martedì 27 dicembre 2011

Le sorprese natalizie...!

Causa festività ho avuto meno tempo per scrivere, così ho voluto ritagliarmi dieci minuti per raccontarvi di Natale.
Perchè il Natale? Perchè la mattina di Natale, come credo molti altri di voi, la sottoscritta era di turno.
Una mattinata tranquilla, dove ci siamo abbuffati di cioccolatini, brioches e quant'altro avessimo in sede, giusto per "festeggiare in famiglia".
Verso le 11.30 decidiamo di affossarci nel divano con la scatola di cioccolatini e in tempo zero suona il telefono 118, come da manuale.
Al telefono, l'operatore della Centrale Operativa mi dice: "Ciao, vai a XXX, in via XXX, uomo 72 anni con Alzheimer che ha esagerato coi tranquillanti. Ti dò un verde perchè i segni vitali sono stabili e lui risponde".
Un po' dubbiosi, ci avviamo verso destinazione, raggiunta in pochi minuti.
Io e il mio collega scendiamo dal mezzo, mentre il nostro autista parcheggia nell'ampio cortile.
Davanti alla porta d'ingresso del condominio ci aspetta Luca, il figlio del paziente, agitatissimo, che inizia a farfugliare "Mio padre non parla! Non sta parlando, non ci risponde!".
Io e collega ci guardiamo interdetti, e facciamo uno scatto felino su per le scale...dimenticandoci il nostro autista, che in tempo zero si ritrova chiuso fuori.
Arriviamo in camera da letto, dove troviamo Giorgio, 72 anni, che dorme beato, e la moglie Luisa che urla e si dispera.
Verificati i segni vitali, Giorgio risulta essere il cosiddetto paziente di tipo V, ovvero quello che risponde allo stimolo verbale.
"Giorgio! Giorgio sveglia, siamo quelli dell'ambulanza! Mi senti?"
"Mmmm siii ma lasciatemi dormire mmmm" mugugna a bassa voce
"Giorgio, non posso lasciarti dormire, abbi pazienza, dobbiamo darti un'occhiata!" gli dico, e inizio a rigirarlo col collega per prendere parametri e verificare che sia tutto a posto.
Non trovando nulla di insolito, mi rivolgo alla moglie: "Signora, a parte il fatto che suo marito ha sonno, non vediamo altro; ci è stato riferito dalla C.O. che il signor Giorgio ha preso dei medicinali e ha un po' esagerato...quando li avrebbe presi?"
A questa domanda noto un po' di imbarazzo da parte della moglie e del figlio, che dopo alcuni secondi di silenzio tirano fuori una boccetta di sonnifero: "Eh vede signorina...stanotte alle 2 s'è svegliato, ci ha svegliati tutti, era agitato...così gli ho dato qualche goccia di sonnifero! Però poi non s'è più svegliato!"
Io e collega restiamo un attimo senza parole "Signora quante gocce ha dato a suo marito?" domando
"La metà della dose che si dà ad un bambino!" mi dice in lacrime.
Sapevamo bene sia noi che loro che le cose non stavano propriamente così; con tutta probabilità Giorgio era davvero agitato quella notte, e la moglie ha ben pensato che qualche goccina in più gli avrebbe fatto solo bene.
Presi tutti i dati e le informazioni, chiamo la C.O. e anche l'operatore, dopo essersi accertato che non fosse successo altro, tira le mie stesse conclusioni.
Decidiamo così di portare comunque Giorgio in ospedale per un controllino; durante il tragitto, pian piano, Giorgio inizia a svegliarsi.
Dopo una serie indefinita di mugugni e insulti in dialetto, Giorgio abbandona l'idea di protestare e si lascia sbarellare senza troppi problemi.
L'infermiere che lo prende in carico guarda me e colleghi e sorridendo ci dice: "proprio una dose da bambino...nè?".
Noi sorridiamo pensando che persino a Natale uno riesce a rimanere...sorpreso.

giovedì 22 dicembre 2011

Nel dubbio...vi dò un rosso.

In alcune occasioni l'assegnazione dei codici è del tutto inadeguata, e sappiamo bene tutti quanti che dipende in buona parte da come viene fatta la chiamata al 118 e da come l'operatore della Centrale recepisce le informazioni; in altre occasioni, invece, non si può parlare di "inadeguatezza" in quanto la situazione è talmente delicata che si preferisce andare di corsa per niente, piuttosto che arrivare impreparati.
Di cosa sto parlando? Beh, credo che i colleghi abbiamo già intuito quale sia la circostanza per cui si corre anche più di quanto già non si faccia normalmente.
I bambini.
Solitamente, soprattutto nei bambini molto piccoli, i problemi più frequenti sono l'ostruzione delle vie aeree, convulsioni febbrili e apnee.
Per tutte queste eventualità, nel dubbio, la C.O. ci fa uscire in codice rosso.
Purtroppo casi del genere mi sono capitati spesso, e solo in un caso abbiamo lasciato il Pronto Soccorso senza vedere il piccolo riprendersi (per fortuna, informandoci, scoprimmo che si riprese solo giorni dopo...).
I bambini hanno una capacità di riprendersi straordinaria, è vero, ma il modus operandi del soccorritore è completamente differente rispetto ad un'uscita su un adulto.
L'ultimo codice rosso di cui sopra l'ho fatto domenica notte, e voglio raccontarlo perchè è stato "diverso" dagli altri.
Sono le 23.15 quando suona il telefono; la Centrale ci manda in codice rosso su un bambino di 3 mesi che non respira.
Facciamo uno scatto dalla sede al garage che se l'avessi visto in moviola, non mi sarei riconosciuta.
Velocissimamente ci catapultiamo sul mezzo, lanciandoci letteralmente per le strade della provincia.
Dico al mio terzo di prepararsi a portare giù mezza ambulanza, sappiamo che ci avrebbe raggiunto anche l'Automedica, ma fino a quel momento saremmo stati soli, come sempre.
Arriviamo in posto, scendiamo e ci troviamo davanti ad una villetta.
Fuori ad aspettarci c'è una donna, giovane e parecchio agitata, che ci invita ad entrare di corsa.
Una volta entrati sentiamo le urla del bambino, che vediamo piangente in braccio al padre, sconvolto.
Penso di poter parlare anche per i miei colleghi quando dico che ci siamo sentiti profondamente sollevati nel sentirlo piangere.
Mi sincero personalmente delle condizioni del piccolo, successivamente lo affido ai miei due colleghi, poi avviso la C.O. che il bambino era sveglio e stava riprendendo colore.
Avvisata la Centrale, mi sposto con la madre e i nonni in un'altra stanza, mentre i miei colleghi restano a monitorare il bimbo insieme al padre.
Faccio sedere la madre, tremante e in lacrime, che mi racconta cosa era accaduto poco prima del nostro arrivo: Daniele si sveglia, così il papà lo solleva dalla culla e lo prende in braccio.
All'improvvisio Daniele diventa bianco e pochi secondi dopo perde i sensi, abbandonandosi tra le braccia del padre, che stendendolo sul divano si accorge che il bambino non respirava più.
A quel punto la madre, che aveva assistito alla scena, chiama il 118 e i nonni.
Non penso di poter anche solo immaginare cosa possa aver provato in quel momento il papà di Daniele, e nonostante questo ha avuto la lucidità di stendere il piccolo in piano e fargli due insufflazioni.
Alla seconda insufflazione Daniele si riprende, come se gli avessero tolto la testa dall'acqua, e pochi secondi dopo arriviamo noi.
Mentre ascolto, ho un paio di secondi di "stand by" dove non riesco a fare a meno di pensare a quanto coraggio deve aver avuto il papà del piccolo Daniele quando, vedendo il suo bambino inerte, con lucidità ha eseguito le manovre.
Non è da tutti, cazzo.
Poco dopo arrivano medico e infermiere, che avevo comunque avvisato tramite C.O. riguardo alle condizioni stabili del bimbo, e i genitori decidono di portare il piccolo in ospedale per un controllo in ambulanza.
Prima di uscire di casa, il nonno con in braccio il piccolo Daniele, rivolgendosi al bimbo sorridente, dice "Li vedi questi ragazzi qui? Chissà cosa avremmo fatto senza di loro!"
Io sorridendo mi sono permessa di rispondere "Beh, noi questa volta non abbiamo fatto nulla...Daniele aveva un ottimo soccorritore in casa!".
Il nonno sorrideva come il piccolo Daniele, e nel mentre arriva il papà che ci ringrazia ancora per la tempestività dell'intervento, poi guardando il bambino con un velo di commozione ci dice "Vedete? Lui sorride sempre! E prima...non sorrideva, non parlava, non faceva niente..."
"Per fortuna che il suo papà era lì con lui, Lei è stato davvero bravissimo!" gli dice il mio collega.

Quella sera, mentre osservavo il papà che guardava il suo bambino con occhi lucidi, ho pensato a quanto debba essere stato difficile essere un angelo custode.

venerdì 16 dicembre 2011

"Siete solo due donne e con un solo uomo??? MA NO!"

A noi soccorritori piace sdrammatizzare molto quando si parla di uscite...un umorismo un po' nero a volte, devo ammetterlo, ma a noi piace così.
Giusto stamattina avrei dovuto sostituire una collega dalle 7 alle 9, e la squadra al mio arrivo in sede ironizzava sulla mia sicura permanenza prolungata.
Beh...avevano ragione.
Alle 9.05 veniamo chiamati per un anziano caduto in camera da letto, in verde.
Esco rassegnata al fatto che non concluderò di certo il turno tanto presto.
Arrivati in posto, ci troviamo a salire due rampe di scale in pietra, lucide e scivolose, che ci portano direttamente nella casa del signor Matteo.
Moglie, figlia e nipote appena ci vedono scuotono la testa e ci dicono "Ma no! Siete solo due donne con un solo uomo!".
Io e la mia collega ci guardiamo interrogativamente, e mentre entriamo in casa un sospetto ci assale.
Sospetto fondato, quando appena entrati in camera da letto troviamo il signor Matteo, evidentemente sovrappeso, seduto a terra tra il muro e il letto.
La figlia insistendo ci dice "In due ragazze? No dai, non ce la fate mica!"
"Signora non si preoccupi, non è la prima volta e non è nemmeno dei più pesanti che abbiamo trasportato!" le faccio presente, cercando di tranquillizzarla.
"Si ma dai, siete due ragazze" insiste lei, guardandoci quasi divertita.
"Signora" le ripeto mentre tiro fuori saturimetro, fonendo&sfigmo dallo zaino "Ce la caveremo benissimo".
La signora decisamente poco convinta, continua a guardarci come se da un momento all'altro si aspettasse una nostra "resa".
Matteo effettivamente è pesante, e vedere le facce delle signore mentre io e collega sorreggevamo tutto il suo peso morto beh è stata una piccola soddisfazione, concedetemelo.
Con sacrosanta pazienza, in un secondo momento tutti e tre insieme spostiamo Matteo da terra al letto, e successivamente dal letto alla sedia cardiopatica.
"Non pensavo riusciste a spostarlo! Siete allenati, nè?" ci dice sorridendo la figlia di Matteo.
Noi, ve lo garantisco, ridevamo molto meno.
Tuttavia con un bel sorrisetto compiaciuto facciamo cenno di sì e iniziamo interiormente a sgranare un intero rosario non appena ci rendiamo conto di quanti gradini ci separano dal piano terra.
Con non poco sforzo, ma sempre sorridenti (e che stile!) arriviamo fino in fondo alle scale, mettiamo Matteo sulla barella e ci accingiamo a caricarlo.
Peccato che Matteo, poco convinto della stabilità della barella, decide di aggrapparsi all'armadietto delle bombole, impedendoci di spingere su la lettiga.
Restano i miei due colleghi a spingere la barella, e io con il carrello in mano che invito Matteo a sganciarsi perchè in quel modo non saremmo andati da nessuna parte.
Per fortuna Matteo mi dà retta, con buona pace dei miei colleghi, così carichiamo e partiamo alla volta dell'ospedale meno accessibile, in termini di tempo e strada, della zona...!
Durante il viaggio, Matteo se la ride di gusto (io e squadra un po' meno!) mentre noi cerchiamo di distrarlo un po'.
Arrivati in ospedale, si ripete al contrario la scena del carimento; Matteo si aggrappa allo zaino posizionato a lato della barella, impedendoci di sbarellare.
Anche qui, con pazienza lo convinciamo che la barella è sicura e che noi non lo lasceremo cadere, e riusciamo a portarlo in questo modo dentro al Pronto Soccorso.
Una volta usciti, un po' acciaccati, riusciamo a ridercela anche noi, ironizzando sul fatto che spesso noi soccorritori ci troviamo a far palestra anche senza volerlo...capita e basta.

lunedì 12 dicembre 2011

Ridiamoci su!

A volte capitano uscite dove l'unica cosa che si può fare è riderci su.
L'anno scorso di questi tempi veniamo chiamati per un anziano caduto in casa con temporanea perdita di coscienza.
Eravamo io di terzo, e i due colleghi e amici con cui turno praticamente sempre.
La mia caposquadra ed io scendiamo mentre il nostro autista parcheggia il mezzo nell'ampio cortile di una vecchia corte, e ci troviamo davanti un signore anziano alto almeno 1metro e 90, sorretto da un altro personaggio più basso e tarchiatello che lo accompagna verso di noi.
Insistono per salire subito in ambulanza, e considerato che erano praticamente a 5metri dal mezzo, li facciamo salire.
Marko, così chiamerò l'infortunato, si accomoda sulla barella tranquillo e pacato, lamentando atroci dolori alla spalla destra, e l'altro personaggio che scopriamo essere suo figlio ci racconta della caduta da equilibrista che il padre aveva fatto circa venti minuti prima.
Prendiamo i parametri, lo immobilizziamo e partiamo alla volta dell'ospedale.
Una volta partiti, senza il figlio che aveva deciso di seguirci in macchina, Marko si scatena letteralmente.
Ci racconta che ha 92 anni, è istriano e che sarebbe morto sicuramente a 93 anni, come la nonna e la madre.
Io così cerco di rassicurarlo "non si preoccupi Marko, è solo una caduta! Può capitare a tutti! I suoi parametri sono perfettamente nella norma, è arzillo e attivo, non dimostra l'età che ha!"
Lui mi squadra con un'aria furba, ed inizia lo show "Senta signorina...ma lo sa che quando ero giovane e mia moglie era ancora in vita, sono sempre riuscito a soddisfarla?"
E io e la mia collega "Beh...ci fa piacere, ma veramente noi non..." e lui interrompendoci "Sempre, non è mai stata insoddisfatta!" e da qui ha iniziato a raccontare nei dettagli COME e COSA faceva con la sua ormai defunta moglie, tra l'imbarazzo mio e della mia collega.
Quando sembrava aver esaurito i dettagli hot, mi guarda e mi dice "Senta biondina, ma lei...cosa ne direbbe di farmi da badante? Sà alla mia età ormai comincio ad avere i miei problemi..."
Io, un po' imbarazzata, cercavo di sviare il discorso "Ci sono persone preparate a prestare assistenza, io al momento non lo sono..."
E lui incalzante "No ma non si preoccupi! Non sono di tante pretese...se poi in settimana ci concedessimo anche qualche 'beneficio'...eheheh sà, in fondo sono ancora bravo!"
"Marko, la prego, non mi pare proprio il caso!" gli fece notare la mia collega, vedendo la mia faccia allibita.
"Beh, signorina bionda, io le lascerei tutto...i miei soldi, la mia casa e anche la macchina! Sa, è nuova di pacca!"
"Marko, la ringrazio...ma anche no!" gli dissi "Su cerchi di rilassarsi adesso che siamo quasi in ospedale!"
"Ma quindi lei non avrebbe voglia di prendersi cura di me? La soddisferei a dovere!"
La mia collega, dopo aver chiuso il vetro che ci separava dal nostro autista che stava imprecando perchè queste uscite nei miei confronti non le stava gradendo per niente, invitò il signor Marko a smetterla di farmi propostacce che tanto io ero già impegnata e sistemata.
Al che lui la guarda e le dice "Beh la proposta è valida anche per lei naturalmente!"
Io e lei ci guardiamo in faccia, cerchiamo di trattenere una risata, e gli diciamo di calmare i suoi bollenti spiriti perchè ormai eravamo arrivati.
Una volta sbarellato e lasciato in ps, io e collega ci siamo fatte una gran risata.
Rideva un po' di meno il nostro autista, che non è troppo tollerante in questi frangenti!!

mercoledì 7 dicembre 2011

E'-solo-sbocco-è-solo-sbocco

Ogni soccorritore ha un "punto debole", qualcosa che lo urta più di tutto, in fondo siamo esseri umani.
Il mio "punto debole" è il vomito.
Nessun odore, nessuno scenario, nessun paziente mi turba quanto mi turba il vomito.
I miei colleghi, scherzando (si insomma, più o meno!), mi hanno fatto notare che il paziente vomitante è un lusso che non mi faccio mai mancare, e si finisce sempre col ricoverare nell'ospedale la cui strada è un insieme di tornanti e curve che sembra pensato apposta.
La prima uscita che ho fatto su un paziente vomitante non la ricordo, ma ricordo perfettamente come mi sono sentita le prime volte che ho visto una persona vomitare.
Un'uscita in particolare ricordo, adesso la racconterò col sorriso, ma in quel frangente non ero proprio "sorridente"!
Veniamo chiamati in giallo per una sospetta crisi ipoglicemica in un supermercato, all'epoca avevo la certificazione ufficiale da pochi giorni e uscivo ancora come quarto componente della squadra.
Arriviamo in posto, il supermercato era pieno di gente e identifichiamo subito il luogo dell'evento a causa della concentrazione di curiosi che contraddistingue le scene "truculente".
In realtà ancora non ho capito che razza di perversa curiosità spinge la gente ad accalcarsi attorno a incidenti, persone che stanno male et similia.
Comunque, arriviamo, facciamo sgomberare la corsia e troviamo il signor Salvatore in una bella pozza di vomito.
L'odore l'avevo avvertito già a 5 metri di distanza, e mi ripetevo "è-solo-sbocco-è-solo-sbocco", così con santa pazienza ho recuperato lo scottex per pulire.
Ho avuto un conato io stessa, e per fortuna il mio caposquadra se n'è accorto in tempo per chiedermi di recuperare altre cose dall'ambulanza, che a pulire ci pensava l'autista.
Mentre tornavo sul mezzo a prendere traversine e altro scottex mi autoinsultavo per non esser riuscita a controllare la nausea; non riuscivo a capacitarmi...avevo visto e messo le mani in peggiori condizioni, eppure..!
Tornando sulla scena, Salvatore sembrava sul punto di riprendersi, così dopo aver comunicato con la C.O. lo carichiamo, e ci danno un codice 2 per l'ospedale più vicino.
Durante il tragitto andavamo spediti, e mentre il mio caposquadra mi rassicurava dicendo che le prime volte non è sempre facile, Salvatore pensa bene di ricominciare a vomitare.
MAI in vita mia avevo visto qualcuno vomitare a getto, solo nei film, e dal vero beh...è tutta un'altra cosa.
Credo di essere diventata verde, letteralmente.
Mi sono cacciata in bocca mezzo pacchetto di cicche alla menta, e tenevo il mio caposquadra che stava in piedi con un sacchetto davanti alla faccia di Salvatore, per impedire che ci allagasse l'intero mezzo.
Alla testa c'era il terzo dell'equipaggio, che puliva Salvatore, e teneva un occhio sulla sottoscritta.
Stavo facendo uno sforzo immane per superare la mia avversione, tanto che il colorito della mia faccia da verdino credo fosse di un bel verde-vomito.
Salvatore tra l'altro faceva dei versi tremendi, sembrava una scena del film "L'Esorcista", e mentre io cercavo di non concentrarmi sulla scena a cui stavo assistendo e al tremendo odore che c'era a bordo, il terzo dell'equipe mi guarda divertito e mi dice "vuoi fare la scarpetta?".
Mentre il mio stomaco si torceva all'idea e il mio cervello partoriva solo parolacce, la mia bocca era impegnata a masticare la cicca in maniera frenetica.
Per fortuna, una volta arrivati in pronto soccorso e lasciato Salvatore vomitante, la nausea passò velocemente.
Da quel momento le ho pensate TUTTE per cercare di essere efficiente anche in casi come questo, e al momento il rimedio migliore che ho escogitato è: cicca alla menta forte + mascherina imbevuta di olio all'eucalipto.
Ho imparato che tenendo sotto controllo il mio olfatto riduco della metà la mia sensibilità al vomito.
Mi sto letteralmente ingegnando per trovare una soluzione...rispetto ai primi tempi, mi rendo conto di aver migliorato la mia resistenza, ma non nascondo che certe volte è davvero dura.
Nonostante le prese in giro di alcuni colleghi, viaggio con un bel mazzo di sacchetti per il vomito nella tasca della divisa...e per quanto divertente possa sembrare, fino ad ora il caso mi ha dato ragione, averli in tasca è stata una benedizione (per me e per la mia povera divisa)!
Giusto settimana scorsa siamo intervenuti su un altro vomito selvaggio, 20 minuti dopo una favolosa colazione con una gigantesca brioche alla crema, che abbiamo maledetto...alla domanda "Ma lei ha mangiato qualcosa stamattina?" la risposta è stata "avevo mal di stomaco quindi sono stato leggero...tazza di latte&caffè con i biscotti!".
Della serie che se voleva star pesante chissà che avrebbe mangiato...inutile dire che latte, caffè e tutti i biscotti della leggerissima colazione sono finiti tutti irrimediabilmente sulla barella, vero?

martedì 6 dicembre 2011

La fiducia

Da quando sono un soccorritore, ho imparato cosa vuol dire dare fiducia "alla cieca".
La fiducia non è facile da conquistare, almeno per quanto mi riguarda, e mi rendo conto che a volte può essere decisamente difficile fidarsi.
La prima volta che ho fatto il caposquadra, ad esempio, ero abbastanza spiazzata: la fortuna di essere in 4 era bilanciata dalla mia diffidenza nei confronti di due dei miei colleghi, coi quali non ero mai stata in uscita.
E giustamente quando uno vorrebbe starsene bello comodo in sede, il telefono inizia a suonare all'impazzata...quella volta non abbiamo messo piede giù dall'ambulanza per tutta la mattina, ovviamente.
Quel giorno fu come avere gli occhi bendati, dovevo fidarmi della squadra, anche se non è stato per niente facile.
Se non ci si fida l'uno dell'altro, anche l'intervento più banale può diventare motivo di diverbi o discussioni.
Non credo che tutti riflettano su questo aspetto: quando si è in uscita bisogna essere una squadra, cioè bisogna gestire la situazione insieme.
Non c'è spazio per protagonismi e individualismo, queste cose sarebbe cosa buona e giusta accantonarle perché non portano nulla di buono, fidatevi.
Dal mio ingresso in associazione, ho avuto modo di fare parecchi servizi con molte persone diverse...ognuna col suo metodo.
Io in primis ho un modus operandi particolare, ma essendo "mio" non avevo subito compreso di averlo, pensavo fosse "normale".
E' assolutamente meraviglioso e meravigliante rendersi conto del livello di "sincronia" che si può raggiungere con alcune persone, io in prima persona ero senza parole quando mi sono resa conto del "potere della fiducia".
Si è formato un forte legame tra me e quel gruppo ristretto di colleghi/e con i quali quando sono fuori mi sembra di agire come fossimo una persona sola.
La fiducia reciproca ce la siamo guadagnata, e benchè io non abbia ormai alcun problema a fare turni con chiunque, con loro è tutto diverso.
Mi fido di loro come mi fido di me, come se i loro occhi fossero i miei, e abbiamo affrontato parecchie situazioni critiche con il massimo della lucidità e della coordinazione.
Quando lavoro con altri colleghi, pur non avendo avuto grossi problemi, mi rendo conto della diversità di affiatamento, manca quel qualcosa in più...la squadra funziona, ma non c'è lo stesso affiatamento che ho con la mia.
E'ovvio poi che con alcuni ci si intende meglio di altri, ed è tutta un'altra storia quando in uscita con un solo sguardo ci si capisce al volo.
Ricordo che una delle mie prime lezioni del corso di aspiranti volontari fu a proposito dei ruoli di una squadra e del fatto che, se saremmo stati fortunati, avremmo trovato quel ristretto gruppo di persone con cui non si ha bisogno di stabilire niente a priori, come se avessimo fatto servizio da sempre insieme.
Ero decisamente scettica a riguardo, devo ammetterlo; pensavo fosse una di quelle cazzate che si raccontano ai corsisti, ma per fortuna mi sono dovuta ricredere.
La fiducia non è certo facile di guadagnare, ma quando c'è si sente, non c'è dubbio.
La lezione sulla fiducia mi è servita...non l'ho assimilata tanto facilmente, devo ammetterlo, però partire in positivo dando fiducia a qualcuno, almeno per ora, è stata la scelta migliore.

giovedì 1 dicembre 2011

Certe notti la strada non conta, quello che conta è sentire che vai

Di notte cambia tutto.
Cambia la luce, e con essa cambiano le persone.
Non sembra nemmeno di fare servizio nelle stesse zone, certe notti.
Premetto che non faccio servizio in grandi città, che credo siano ancora più "folli" di quanto possa essere la mia zona.
Ci sono notti in cui, qui da noi, si riesce a dormire senza mettere piede fuori dalla sede.
Altre notti, invece, è già un miracolo riuscire ad appoggiare la testa sul cuscino almeno un paio d'ore.
Per ora ho sperimentato solo queste ultime.Normalmente faccio servizio di giorno, al mattino in particolare, e di notti ne ho fatte pochissime.
Tuttavia tanto m'è bastato per notare una colossale differenza tra quel che si vede di giorno e quel che si vede di notte.
Ricordo chiaramente la prima uscita del mio primo turno di notte; veniamo chiamati per un incidente auto-bicicletta, codice giallo.
Arriviamo sul posto e la scena è la seguente: grossa rotonda con quattro strade affluenti, una macchina parcheggiata a lato della strada coi carabinieri dietro, un signore di mezza età seduto sullo spartitraffico e accanto a lui una donna sconvolta.
Quando arriviamo, gli animi si scaldano.
Con i carabinieri stava parlando Lorenzo, sessantenne alla guida della macchina incriminata.
Seduto per terra c'era Luigi, con la moglie Luigia, che inveiva pesantemente contro "lo stronzo al volante" [Cit.].
Dopo aver placato gli animi, messo il collarino e posizionato Luigi sulla tavola spinale, vado dai Carabinieri per avvisarli delle direttive della Centrale Operativa, e verificare lo stato di Lorenzo.
"Andiamo all'Ospedale XXX" dico al Carabiniere, che mi dice con forte accento romanesco "Ricevuto, ma se questo non mi dice tutto quel che è successo da qua non ci si muove".
Guardo con aria interrogativa il signor Lorenzo, palesemente preoccupato, che improvvisamente inizia a dire incerto "io venivo dalla strada dritta, quello con la bici è entrato in rotonda, io l'ho visto...però sono passato lo stesso. Pensavo di fargli il pelo, mica di buttarlo per terra! Volevo andare via, ma dei ragazzini mi hanno fotografato e poi mi sono sentito in colpa, così alla fine son tornato indietro e ho chiamato il 118".
Sconcertati quanto me, i Carabinieri scrivendo il verbale domandarono a Lorenzo "E mi ripeta dove abita, per cortesia".
Lorenzo sillabò il nome di un piccolo paese nei dintorni; il Carabiniere chiese "e dove sta?", e Lorenzo rispose ripetendo il nome del paesello scatenando il disappunto del Carabiniere che tenne a sottolineare "Che cazzo ne so di dov'è sto paese, io so' de Roma!".
Dopo aver spiegato al Carabiniere dove si trovava il paesello in questione, Lorenzo firmò i moduli per il rifiuto di ricovero, e noi potemmo partire alla volta dell'ospedale.
Mentre portavamo Luigi in ospedale, questo mi domandò "ma è possibile che adesso muoio?".
Quasi divertita gli dissi "io non sono un medico, ma ho i miei dubbi che lei sia in pericolo di vita, ha solo preso una bottarella!", e lui "no perchè sapete, ci sono quelli che muoiono dopo incidenti banali!" e io e colleghi decidemmo di rassicurarlo dicendogli che in ospedale si sarebbero accertati che non fosse in pericolo di vita.
Lasciato Luigi in ospedale, il viaggio di rientro fu quasi rilassante...in realtà il viaggio di rientro da un'uscita in piena notte lo è sempre per me.
Abituata a vedere l'autostrada incasinata di giorno, vederla così lunga, illuminata di luci e stranamente "liscia" sotto un cielo sereno e buio è semplicemente...una figata!

‹‹Certe notti ti senti padrone
di un posto che tanto di giorno non c'è
certe notti se sei fortunato
bussi alla porta di chi è come te››
Ligabue, Certe notti


lunedì 28 novembre 2011

Se voi cantate e fischiettate, il tempo volerà!

Pur essendo una persona davvero molto paziente, c'è una cosa su cui non transigo: LA PULIZIA DELL'AMBULANZA.
Alcuni soccorritori sembrano non ricordare che sui nostri mezzi carichiamo, letteralmente, cani e porci: se siamo fortunati portiamo via la signora anziana lavata e profumata con un po' di mal di schiena, se ci va male potremmo ricoverare il drogato della situazione.
E' FONDAMENTALE comprendere che nonostante la gente che trasportiamo sia la più disparata, dobbiamo garantire il massimo del servizio ad ognuno di loro; l'ambulanza è un mezzo di soccorso sanitario e non deve diventare veicolo di germi e schifezze affini.
Per intenderci: non devo avere schifo io a mettere piede sull'ambulanza, né al paziente deve venire anche solo il dubbio che il mezzo non sia perfettamente pulito e igienizzato.Non venitemi a dire che per pulire e igienizzare il mezzo serve chissà cosa, perché non è vero.
Se ad ogni turno l'equipaggio pulisse l'ambulanza, di problemi non ce ne sarebbero.
Di pari passo alla pulizia del mezzo, ci và il check up, naturalmente.
Fare il check up significa controllare che sull'ambulanza non manchi niente, né una garza sterile né le forbici né nessun'altro tipo di presidio.
E' matematico che quando manca qualcosa, si finisce con l'averne bisogno.Normalmente io e squadra agiamo in questo modo:
ad inizio turno l'autista controlla la parte anteriore del mezzo, luci, documentazione, mappe, navigatore, sirene, benzina e dotazione (kit scasso etc), mentre il caposquadra e il terzo soccorritore controllano il vano sanitario.
Il controllo del vano sanitario per me è indispensabile, non riuscirei a fare un turno senza controllare che il mezzo sia a posto; mi manda letteralmente in bestia vedere colleghi sottovalutare l'importanza di questo step, perchè uscire con un'ambulanza che non ha tutto il materiale al suo posto significa rischiare di non avere quel che serve e di fare una colossale figura da incompetenti davanti al paziente, che teoricamente dovrebbe fidarsi di noi.
I nostri mezzi sono dotati di una Check List, cioè una lista contenente in dettaglio cosa, dove e in che quantità è presente sul mezzo.
Facendo tanti turni ho finito con l'imparare a memoria letteralmente quella lista, e questo mi aiuta quando bisogna spiegare al volo a chi è meno pratico dove trovare le cose.
E' davvero importante inoltre mostrare sempre alle nuove leve tutto il materiale e il come utilizzarlo, e non c'è miglior momento del controllo del mezzo per farlo.
Terminato il controllo, si passa alla pulizia.
E' nostra buona abitudine disinfettare il fonendoscopio, lo sfigmomanometro e il ditale del saturimetro, che sono i due presidi più utilizzati.
Passiamo poi la scopa per terra, perchè è incredibile la quantità di sassi e polvere che riesce a salire magicamente.
Dopo è il momento del vano vero e proprio: armati di sacrosanta pazienza, armati di disinfettante apposito passiamo tutto, barella, sedie, panca, ripiani, scomparti, presidi etc.
Tutto deve avere un "buon odore" di pulito.
Le prime volte restavo letteralmente a bocca aperta nel vedere che tipo di schifezze potessero restare sul mezzo dopo un intervento.
Ultimo passaggio, la pulizia con il mocio del pavimento.
Pulire e controllare l'ambulanza di solito ci porta via circa tre quarti d'ora, che diventa un'oretta se bisogna anche lavare il mezzo esternamente con canna e spazzoloni.
So che fare l'impresa di pulizie non è entusiasmante come uscire in sirena, ma penso che aiuti molto mettersi nei panni del paziente, quando non avete voglia di pulire.
Come vi sentireste se sulla barella di un'ambulanza lurida ci foste voi?


venerdì 25 novembre 2011

Competenze

Ultimamente ho avuto modo di confrontarmi con alcune persone in termini di lavoro ed esperienze; alcune di loro, parlando di valorizzazione del proprio profilo, hanno affermato che includere nelle "competenze" anche le attività di volontariato può essere un punto di favore o sfavore, a secondo di come si spiega la propria esperienza.
Stasera quindi ho deciso di annoiarvi dandovi la mia personale opinione sul tipo di competenze che permette di acquisire l'attività del soccorritore.
Premetto che io di esperienze lavorative ne ho poche, causa giovane età, quindi come tanti altri miei coetanei devo barcamenarmi con quel che so.
In alcuni colloqui di lavoro mi hanno chiesto in che modo questa esperienza abbia contribuito ad arricchire le mie competenze, ed in breve ho spiegato ciò che segue.
Fare il soccorritore presuppone l'aver innanzi tutto seguito un corso di discreta durata e discreto impegno in termini di tempo e disponibilità.
Far parte di un'associazione non vuol dire, almeno per me, fare solo servizi di 118, ma anche partecipare a tutta una serie di iniziative di vario genere, dal trasporto
disabili all'assistenza ad eventi et cetera.
In soldoni, significa essere umili (e non tutti purtroppo riescono ad esserlo!) nel chiedere sempre quando non si sa o non si capisce, perché non basta il corso per essere un buon soccorritore, sappiamo tutti quanto la pratica e la teoria si distanzino.
Inoltre, a fini di colloqui di lavoro, è simpatico sottolineare che essere un soccorritore vuol dire lavorare in squadra, essere in grado di non perdere la calma se c'è qualche imprevisto perché in uscita capita sistematicamente qualcosa che non doveva succedere, e quindi entra i gioco anche una certa dose di fantasia mista a capacità di problem solving.
Essere un buon soccorritore implica anche avere una certa dose di sensibilità e capacità di relazionarsi con chiunque, perché non sempre è così facile guadagnarsi la fiducia di uno sconosciuto.
A volte la gente pensa che essere un soccorritore voglia dire avere mere competenze di soccorso sanitario, ma in realtà c'è molto di più di questo.
Per quanto possano essere soggettive le doti di ciascun soccorritore, è innegabile che dietro ciascuno di noi ci sia più di qualche nozione di primo soccorso, o almeno così dovrebbe essere.
Impariamo dall'esperienza ciò che ci rende dei veri soccorritori, è la strada che ci insegna, sono le persone che incrociamo.

giovedì 24 novembre 2011

I codici

Oggi vi ruberò due minuti per parlare un po' dei codici.
Spesso la gente ci chiede perchè alcune volte arriviamo a manetta e con la sirena, mentre a volte giriamo tranquilli (si insomma...più o meno!) come ogni altro mezzo che circola sulla strada.
La ragione sta nei codici; la Centrale Operativa quando passa la chiamata all'ambulanza più vicina al luogo dell'evento dà un codice di invio che può essere di tre tipi:
1. Codice Verde: indica una gravità minore, che non comporta la compromissione delle funzioni vitali del paziente.
2. Codice Giallo: indica una media gravità, che comporta l'assenza di stabilità delle condizioni del paziente.
3. Codice Rosso: indica la massima gravità, che comporta una pericolosa compromissione delle funzioni vitali del paziente.




Come avrete capito, per chi fosse capitato qui "per curiosità", sono solo il codice giallo e rosso che comprendono la sirena e una guida decisamente più "aggressiva".
Trovo doveroso specificare che sta nel buon senso dell'autista capire una regola fondamentale dell'uscita in emergenza: il codice stradale esiste, e per quanto la sirena ci autorizzi ad essere più "rapidi", non bisogna mai dimenticare che di essere anche lucidi e razionali nella guida, perché non ha NESSUNA utilità (né per i soccorritori, né per il paziente in attesa dei soccorsi) fare i numeri in ambulanza per andarsi magari a schiantare da qualche parte o mettere in pericolo la nostra vita e quella altrui.
Una volta arrivati nel luogo dell'evento, si valuta il paziente e a questo punto bisogna decidere come portarlo in ospedale, a seconda delle sue condizioni.
Il codice di ospedalizzazione viene deciso in modo differente a seconda delle zone; in alcune province è l'equipaggio che valuta, dà un codice e decide dove ospedalizzare, in altre province invece è la Centrale Operativa (e quindi NON la squadra) che decide tutto quanto.
In alcune realtà, i codici di ricovero del paziente non prendono più il nome dei codici di invio, ma hanno una codificazione numerica:
--> Codice 1, cioé Verde
--> Codice 2, cioé Giallo
--> Codice 3, cioé Rosso

La cosa che trovo davvero pittoresca di questi codici, è che spesso (e i soccorritori lo sanno bene) non rispecchiano la realtà, soprattutto nel caso dei codici di invio.
Un esempio: tempo fa io e squadra veniamo mandati in verde per un ricovero per accertamenti di un paziente affetto da morbo di Parkinson che aveva perso la sensibilità agli arti inferiori da qualche ora.
Una volta in posto troviamo il paziente in evidente stato di shock , aveva rilasciato, e a malapena riusciva a capire quel che gli veniva detto.
Il vero problema era che i parenti non avevano compreso per niente la gravità della situazione, e giustamente avevano riferito nella chiamata ciò che per loro era sembrato più importante.
La C.O. non è presente sul luogo dell'evento e basa la chiamata sulle informazioni ricevute dal richiedente.
La missione è terminata con un ricovero in giallo, diventato rosso in itinere.
Altro esempio: l'anno scorso veniamo chiamati per un arresto cardiocircolatorio, codice rosso.
Arriviamo in posto, pioveva a catinelle, e l'autista era stato incaricato di aspettare il medico fuori dall'edificio.
Io e una collega facciamo tre piani di scale con addosso zaino, ossigeno, DAE e aspiratore.
Entriamo nell'abitazione, è stata una scena molto "da film", devo ammetterlo, a posteriori sembrava quasi un'americanata.
Vediamo la signora stesa per terra apparentemente inerme, la badante in lacrime e la sorella urlante.
Ci siamo letteralmente buttate in scivolata per terra (una delle rarissime volte in cui il corridoio era spaziosissimo), iniziamo la valutazione e ci rendiamo conto che la signora in realtà stava schiacciando un pisolino per terra.
Dopo aver avvisato l'autista ormai fradicio di salire con noi, scopriamo che la signora era affetta da demenza senile e la badante non capiva quasi niente di italiano, tanto da far arrabbiare la signora che aveva così deciso (per buona pace mia e della mia squadra!!) di dormire per terra.
L'uscita è terminata con un ricovero in codice verde, per fare qualche accertamento.
Per evitare queste situazioni decisamente ambigue basterebbe insegnare alla popolazione come si effettua una chiamata al 118, argomento già discusso in uno dei miei precedenti post.
Aiutateci ad aiutare.

mercoledì 23 novembre 2011

S-O-C-C-O-R-R-I-T-O-R-E

Una cosa che ho notato spesso, avendo a che fare con i pazienti, è che molti di loro hanno un'immagine stereotipata e vaga del soccorritore.
Ho trovato divertente i vari "sinonimi" di soccorritore che ho sentito nella mia (per ora) breve esperienza:
- quelli dell'ambulanza (il mio preferito in assoluto!!!)
- ambulanziere
- uso improprio dei termini "medico", "infermiere" e "paramedico"
Senza contare come alcuni chiamano proprio l'ambulanza, e una delle migliori l'ho qualche settimana fa; ero di turno e veniamo chiamati per un ricovero programmato.
Al momento di caricare il paziente, la moglie ci guarda e chiede "posso salire sulla Croce Rossa?".
Una mezza risata è scappata anche a lei due nanosecondi dopo, quando ha visto le nostre facce un po' stranite, e si è corretta dicendo "si volevo dire il vostro mezzo!" e io, sorridendo, "l'ambulanza, giusto?" e lei divertita mi ha risposto "si si quello intendevo! Ci siamo capiti lo stesso!".
Farsi due risate ogni tanto è terapeutico sia per il soccorritore sia per il paziente, su questo non ho dubbi; se il turno inizia ad essere "impegnativo" già dalle prime ore, arrivare alla fine è lunga!
Mia nonna, che si diverte sempre quando le racconto qualche aneddoto dei miei turni, una volta mi chiese "ma quindi, adesso, sei un infermiere?" e io "no nonna, sono un soccorritore e basta"; lei un po' perplessa mi risponde "un cosa?" e io, a tono più alto, "un soccorritore!".
Lei mi ha guardato poco convinta e mi ha detto in dialetto "cià nana, io compro una vocale, non ho capito alla fine cosa fai!"
Il fatto è che la figura del soccorritore non è così ben chiara a tutti, non lo era nemmeno a me prima del mio ingresso nell'associazione.
Mi chiedevo spesso chi fossero "quelli dell'ambulanza" (pardon, ma anche io usavo questa terminologia qualche anno fa), cosa sapessero fare soprattutto, perchè li avevo visti poche volte e di sfuggita, e ammetto di aver ipotizzato che si trattasse dei fantomatici "paramedici".
In effetti, e credo sia in parte "colpa" dei film americani, "quelli dell'ambulanza" spesso vengono chiamati paramedici, ma di fatto qui in Italia queste figure (purtroppo) non esistono.
E' molto più facile trovare qualcuno che ci chiami "paramedici" o "infermieri" o "dottori" piuttosto che "soccorritori", almeno per quanto riguarda le mie recenti esperienze, e non è sempre facile tracciare un confine per definire la nostra figura a chi ci vede poco e quando ci vede non è proprio contento di averci davanti!

martedì 22 novembre 2011

Una notte in 7 minuti

Sfogliando youtube ho trovato questo video, che reputo ben fatto e credo sia tra i più fedeli in merito a come si svolge una notte di turno 118.
Ovviamente le telecamere non possono arrivare dove arrivano gli occhi dei soccorritori, e allo stesso modo non possono riprendere e trasmettere le stesse sensazioni che proviamo, tuttavia lo trovo un buon reportage che in pochi minuti mostra davvero uno spezzone realistico di "vita da soccorritore".



lunedì 21 novembre 2011

Pensavi di averle viste tutte...si, pensavi!

Colgo l'occasione di raccontare quel che è successo a me e squadra di recente, perché per fortuna nessuno si è fatto male e abbiamo potuto farci due risate...della serie che un soccorritore non smette MAI di stupirsi, perché se pensi di averle viste tutte, beh ti sbagli.Veniamo chiamati circa alle 8 del mattino, l'operatore della Centrale Operativa ci dice di andare a verificare su una strada provinciale cos'era successo, in quanto un passante aveva chiamato perché c'era una persona su una macchina ferma a lato della strada (che al mattino è molto trafficata).
Non sapendo bene cosa aspettarci, ci dirigiamo in loco, e troviamo questa Panda che avrà avuto almeno 20 anni, con il parabrezza distrutto.
I Carabinieri erano sul posto e parlavano col sedicente conducente, che non aveva un graffio.
A colpo d'occhio non riuscivamo a capire: conducente illeso, macchina da buttare con segni di un urto abbastanza violento, eppure non c'era niente o nessuno contro cui sbattere.
Ci avviciniamo, presentandoci, e il conducente dell'auto ci guarda stranito "ma io non ho mica chiamato l'ambulanza!".
"Siamo stati allertati da un passante" precisa il caposquadra "ma cos'è successo? Noi dobbiamo comunque riferire in Centrale cosa abbiamo trovato".
Vediamo i due Carabinieri che se la ridevano tra di loro, e il conducente un po' interdetto.
"Il responsabile dell'incidente è scappato nei boschi!" ci ha detto uno dei Carabinieri.
"C'era un'altra persona?!" chiediamo vagamente preoccupati.
Questi si guardano in faccia ridendo, e il conducente ci dice seccato "Un cervo! Un cervo mi ha attraversato la strada, ho provato ad evitare, ma mi è venuto addosso e poi è scappato!".
Ammetto di aver cercato di trattenere una risata, sempre più difficile da soffocare quando l'operatore della Centrale ci ha chiesto: "E come sta?" e il caposquadra ha iniziato a parlare del paziente, ma l'operatore interrompendolo gli dice "No il paziente! Il cervo!".
Appurato che il cervo se n'era andato, un po' barcollante, ma sulle sue zampe, abbiamo portato via il paziente scoprendo che l'incidente era avevvenuto ben due ore prima, ma i Carabinieri erano arrivati sul posto ben due ore dopo, e noi eravamo stati allertati per caso.
Esito della missione?
AUTO 0
CERVO 1


domenica 20 novembre 2011

Occhi Blu

Una mattina mi è capitato di affrontare una situazione che ammetto mi ha letteralmente stretto il cuore.
In generale, i pazienti che mi toccano più emotivamente sono gli anziani.
Sono le persone che spesso vivono il disagio maggiore, chi perchè abbandonato, chi perchè divorato da varie ed eventuali malattie...ognuno con la sua storia, e quello che mi fa male è vedere che la solitudine non guarda in faccia proprio a nessuno.
Con questo non dico che non ci sia il lieto fine, anzi! Per fortuna non per tutti la vecchiaia è un'agonia di solitudine.
La signora di stamattina ad esempio sola non era, anzi...e per la sua età era ancora bella forte.
Veniamo chiamati per un codice rosso, persona incosciente.

Quando la Centrale Operativa chiama per un "rosso, incosciente" al nostro arrivo troviamo due tipi di situazione:
1. Un vero codice rosso
2. Un paziente le cui condizioni sono state travisate completamente da parenti e simili

Per fortuna la signora di questa mattina rientrava nel secondo caso.
Scendemmo dall'ambulanza, volammo letteralmente in casa e la trovammo per terra in cucina con del sangue spalmato sul pavimento.
La chiamai, la scossi e lei aprì gli occhi piano.
"Signora mi sente? Mi vede?" le chiesi, e lei con uno sguardo disorientato e spaventato mi fece cenno di sì.
Tirammo un sospiro di sollievo.
Avvisammo la Centrale, prendemmo i parametri ed iniziammo a prenderci cura di lei; nel frattempo arrivò il medico rianimatore in posto con l'automedica, che io e squadra aiutammo.

La signora era spaventatissima, e parlando con la sua famiglia venni a sapere che anche il giorno prima aveva avuto un malore ed era stata portata al pronto soccorso, dove aveva firmato i moduli per la dimissione.
Mi scappò un sorriso alla puntualizzazione del figlio della signora "è dura mia mamma! Se si impunta, non c'è niente da fare, ha ragione lei".
Vedere quella persona forte così indifesa e spaventata mi strinse il cuore.
Leggevo nei suoi occhi la paura di chi senza rendersene conto si trova per terra, circondata da estranei con strane tute colorate che dicono cose incomprensibili, senza sapere come, quando e perché.
Una volta caricata, cercammo di rassicurarla.
Si lamentava appena del dolore causato dalla caduta e dall'agocanula che le aveva infilato nel braccio l'infermiere; la voce bassa e tremula tradiva il suo smarrimento più totale.
Era in un'ambulanza, per la seconda volta in due giorni, con un ago nel braccio, legata come un salame su una scomoda tavola rigida, circondata da ben 4 estranei che la chiamavano e le parlavano, ma forse lei nemmeno riusciva a capire.
Arrivati in pronto soccorso, la sbarellammo e mi venne del tutto naturale accarezzarle la testa mentre la muovevamo sul lettino, probabilmente facendole anche male (e purtroppo era inevitabile, andava spostata).
"Signora, mi raccomando, non scappi dal pronto soccorso, questa volta lasci che i dottori scoprano cosa c'è che non va! Poi torna a casa con calma, promesso?" e lei mi fece cenno di si, piano piano.
Prima di uscire presi un lenzuolo del PS e la coprii, altrimenti avrebbe avuto freddo come quando la spostammo sulla nostra barella...forse, un po' ingenuamente, pensai che magari con un lenzuolo si sarebbe sentita un po' meno indifesa.
 


sabato 19 novembre 2011

Il primo arresto non si scorda mai

Chiacchierando del più e del meno con altri soccorritori, mi rendo conto che di tutti gli interventi più allucinanti che possano capitarci (e ne capitano, fidatevi!) ce n'è uno in particolare che desta preoccupazione: l'uscita su un ACC, tradotto --> Arresto Cardio-Circolatorio.
Tecnicamente è forse l'intervento meno problematico, proprio perché esiste un protocollo ben preciso da rispettare, e c'è meno margine di "iniziativa&inventiva" in proposito.
Praticamente però è tutta un'altra storia.
Di ACC, fino ad ora, nella mia breve carriera di soccorritore ne ho visti 2 e mezzo.
Dico 2 e mezzo perché l'ultimo semi-arresto è stato tamponato da me e da una mia collega, ma viste le condizioni di quel paziente si trattava di una "fortuna temporanea".
Per quanto riguarda gli altri due interventi, li ricordo chiaramente entrambi.
Il primo ACC fu un intervento al quale ebbi la fortuna di assistere come neocertificata e quindi quarto-uomo dell'equipaggio.
Ho aiutato la squadra in ogni modo senza tuttavia intervenire direttamente sul paziente, essendo una delle mie prime missioni da soccorritore certificato.
In quel modo quindi ebbi la possibilità di vedere come si sarebbe dovuto svolgere l'intervento, e mi resi conto al volo di una cosa che non si può realizzare durante il corso di addestramento: avere a che fare con un manichino è una cosa, avere a che fare con il corpo di una persona è tutt'altro.
La signora Marta, 98 anni, aveva deciso che era il momento di andarsene.
Era in stato vegetativo da mesi, e quella mattina abbiamo cercato senza risultato di non lasciarla andare.
La parte più dura dell'intervento fu assistere la figlia della signora, rimasta praticamente sola, mentre il medico dichiarava il decesso.
Il secondo intervento invece, molto più recente, lo affrontai come operatore DAE.
L'operatore DAE è un soccorritore certificato per l'utilizzo del defibrillatore semiautomatico che all'occorrenza (leggasi: in caso di ACC) prende le redini della situazione dirigendo l'intervento sul paziente.
Quella mattina ci chiamarono per una persona con sospetto malore in strada, ci diedero un codice giallo, quindi sirena.
Arrivando in posto trovammo riverso sulla strada Mario, con la bicicletta ancora incastrata tra le gambe e le cui condizioni erano abbastanza evidenti nonostante fossimo ad alcuni metri di distanza.
Una volta spostata la bici e allontanato gli astanti, constatai l'assenza di coscienza e iniziai le manovre di RCP; fu così che scoprii che il massaggio cardiaco su un manichino non ha nulla a che vedere con quello su un corpo umano.
I sussulti e la resistenza di un corpo esanime che si piega ad ogni compressione, la sensazione della pelle fredda sotto i guanti, le costole che cedono sotto le dita...è qualcosa che non si impara in un'aula di un corso.
Successivamente attaccai il defibrillatore, che comunque non consentì, il decesso venne dichiarato diversi minuti dopo dal medico arrivato in posto.
Quando dicono che la vera maestra del soccorritore è la strada, non sbagliano; certe cose non le si imparano al corso per aspiranti soccorritori, ma ce le insegna l'esperienza.
Non sapevo se ero pronta a sentire il gelo di un corpo senza vita sotto le mani, se ero pronta a premere il bottone "scarica" della macchina, se ero pronta a praticare un massaggio cardiaco su una persona vera...se ero pronta a fare a pugni con la morte.
Eppure appena messo piede giù dall'ambulanza, una calma irreale mi prese di colpo, come se quello che stavo per fare fosse la cosa più naturale del mondo, come se non fosse la prima volta...e invece lo era, ma me ne resi conto soltanto dopo, nel momento in cui fui davanti ad una tazza di té caldo con la mia squadra.




giovedì 17 novembre 2011

Esperienze

Oggi vorrei scrivere traendo spunto dalla domanda che mi hanno fatto quasi tutti quelli a cui ho detto "sono un soccorritore", ovvero: "Ma qual è la cosa più brutta in assoluto che hai visto e che ti ha shockato?".
Quando mi fanno questa domanda, restano sempre "delusi" dalla mia risposta: le cose che mi hanno impressionato di più non le ho viste in servizio 118, ma avendo a che fare coi cosiddetti "servizi secondari", cioè trasporti di vario genere (disabili, dializzati, persone che devono andare in ospedale a fare visite et similia) nei quali ho avuto a che fare con molte persone che hanno avuto modo di condividere con me le loro esperienze di vita.
Quando sono di servizio 118 mi aspetto di dover affrontare situazioni critiche, e crescendo mi sono scoperta una persona difficilmente impressionabile, tuttavia avere a che fare con persone che non necessitano dell'ambulanza per un'emergenza, mi ha permesso di approfondire il rapporto col paziente, tanto da rimanerne a volte un po' "impressionata".
Una volta accompagnai una signora, Elisa, paziente di una casa di riposo, a fare una radiografia; con me e il mio collega c'era anche il figlio della signora, che lei si ostinava a non chiamare per nome.
Una volta arrivati in ospedale, la signora Elisa pregò me (e non suo figlio) di accompagnarla per la radiografia, e la cosa mi mise un po' in imbarazzo; alla fine acconsentii al volere di Elisa, che nel frattempo mi raccontò di come si sentisse trascurata dal suo unico figlio, che proprio nel momento della vecchiaia aveva deciso di abbandonarla in casa di riposo per dedicarsi ai suoi impegni senza avere pesi sulle spalle.
Mi disse che preferiva me a farle compagnia perché anche se non mi avrebbe probabilmente rivista, in quel momento le stavo dando tutte le attenzioni di cui lei sentiva di avere bisogno e mi ringraziò di averle strappato un sorriso.
Riconosco di essere una persona fortunata, e fino al mio ingresso in associazione ignoravo completamente come erano le vite degli altri, pur sapendo che c'era chi era più o meno fortunato di me.
Episodi di questo tipo si ripetono spesso, pazienti che decidono di confessare a noi soccorritori cose che noi portiamo sempre dentro, che ci aiutano a crescere, ma che certe volte fanno male.
Fanno male perchè noi, in quei momenti, non possiamo fare altro che ascoltare...siamo impotenti davanti a ferite che non si curano con disinfettante o acqua ossigenata, possiamo solo dare la nostra attenzione, la nostra presenza, la nostra disponibilità, anche questo è "essere soccorritori".
Per questo motivo, parlo personalmente, disprezzo tutti coloro che trattano i pazienti con sufficienza e superficialità, perchè ognuno di loro ha una sua storia che li ha portati a trovarsi, volenti o nolenti (e il più delle volte, nolenti) sulla nostra barella.
Con questo, naturalmente, non dico di "portarsi le cose a casa", perché a mio parere chi si porta a casa queste cose, chi non riesce a smettere di pensarci anche dopo il servizio, forse dovrebbe imparare a distaccarsi.
Bisogna dare il 100% ad ogni persona, e se ci portiamo il fagotto di quella precedente, allora la resa sarà sempre decrescente e non lo trovo giusto nei confronti di chi arriva dopo.
Una volta lasciato il paziente in ospedale o a casa ritengo conclusa la missione, per me finisce lì; altri invece, per ragioni più o meno personali, faticano a distaccarsi, a capire che bisogna tornare operativi subito, bisogna essere pronti subito a dare il massimo per chiunque altro ne abbia bisogno in qualsiasi momento.
Credo che ogni soccorritore debba fare tesoro di ogni esperienza che fa, ma senza lasciare che queste esperienze lo inghiottano, altrimenti diventa sempre più difficile.

mercoledì 16 novembre 2011

Il soccorritore e gli insulti...!

E' curioso che (purtroppo) spesso e volentieri un soccorritore si senta letteralmente insultare o urlare contro direttamente dal paziente o dai suoi parenti, piuttosto che dagli astanti...insomma, da chiunque.
Non è vittimismo questo, per carità!
E' giusto una constatazione: a quasi tutti i soccorritori sarà capitato di venire insultati per svariati motivi.
Gli insulti più gettonati? Uhm...questi, in scala, sono quelli che ho sentito con le mie orecchie (e spesso destinati anche a me in prima persona) in ordine di frequenza:

1. "Ma quanto ci mettete ad arrivare?? Ho chiamato da tantissimo, vi siete fermati a fabbricare l'ambulanza??"
2. "Ahia mi fate male *@/!!??^§x€$% "(questa serie di simboli sostituisce vari ed eventuali pesanti insulti rivolti dal paziente dolorante che dobbiamo trattare)
3. "Siete dei babbei a non farvi pagare per quello che fate, è da fessi"
4. "Ma cosa vi ho chiamato a fare se poi non potete dargli i farmaci?? Siete inutili, non sapete fare niente!"
5. Vari ed eventuali insulti personali, dettati da inclinazioni personali del paziente.




Ovviamente la maggior parte di noi continua a sorridere, magari cercando di fermare la rispostaccia che ci viene sulla punta della lingua, e si impegna per il bene del paziente e della nostra certificazione, che non abbiamo voglia di farci stracciare per qualche parolaccia.
Altri meno tolleranti finiscono col rispondere a tono a chi li ha appena insultati.
Io personalmente sono del partito "Ignora&Lavora"; insulti ne ho presi anche io, nonostante la mia non lunghissima esperienza come soccorritore, ma ho sempre ignorato la cosa e seguitato con il mio lavoro, limitandomi ad invitare paziente (o chi per esso) ad abbassare i toni.
C'è da dire che posso comprendere chi insulta per il dolore...al loro posto, FORSE lo fare anche io...una volta andammo a prendere un uomo con le gambe incastrate sotto quintali di macerie, e il dolore era così forte che a malapena capiva cosa gli stavamo dicendo e riusciva solo ad insultare.
Quando la mia collega lo informò che le sirene in lontananza erano dei Vigili del Fuoco stavano arrivando per liberarlo dalla capanna che gli era franata addosso, la risposta fu "fanculo, mi state raccontando cazzate, mi fa male! Cazzo! Stronzi!" e questa fine espressione lirica andò avanti per un po'.
Con questo non giustifico la maleducazione, però spezzo una lancia a favore di chi è "annebbiato dal dolore".
Tuttavia è bene spiegare una cosa che spesso la gente non sa (e che nemmeno io sapevo, giustamente, prima di entrare a far parte dell'associazione) perché nessuno si disturba a parlare di queste cose: quando chiamate il 118 non avete la linea diretta con "quelli dell'ambulanza", ma solo con una Centrale Operativa, che in base alle informazioni che ha decide di mandare il mezzo sul posto.Il fatto è che parecchi, al nostro arrivo, se ne escono con infelici esclamazioni tipo "siete arrivati tardi", oppure "ma dov'eravate, a fabbricare l'ambulanza?", non sapendo che a volte l'ambulanza che arriva non è la più vicina, ma la prima disponibile, che si spera coincida con la più vicina, ma spesso sappiamo tutti che non è così...il concetto di vicinanza, soprattutto in contesti "periferici" come il mio, è tutto relativo.
Gli insulti preferiti dagli anziani invece sono quelli di chi dice che è "da idioti" lavorare senza essere pagati; è ovvio, non si parla dei dipendenti, ma solo dei volontari.
Spesso è complicato spiegare cosa ci muove a dare il nostro tempo e il nostro impegno, dedicandolo ad altri e non a noi stessi, perchè finiamo per passare per degli "stupidi che si fanno sfruttare" [Cit. di un paziente].

Dulcis infundo, gli insulti più fantasiosi io personalmente li ho presi da un paziente dichiaratamente misogino, che ha dato luogo ad un teatrino quasi imbarazzante.
Si rifiutava di parlare con me, nonostante fossi il caposquadra, e chiese svariate volte ai miei due colleghi uomini perché prendessero ordini da "una come me".
Resami conto che non avrei ottenuto niente da lui direttamente, lasciai che i miei due colleghi prendessero tutte le informazioni del caso e valutassero il paziente mentre io mi occupavo della documentazione ospedaliera.
Al momento di caricare il simpatico sessantenne, gli dissi "mi raccomando, stia fermo perché sennò si bagna tutto!" visto che pioveva a catinelle e noi l'avevamo coperto per evitare che si inzuppasse.
Non disse una parola finché la barella non fu caricata e le porte del mezzo si chiusero; appena si rese conto di essere da solo con me e il mio collega, mentre l'autista metteva in moto, iniziò a girarsi sulla barella per darmi fisicamente le spalle.
Alla mia domanda "ma cosa sta facendo?" la risposta fu "voi donne siete delle succhia-ca**i".
Da lì all'arrivo in ospedale ogni mio tentativo di capire se era tutto a posto fu vano, così di comune accordo si occupò del "dialogo col paziente" il mio collega.
Ovviamente, scaricato Mr Misoginia, io mi sono fatta una bella risata...ridevano un po' di meno i miei due colleghi, che non avevano molto digerito la situazione.
Però devo anche ammettere che, quando la situazione lo permette, ridere degli insulti che ci si becca è un buon diversivo specie se il turno è ancora lungo!


martedì 15 novembre 2011

Aiutaci ad aiutare - la chiamata al 118

Spesso e volentieri un soccorritore deve misurarsi con un tipo di situazione particolare, dove a volte il suo approccio può essere decisivo...pur senza mettere piede sull'ambulanza.
Di cosa parlo? Delle telefonate naturalmente!
Sarà capitato alla maggioranza di voi di essere nella vostra sede e sentire il telefono della linea urbana suonare; normalmente rispondendo, diciamo "Nomedellassociazione, buongiorno?".
La risposta di solito non si fa attendere, e può essere di 4 tipi:
1. Normali domande di persone che chiamano perché interessate a comunicare con l'associazione in questione, per servizi et similia
2. "Parlo con il 118?"
3. "Ho bisogno di aiuto, pincolpallino sta male, venite con l'ambulanza!"
4. "Mi serve il farmacoX perché sto male, venite ad aiutarmi!"
Il vero problema in queste situazioni è che chiamare la linea diretta dell'associazione è completamente inutile.
L'unico numero da fare è il 118, perché è l'unico che ha la possibilità di decidere se e quando mandare il mezzo di soccorso.
Purtroppo però non tutti sono al corrente di questo dettaglio, e sta anche nella prontezza del soccorritore dare alla persona al telefono le giuste istruzioni per far capire nel minor tempo possibile come procede nella maniera corretta, e non sempre è facile perchè spesso le persone che chiamano sono talmente agitate e preoccupate che farsi capire diventa un'impresa.
E' capitato anche a me di trovarmi al telefono ripetendo tre o quattro volte "deve chiamare il 118, non noi" mentre la persona dall'altra parte mi vomitava addosso parole e urla.
L'unico modo è rassicurare e indirizzare la persona, senza dimenticare di fare nessuna delle due cose.
Imponendo la calma, diventano meno difficoltose sia la comunicazione sia la comprensione.
Voglio citare il sito del Ministero della Salute perchè viene spiegata benissimo il tipo di telefonata a cui si va incontro chiamando il 118; non sempre infatti le persone che chiamano sanno che tipo di telefonata avranno.

Come chiamare il 118

  • Comporre il numero telefonico 118
  • Rispondere con calma alle domande poste dall’operatore
  • Fornire il proprio recapito telefonico
  • Spiegare l’accaduto (malore, incidente, etc.)
  • Indicare dove è accaduto (Comune, via, civico)
  • Indicare quante persone sono coinvolte
  • Comunicare le condizioni della persona coinvolta: risponde, respira, sanguina, ha dolore?
  • Comunicare particolari situazioni: bambino piccolo, donna in gravidanza, persona con malattie conosciute (cardiopatie, asma, diabete, epilessia, etc.)



sabato 12 novembre 2011

Le vacanze del soccorritore

Quest'anno ho passato più tempo nella sede della mia associazione piuttosto che in spiaggia, ma questi sono quelli che io chiamo "dettagli".
E' curioso che i pazienti del periodo estivo spesso facciano la stessa domanda: "ma voi in vacanza non ci andate mai?".
Beh, in realtà in vacanza ci andiamo tutti o quasi, ma la cosa bella dell'essere in tanti in un'associazione è proprio questa: se qualcuno non c'è, ci sarà sicuramente qualcun'altro che sostituisce.
Siamo sempre operativi, a dispetto del caldo (TORRIDO!!!), gelo, neve...
Gli aneddoti più divertenti sono proprio quelli che succedono in condizioni climatiche discutibili, dove per altro ogni soccorritore arriva a fare la stessa considerazione: ma perchè diavolo la mia divisa deve lessarmi d'estate, e farmi congelare d'inverno?
Le divise atermiche sono il dettaglio più rilevante quando il clima sembra essere ostile.
Ad agosto, con il tipico caldo assurdo, riuscire ad andare in bagno a metà mattina significa correre un grosso rischio: abbassarsi i pantaloni della divisa senza avere la certezza di riuscire a ritirarli su una volta finito, perchè sembrano diventare improvvisamente pesanti e appiccicosi.
Una signora davvero simpatica che andai a prendere una volta mi chiese una cosa curiosa:
"Ma voi non avete una divisa estiva?"e risposi "Si signora, non vede? Sotto la giacca ho le maniche corte!"
"Ma va là! io parlavo di un bel completino estivo...ha presente?"
mi limitai a sorridere, pensando tra me e me che sarebbe stato un bel lusso, ma anche un bel problema perchè in certe occasioni più sei coperto e meglio è.
Un esempio?
L'anno scorso, mentre tutti i miei amici erano al mare, io ero a casa e per giunta anche di turno.
Il 118 ci mandò su una crisi ipoglicemica e la scena era davvero molto simile ad uno scorcio dell'Esorcista.
Mai avevo visto vomitare una persona in modo così selvaggio e mai come quel giorno, con 32°C all'ombra, mi ringraziai per aver avuto l'accortezza di indossare anche il giaccone della divisa.
Al contrario, ci sono anche momenti in cui un soccorritore desidererebbe indossare due divise...specie quando fa un freddo cane e il climatizzatore dell'ambulanza sembra non voler collaborare.
Quando tutto ghiaccia e fuori nevica così tanto da sembrare una nevicata stile Lapponia, il soccorritore si rende conto che l'ultima speranza è il riscaldamento.
Una mattina d'inverno, a causa della neve, riuscimmo a fare 3 uscite in 8 ore, senza mai tornare in sede, tanta era la neve che ci impediva di andare a più di 40km/h.
E la cosa comica in tutto questo era il riscaldamento che ci aveva abbandonati proprio all'inizio del turno.
Le avevamo provate davvero tutte per farlo partire, e dopo quasi 8 ore sul mezzo gelido mi stavo anche abituando alla divisa ormai inzuppata fradicia e alla temperatura che rasentava i 10°C nel vano sanitario...una volta arrivati in sede, come per magia, il riscaldamento iniziò a funzionare.
In quel momento tutti stavamo desiderando di essere a casa, sotto il piumone a bere cioccolata calda invece di congelare senza pietà sul mezzo.
Il fatto è che quando sei un soccorritore (e non solo quando "fai il soccorritore", ma questo argomento lo tratterò un'altra volta) è più forte di te, rinunci volentieri ad una giornata in piscina d'estate o alla cioccolata d'inverno.
Salvo naturalmente quelle occasioni di cui sopra, dove spirito di sacrificio e intenti quasi blasfemi si intrecciano in una miscela perfetta...ma del resto, siamo esseri umani anche noi!! ;-)

venerdì 11 novembre 2011

Ma voi dell'ambulanza...come fate?

Spesso la gente mi chiede "ma come fai a fare il soccorritore?"...anzi no, spesso la domanda è "ma voi dell'ambulanza come fate? Non avete paura??" ecco si, così è meglio...avevo reso un po' troppo poetica la domanda ehehehe
A volte in vero me lo domando pure io!
Ci sono situazioni che MAI e poi MAI avrei pensato di dover gestire.

Io iniziai il corso per volontari con:
1. Un forte sentimento di disgusto verso sangue, vomito, feci e urina
2. Terrore di vedere una qualsiasi scena truculenta
3. Paura mista ad una forte curiosità verso tutto ciò che più mi spaventava
4. Nessuna intenzione di mettere piede su un'ambulanza di emergenza


Bel modo di partire, né?
In realtà ebbi modo di scoprire (si, perché si trattò di una vera e propria scoperta) che ero molto più "resistente" di quanto immaginassi.
Nella mia terza uscita in emergenza (ero ancora un "tirocinante", non avevo ancora finito il corso e quindi uscivo in addestramento come quarto della squadra col solo compito di "osservare") avevo guanti e divisa sporchi del sangue di una vittima di un brutto incidente stradale.
Ricordo bene quell'uscita.
Ad un paio d'ore dalla fine del turno suonò il telefono 118; essendo il mio secondo turno, non avevo ancora raggiunto una tranquillità interiore, anzi...l'operatore 118 dice "(nome della città), incidente, rosso. Non so dire altro, fatemi sapere".
Io non ne volevo sapere di uscire, dire che mi hanno trascinato sull'ambulanza è un eufemismo.
Mentre andavamo a manetta, a sirene spiegate, mi ripetevo "Ma cazzo, possibile che faccio due turni e mi capita proprio un rosso?! A me?! Che speravo nella gradualità dell'approccio?! Cazzocazzocazzo. Ma chi me l'ha fatto fare".
La mia testa era in palla, e ogni pensiero era farcito da una serie di svariate imprecazioni, avevo persino pensato che forse non faceva per me l'emergenza, che avrei potuto fare tutto il resto dei servizi secondari, reale motivo della mia iscrizione al corso.
Poi arriviamo in posto.
Ci rendiamo conto che l'incidente era un auto vs. moto, e la moto ha avuto la peggio.
In quel momento ho avuto la sensazione che il tempo rallentasse improvvisamente.
Dalla foga di poco prima, una calma disarmante mi prese all'improvviso...tutto divenne quasi "naturale".
Potendo solo osservare, assistetti i miei colleghi intervenuti sul posto come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Non pensavo al sangue, alle urla...non pensavo a niente che non fosse attinente alla scena, l'obiettivo era fare il massimo al meglio possibile perché "se al posto del paziente ci fossi stata io, avrei voluto che le persone mi aiutassero nel migliore dei modi".
Soltanto quando l'elisoccorso si portò via il paziente realizzai la situazione: fu come riprendere coscienza dopo uno svenimento.
Mi resi conto di aver affrontato almeno due delle mie paure, e avevo vinto.
Avrei persino voluto fare di più per quella persona sulla strada, avrei voluto poter essere più d'aiuto...sapevo che dovevo aspettare fino alla certificazione, e decisi che avrei fatto il massimo per imparare il più possibile per migliorare sempre di più.
I miei colleghi mi diedero una pacca sulla spalla e uno di loro mi disse: "Bel modo di cominciare vero?".
Beh, cosa potevo dire?
Avevo capito che ero sulla buona strada.

giovedì 10 novembre 2011

Quando il telefono squilla

Dal momento in cui fui ufficialmente "un soccorritore", la cosa che tra tutte trovavo più destabilizzante era il suono del telefono del 118.
E' necessario spiegare che la sede della mia associazione, che svolge servizio di emergenza e urgenza 118 (banalmente, quelli che escono con l'ambulanza quando Pincopallino chiama il 118) è dotata di 2 linee telefoniche: quella della sede, un numero comune in possesso di tutti e segnato sulla rubrica telefonica come numero ufficiale, e una linea "privata" che serve alla Centrale Operativa del 118 per chiamare la sede più vicina all'evento urgente e con una squadra e un'ambulanza immediatamente disponibili.
Non so bene come suonino i telefoni 118 delle altre sedi, ma quello della mia ha uno squillo tremendo.
Ogni volta che suonava quel telefono facevo salti di due metri sulla sedia o sul divano; sapevo benissimo che facendo un turno come squadra 118 prima o poi sarebbe suonato (di solito, almeno una volta), tuttavia non riuscivo ad abituarmi a quel suono.
Continuavo a chiedere ai miei colleghi per quanto sarebbe durata "l'ansia da telefono", perché era davvero spiacevole sobbalzare ogni volta!
Loro spesso ridevano delle mie perplessità, dicendomi di non preoccuparmi perché con l'abitudine quel suono sarebbe diventato pian piano sempre meno acuto, sempre meno forte.
Non so a quanti sia capitato, ma io ci ho messo parecchio ad "abituarmici"...non ho mai capito perché quel suono mi facesse sobbalzare così.
Non capivo se era il telefono oppure quello che mi aspettavo da quella chiamata.
Ricordo bene il mio rapporto complicato con quella suoneria durante i primi tempi come soccorritore ...poi, un giorno che non ricordo con precisione, senza che io me ne rendessi conto davvero quel suono non mi fece saltare.
Ci pensai mentre prendevo la giacca e mi avviavo all'ambulanza...ricordo di aver pensato "wow allora era vero...prima o poi ci fai l'abitudine a quel suono assurdo".
Non riuscivo a capire se era perché quella mattina non avevo ancora bevuto il caffé oppure se era davvero arrivato il momento in cui avevo raggiunto un equilibrio.
Forse, pensai, avevo raggiunto una sorta di consapevolezza...conoscevo la mia squadra, sapevo che di loro potevo fidarmi, sapevo che ne avevamo viste di cose insieme e forse era venuto il momento di smettere di agitarsi, era arrivato il momento di accettare il fatto che anche io ero uno di loro, dopo l'immenso impegno e dedizione che avevo messo in tutto questo, finalmente ce l'avevo fatta: avevo raggiunto lo stadio in cui ti fidi di te stesso e della tua squadra.
Nonostante questo, mi sento di chiarire una cosa: la mia non è un'esperienza decennale in questo campo, tuttavia ho avuto modo di comprendere un aspetto di questa esperienza che non a tutti è chiaro; un buon soccorritore un po' di "paura buona" ce la deve sempre avere, perchè chi esce su un intervento troppo spavaldo o montato finisce sistematicamente col fare una stupidaggine, non importa se grande o piccola, è sempre a danno del paziente.
La "paura buona" non significa uscire con le gambe tremanti, altrimenti è meglio starsene a casa propria; la "paura buona" è quella sensazione che ci ricorda che nessuno di noi è Dio, siamo persone comuni che lavorano per altre persone comuni.

Incipit


Come per ogni diario che si rispetti, si inizia proprio dal principio, da quelle righe che saranno poi la vera chiave di lettura di tutto ciò che verrà dopo.
La mia "avventura" in questo mondo iniziò un po' per caso e un po' per curiosità; non sapevo niente di niente del mondo del volontariato, e men che meno sapevo a cosa stavo andando veramente incontro, ma la cosa mi incuriosiva davvero tanto, un po' per sentito dire un po' perché era qualcosa di totalmente nuovo e fuori dalle mie corde.
Avevo già rimandato da un anno l'iscrizione al corso di reclutamento volontari, e l'anno dopo non esitai ad iscrivermi.
Premetto di tendere spesso a perdere velocemente l'interesse per quasi ogni cosa; inizio con un entusiasmo quasi infantile, per poi finire (nella migliore delle ipotesi) a mollare tutto nel giro di pochi mesi.
Nessuno avrebbe scommesso un euro sul mio nuovo obiettivo: diventare volontario in una qualche associazione.
Onestamente, non ci avrei scommesso nemmeno io.

Ricordo perfettamente la prima sera di presentazione del corso, e una cosa in particolare non mi aspettavo: trovarci soltanto una ventina di persone, e tra l'altro individui tra i più disparati.
Mi aspettavo un gruppo di ragazzini/e o comunque diciamo che mi aspettavo un pubblico molto più numeroso e in una fascia tra i 18 e i 40 anni ecco...invece eravamo davvero assurdi, lasciatemelo dire.
E la cosa non mi convinceva molto, mi sembrava un po' approssimativa.
Tuttavia avevo deciso di non mollare.
Dopo aver perso svariate persone, ritiratesi dal corso per varie ed eventuali ragioni, alle lezioni eravamo rimasti in meno di 15 persone, in una fascia d'età compresa tra i 20 e i 65 anni.
Fu il percorso che ci portò a concludere i vari moduli del corso che ci unì come gruppo, riuscimmo a conoscerci meglio, a frequentarci, a capirci e pian piano ad entrare a far parte del nucleo più grande, conservando comunque una particolare intesa che proprio non mi aspettavo.
Non ho fatto alcuna fatica a portare a termine gli impegni, spesso trovandomi a fare cose che MAI avrei pensato di poter fare.
Lo scetticismo fece spazio all'entusiasmo vero, qualcosa che per me era del tutto nuovo; impegnarmi per dare il massimo, per superare le mie paure, per essere migliore e vincere la sfida quotidiana.
Alla fine del corso feci una full immersion, come si dice, nelle varie attività proposte, scoprendo un universo che fino ad allora avevo ignorato.
Col tempo l'entusiasmo è diventata vera e propria passione, e in un certo senso questo ha totalmente sconvolto la mia giovane vita, portandomi alla decisione di stravolgerla completamente perchè per la prima volta avevo (e ho) trovato qualcosa che amo fare nonostante la fatica e gli sforzi, qualcosa che riesce a dare un senso a tutto il resto.
E' da qui che inizia la mia storia di soccorritore, da questa passione nata un po' per caso. Strano, nè?
Spesso sento chi dice di "sapere da sempre che questa era la strada"; nel mio caso, io parlo di fortuna sfacciata perché non ho mai davvero saputo quale fosse la mia strada, mi affannavo soltanto a sceglierne una.

Questa volta però, in un certo senso, è stata la mia strada a scegliere me.