora sistemando" e mi fa segno di proseguire.
Mi ha preso un po' di ansia, lo devo ammettere; si vedevano le luci dei lampeggianti, ma non si sentiva nessun rumore.
La strada da percorrere era curva e sopraelevata, io essendo in basso non potevo vedere tutto, seguivo soltanto la scia di torce che c'era per terra.
Mentre salivo andavo quasi a passo d'uomo, tanto che un carabiniere a una decina di metri dal primo che avevo incontrato mi fece segno di fermarmi, di nuovo; abbassai il finestrino: "si?"
"Tutto bene? Sta bloccando il passaggio!".
"Ah si, mi scusi!" risposi frettolosamente, accelerando di poco l'andatura.
In realtà stavo guardando le torce per terra, e alla vista dei lampeggianti in lontananza, un certo senso di ansia mi prese.
Mi domandavo se sarei mai stata in grado di affrontare una cosa del genere; avrei mai avuto il coraggio di arrivare fino in fondo? All'epoca stavo frequentando il corso per aspiranti volontari, ero al secondo modulo e ancora non avevo deciso se procedere o meno con il terzo, quello dell'emergenza.
Se l'idea di farlo mi metteva ansia, che avrei combinato nella pratica?
Quella sera, mentre sorpassavo il luogo dell'incidente, ricordo di aver appena "spiato" con la coda dell'occhio, intravedendo i lampeggianti blu di un'ambulanza ferma lì vicino, e pensai a qualcosa di molto simile ad un "no, decisamente non fa per me".
Sentii quasi una sensazione di sollievo quando arrivai a quella conclusione.
E' passato un po' di tempo da quella sera, e le cose alla fine andarono diversamente.
Un po' per una sfida personale, un po' per curiosità, alla fine qualche mese dopo decisi che ci avrei almeno provato ad arrivare fino in fondo.
E' stata una delle scelte più "inaspettate" che potessi fare; nessuno ci avrebbe scommesso sulla mia riuscita...onestamente, nemmeno io.
Durante i primi turni, ricordo di aver pensato spesso a quella sera di cui sopra, e ho realizzato una cosa importante: mi spaventava ciò che non conoscevo, e il modo migliore per superare la "paura" è stata la conoscenza.
Sapere cosa e come fare, anche se inizialmente solo nella teoria, mi ha dato una forza incredibile, tanto da trasformare l'ansia in curiosità; curiosità intesa proprio come desiderio di conoscere, di vedere, di sapere per poi sapere cosa fare.
E la cosa più bella è che non si finisce mai di imparare.
Ogni tanto, quando sono in uscita, rivedo sulle facce degli astanti lo stesso sguardo che avevo io quando passai accanto al luogo dell'incidente qualche anno fa, e vorrei tanto trasmettere quello che io, alla fine, ho imparato soltanto vivendo in prima persona questa esperienza.
Mi rendo conto che certe cose, per capirle, bisogna viverle; però iniziare a farle conoscere mi è sembrato già un passo avanti.
Ecco, diciamo che questo lo potrei considerare il mio buon proposito per l'anno nuovo, e per quelli avvenire.

Auguri.