venerdì 21 settembre 2012

Con gli occhi...chiusi

Ci sono pazienti le cui situazioni a volte mi spezzano il cuore, tanto che alcuni di loro mi dispiace davvero lasciarli soli in Pronto Soccorso.
Ogni soccorritore è più sensibile verso determinati tipi di pazienti e per quanto mi riguarda quelli che mi coinvolgono di più sono gli anziani.
Una di loro è la signora Sofia, ospite di una casa di riposo della mia zona.
Sofia non ci vede più, ha 80 anni, ma è ancora in sé e vuole in qualche modo mantenere un po' di indipendenza...tuttavia questi tentativi di preservazione di libertà la portano a volte a dei guai, come stamattina, quando Sofia testardamente ha deciso di alzarsi dal letto per andare in bagno cadendo rovinosamente per terra e battendo la testa.
Gli operatori della casa di riposo l'hanno trovata per terra in camera, con un occhio nero e un grosso bernoccolo sopra l'arcata sopraccigliare sinistra.
Dopo una medicazione veloce, all'alba delle 11 passate decidono di chiamare il 118 a causa dei dolori che lamentava Sofia e così arriviamo noi, per altro reduci da altre due uscite.
Appena arriviamo da Sofia, capiamo subito che abbiamo di fronte una signora bella arzilla e cerchiamo di tenerla calma spiegandole per filo e per segno ogni gesto che facciamo.
Inizialmente di lei si occupano i miei due colleghi, mentre io vengo portata in un'altra camera adiacente per dare una controllata ad una signora che secondo l'operatore della struttura non stava bene e necessitava di un'ambulanza; dopo aver specificato che io non sono un medico, ma che il problema della signora è palese, ovvero che la pressione alta in un paziente iperteso è normale se non segue una terapia, l'operatore della struttura si convince a richiamare il loro medico per decidere il da farsi e una volta convinti che la pastiglia per la pressione era necessaria, posso tranquillizzare l'operatore e andare da Sofia.
"Sofia mi raccomando" le dico una volta arrivati in ambulanza "Il collare che le abbiamo messo al collo serve per precauzione, non si agiti ok? Adesso partiamo, andiamo a XXX, è qui vicino e la strada è quasi tutta dritta! Se per caso ha dolori, nausea o qualsiasi altra cosa me lo dica, ok? Io e il mio collega siamo qui per lei"
"D'accordo...è che il collare mi dà fastidio...ma dov'è che andiamo?"
"A XXX Sofia, noi siamo qui con lei, stiamo compilando dei documenti, ma ci siamo!" le dico con calma e continuo a compilare i documenti mentre tengo d'occhio la signora, che sembra essersi acquietata sulla barella.
"Manca tanto?" mi domanda pochi minuti dopo
"No Sofia, tranquilla ci siamo quasi...adesso siamo a XXX, le curve sono tante perché ci sono tante rotonde...ecco, siamo in centro a XXX, ancora poco e smettiamo di sballottarla!" le dico tenendole la mano
E continuiamo a parlarle finché non arriviamo in PS, dove spiego all'infermiere del triage la situazione di Sofia.
Una volta registrata, la spostiamo sulla lettiga dell'ospedale e continuiamo a parlarle e spiegarle cosa stavamo facendo sia noi sia l'infermiere, per non farla sentire spaesata e supplire alla mancanza della vista.
Sofia viene messa in sala d'attesa degli allettati in attesa dei parenti, purtroppo la sala è vuota.
"Sofia guardi che il letto è alto, non cerchi di scendere perché potrebbe fare una brutta caduta" le dice il mio collega
"Ok..." dice lei "Ma se devo scendere?"
"No Sofia, tenga" le dico mettendole in mano il telecomando per le chiamate d'emergenza del PS "Se ha problemi, schiacci forte questo bottone che le ho messo sotto le dita, e qualcuno verrà ad aiutarla! Noi purtroppo dobbiamo andare, ma si ricordi di non mettere giù i piedi dal letto, d'accordo?"
"D'accordo...grazie" ci dice un po' disorientata
Avendo tirato davvero in lungo, ora dovevamo andare sul serio.
Mentre usciamo dalla sala d'attesa dei barellati che ha solo lei come unica paziente, un senso di tristezza mi prende.
"Scusami" dico ad un ragazzo fermo lì fuori in attesa del padre che era stato a sua volta portato in PS "Posso chiederti una cortesia? Vedi quella signora? Non vede, ed è un po' spaventata...se per favore le dai un'occhiata e le dai una mano mi faresti un immenso favore..."
"Si ho sentito" mi dice lui "D'accordo, resto qui fuori a controllare"
"Ti ringrazio" gli dico, un pochino meno triste
Mentre esco, il mio collega mi raggiunge "E' arrivato il fratello della signora di corsa, l'ho mandato in astanteria" mi dice.
Sapendo che Sofia non era più sola, ho provato un immenso senso di sollievo.

lunedì 10 settembre 2012

Non aprite quella porta

Da quando faccio i turni di notte, come spesso vi ho detto, ho modo di vedere un mondo in un certo senso nuovo.
Il fatto è che, certe notti, benedico il fatto che dalle mie parti la squadra sia composta da almeno tre persone, perché a volte non sono proprio tranquilla, diciamocelo.
Non parlo di paura di intervento, ma di timore delle persone...alcune persone che ho incontrato certe notti erano davvero inquietanti.
Avete presente la sensazione che si ha quando si avverte nell'aria che c'è qualcosa che non va? Ecco.
Penso sia molto istintiva come sensazione, ma sono certa che ognuno di voi sa di cosa sto parlando.
Una notte di inverno suona il telefono, erano circa le 2.30, "Andate in giallo, guardia medica in posto richiede intervento del mezzo per un addome acuto e stato di agitazione".
"Vabbè, speriamo sia una cosa veloce perché fa un freddo cane!" mi dice l'autista mentre scende a tirar fuori il mezzo.
In poco siamo sul posto, normale agglomerato di villette a schiera, vediamo delle luci accese in una di esse e ci avviciniamo.
"Sarà questa?" mi chiede l'autista, e in quell'istante sentiamo delle grida
"Aaaaahhhhhhh bastaaaaaaaaaaaaa aaaaahhhhhhhh" la porta d'ingresso si spalanca all'improvviso, un ragazzo in tuta esce urlando e si butta per terra contorcendosi, dietro di lui il medico "Torna qui Riccardo! Dove stai andando???" gli urla e lo afferra per le braccia
Noi eravamo in piedi, occhi a palla, senza parole a -10°C che guardavamo la scena chiedendoci chi ce l'avesse fatto fare di turnare proprio quella notte.
"Ciao doc, è lui?" gli chiedo mentre faccio cenno agli altri due miei colleghi di avvicinarsi
"Si si, è lui, Riccardo, 30 anni, aiutatemi a portarlo dentro...perdonatemi se ho chiamato, sapevo avrebbero fatto uscire voi, ma la situazione non mi convince..." mi dice, e noto un certo stato di ansia nelle sue parole.
A forza portiamo Riccardo in casa, lo adagiamo sul divano, lui continua ad urlare come un pazzo mentre il medico mi spiega di avergli fatto il Plasil perché vomitava, e che va portato via per accertamenti.
Non avevo afferrato cosa turbava il medico, finché non mi sono guardata attorno in casa.
Il salotto sembrava quello di una normale abitazione, un po' spoglio, ma nulla di strano, se non che a pochi metri dal divano c'era una donna in vestaglia in piedi con in braccio una bambina di circa 2 anni, non di più.
Erano immobili, come statue.
"Sono lì così da quando sono arrivato, questo urla come un pazzo e quella donna mi ha solo detto di non sapere niente...non so, ma ho come idea che si siano calati qualcosa, non so nemmeno se ci sono solo loro in casa...sui documenti Riccardo risulta inglese, ma parla benissimo l'Italiano, e quella là non sa niente...!" mi dice il medico sottovoce
"Capisco..." gli dico, poi mi rivolgo alla signora "Signora, mi scusi, può dirmi se ha della documentazione ospedaliera del signor Riccardo? Era già successo prima?"
La signora, sui 40, resta immobile, con lo sguardo perso nel vuoto e con un filo di voce mi dice "Non so, non so niente io, e nemmeno la bambina"
Anche la bambina ha uno sguardo perso, non piange, non ride, è li che ci fissa immobile.
Informo la Centrale della situazione, e mi consigliano di caricare velocemente e andare in PS.
Mettiamo sempre di peso Riccardo sulla barella, il tempo di mettergli le cinghie e ricomincia a vomitare, il Plasil evidentemente ancora non aveva fatto effetto.
Lo carichiamo e partiamo in codice verde.
"Dai Riccardo, abbi pazienza che tra poco arriviamo" gli dico mentre ricopio dai suoi documenti i dati necessari, ma lui continua a dimenarsi come un pesce fuori dall'acqua, ci ha letteralmente messo a soqquadro l'ambulanza.
Ad un certo punto inizia ad urlare ancora più forte "Vomitooooo aaaaaaahhhhh fatelo smettereeeee" e butta la testa nel compartimento delle bombole
"No Riccardo, forza, prendi il sacchetto" gli dice il mio collega, ma Riccardo lo spinge via con forza.
Per fortuna il Plasil stava facendo il suo mestiere, e del vomito manco l'ombra.
Riccardo tenta di estrarre le bombole dai vani, di staccare le cose dal mezzo nonostante le cinghie siano strette, si dimena e per poco non mi centra in piena faccia con una mano.
Io e collega decidiamo di tenerlo fisicamente fermo, e in due lo bracchiamo, cercando di fargli riprendere una respirazione normale...con un po' di difficoltà (e non sapete quanta fatica considerata la forza di questo ragazzo!) riusciamo a calmarlo, molliamo la presa e lui inizia a dirci "Io non ce la faccio, mi sembra di morire dal dolore aaaaahhhhhhhhhhhhh fate qualcosa! Fate qualcosa!"
"Noi non possiamo fare nulla, adesso arriviamo in PS e ti guardano loro!" gli dico "Respira profondamente e non agitarti!"
Riccardo cerca di respirare con più calma, noi pure, e in poco siamo in ospedale.
Lo scarichiamo e torniamo in ambulanza, guardandoci in faccia tutti e tre e poi guardando le condizioni del vano sanitario.
"Mi sembra di aver soccorso un indemoniato, manco nell'Esorcista....!" mi dice il mio collega, asciugandosi la fronte
"Io sto ancora pensando al brivido che ho avuto quando ho visto la signora e la bambina...chissà se c'era qualcun'altro..." dico mentre rassetto 
"Ti prego, non farmici pensare...alla prima mossa strana, ero pronto a prendere le chiavi dell'ambulanza e a trascinarci voi due sopra per scappare!"  


sabato 1 settembre 2012

Chiacchiere in itinere

A causa di alcuni impegni non sono riuscita ad aggiornare il blog di recente, ma non me ne sono dimenticata!
Oggi più che raccontarvi qualche episodio, vorrei soffermarmi su un discorso che ho fatto con un collega in merito al ruolo del soccorritore.
Voglio condividere con voi questo discorso perché mi interessa sapere cosa ne pensano anche altri di questo argomento, del quale si discute spesso, quindi fatevi avanti se ve la sentite.



Il mio collega autista ha iniziato questa discussione con me una notte, mentre uscivamo in codice verde, dicendomi: "Sai, credo la gente, sia soccorritori che non, debba ridimensionare l'importanza che dà a questo ruolo...in fondo siamo solo portantini, e a sentire i medici direi che hanno anche ragione a dire così, non pensi?"
Gli ho risposto: "Credo che il discorso sia un po' più complicato di così; tieni conto della realtà in cui viviamo in cui il soccorritore è un volontario con una preparazione acquisita al 40% al corso e al 60% sulla strada, non adeguatamente addestrato a fronteggiare certe eventualità né adeguatamente tutelato come figura. La gente ha un'opinione di noi che si basa essenzialmente su un misto di fantasia ed esperienze personali, ed è vero che principalmente noi siamo dei portantini, però comprendi dopo tutti i tuoi onorati anni di servizio che dicendo così stai facendo di un'erba un fascio?"
"Si ok" mi ha detto "però parlo di quelle situazioni dove vedi gente giocare al supereroe quando devi saper fare bene quelle cose che ti servono per gestire la scena...parlo di incidenti, o rianimazione et similia, penso che si dia troppa importanza al nostro ruolo perché alla fine il grosso non è che lo facciamo noi. Dobbiamo imparare a fare bene il nostro lavoro"
"Sono d'accordo sul saper fare bene il nostro lavoro senza dimenticare che non siamo Super Man, medici o infermieri, però mi stupisce che la pensi così dopo tutto quello che hai visto...sono d'accordo sul fatto che il vero problema non siano il sangue, gli incidenti e il defibrillatore, però parlo di quelle situazioni in cui noi ci ritroviamo volenti o nolenti e che non dovremmo affrontare da soli, per esempio l'episodio di Mara per dirne una. Non è questione di ridimensionare il proprio ruolo, secondo me è questione di conoscere bene e far conoscere bene questo ruolo per evitare che ci si spinga troppo oltre, o troppo indietro. Perché a volte il problema sta proprio in chi svaluta la figura del soccorritore pensando che sia semplicemente uno che va in ambulanza con le sirene e la divisa a farsi vedere...quanti cretini hai conosciuto così? Penso parecchi..." gli ho fatto notare.
"Beh hai ragione" mi ha risposto un po' poco convinto "forse mi sono spiegato male, è vero ci sono situazioni che esulano dalla nostra competenza, ma che di fatto ci competono lo stesso. Effettivamente definire questo ruolo sarebbe una soluzione...perché ci sono alcuni che pensano di giocare a ER o al Dr House quando invece non è competenza loro"
"Vero, però non sono mica tutti così per fortuna...ce ne sono parecchi, ma non mi sembrano la maggioranza..." gli ho detto.
"Mah..." ha sbuffato guardando sempre la strada "sarà che dopo tanti anni forse anche chi fa questo 'mestiere' è cambiato...gente che vuole fare, dire, bruciando le tappe pensando di essere subito pronto a spaccare il mondo, poi alla prima difficoltà di incarta e di ammettere i propri sbagli non se ne parla nemmeno...insomma la questione rispetto e dell'umiltà diciamo che è cambiata"
"In parte credo tu abbia ragione" gli ho risposto mentre eravamo quasi sul posto "forse è proprio quello il nocciolo della questione...l'umiltà nel riconoscere che non siamo super eroi e che dobbiamo imparare; il rispetto dei ruoli, delle responsabilità, del colleghi, del paziente, della vita e anche di se stessi. Oh guarda, il civico 4 è là...siamo arrivati. Dai ragazzi scendiamo"