mercoledì 28 marzo 2012

Commento a "Il corretto uso dei servizi di emergenza-urgenza 118"

Prima di augurare a tutti una buona notte, vorrei condividere una riflessione sullo spot "Il corretto uso dei servizi di emergenza-urgenza 118" che è andato in onda sulla Rai dal 18 al 25 marzo 2012 (Fonte Baseluna Film).


Trovo sia stata un'iniziativa degna di nota, anche se personalmente l'ho trovata un po' approssimativa.
Mi metto nei panni di una persona qualunque (che potrebbe, per esempio, essere mia nonna) che si vede uno spot dove degli acrobati del circo un po' maldestri, ma molto eleganti e "d'effetto", vengono accostati a pallini colorati con delle didascalie.
L'attenzione viene attirata in primis dall'estetica del filmato più che dal contenuto, che secondo me non trasmette in modo chiaro e conciso il vero messaggio.
Come tengo a precisare, queste sono tesi puramente personali che chiunque potrebbe confutare senza problemi, io non sono nessuno per dire cosa sarebbe più o meno efficace.
Tuttavia penso che sia più importante spiegare alla popolazione come effettuare una chiamata corretta (argomento che per altro ho già trattato in un'altra occasione) dando le informazioni che servono per organizzare l'intervento, piuttosto che spiegare la differenza tra un codice verde e uno bianco (che per altro, in questo video, mi è sembrata comunque sommaria).
Le maggiori difficoltà delle persone, per quello che ho potuto constatare come soccorritore, sono essenzialmente:
- capire quando sussiste la necessità di chiamare il 118, e quando no
- seguire le domande dell'operatore, dando un'informazione completa riguardo all'evento
- capire che "noi dell'ambulanza" non abbiamo nè la modalità "visione notturna", nè quella della "visione attraverso i muri" per cui a volte, specie per chi abita in zone con vie nuove o comunque difficilmente rintracciabili, sarebbe cosa buona e giusta sapere che aspettarci fuori da casa, in strada, ci sarebbe di enorme aiuto a localizzare prima il luogo dell'evento
- capire che l'ambulanza non è dotata di teletrasporto e compatibilmente col codice assegnato, arriva prima che può
- capire che un soccorritore non è nè un medico, nè un infermiere, nè un paramedico
Formare la popolazione sarebbe, secondo me, il modo migliore per rendere più efficace un servizio come il 118 che, come ben sappiamo tutti, si basa soprattutto sulle persone.

venerdì 16 marzo 2012

L'importanza di chiamarsi...

Io sono di quelli che stringono la mano e si dimenticano il nome dell'altra persona, vuoi perchè sono impegnata a dire il mio senza sbagliare, vuoi perchè a volte sono distratta.
Non ho mai dato troppa importanza alla cosa finchè non mi sono infilata la divisa da soccorritore.
Instaurare un rapporto con il paziente, sia durante il servizio 118 sia durante i secondari, è uno step di un'importanza secondo me fondamentale.
Lo spunto per questa riflessione me l'ha dato una collega oggi, a fine turno; lei è una "quarta in addestramento" ancora in ballo con il corso di formazione, che mi ha detto "Sai, ho notato che il signore di oggi lo chiamavi direttamente per nome, penso sia un buon modo per instaurare un legame!".
Ha ragione.
Le prime volte, soprattutto le prime esperienze come caposquadra, non mi veniva così spontaneo...davo del "Lei" a quasi tutti (salvo coetanei), leggevo i loro nomi, li chiedevo per compilare i documenti, ma ero sempre e comunque molto formale.
Pian piano prendendo confidenza con il tipo di figura che avrei dovuto rivestire, ho iniziato a capire che instaurare un rapporto con il paziente rende il servizio migliore sia per me sia per lui.
Prendendo esempio da alcuni colleghi più esperti, ho imparato a non avere paura a familiarizzare con le persone che trasportavo, scoprendo con mia sorpresa che a loro non dispiace affatto scambiare quattro chiacchiere con noi soccorritori.
Mi piace poter regalare qualche sorriso in più a chi incontriamo, sentire le loro storie o raccontargli le mie se le vogliono sentire, per sembrare meno estranea.
Mi sembrano passati millenni da quando mi sforzavo di dire qualcosa, di essere "amichevole" fallendo miseramente, arrivando a chiedere ad un paziente cose decisamente banali e ogni tanto anche stupide.
Del resto, come già ho detto più volte, la vera maestra del soccorritore è la strada che percorre.
Non c'è modo migliore di imparare dell'esperienza diretta.
Non esiste un "manuale" che spieghi passo passo come diventare un buon soccorritore, ma esistono l'impegno e l'umiltà che permettono di imparare meglio di qualsiasi libro.

mercoledì 14 marzo 2012

Geni incompresi

Rieccomi, risorta dalle ceneri come l'araba fenice...ecco, diciamo che io sono una versione meno mitologica e più post-influenzale di suddetto pennuto, ma sorvoliamo.
Durante l'ultimo turno che ho fatto prima di cadere ai piedi del letto vittima dell'influenza stagionale che speravo di aver evitato almeno quest'anno, io e squadra abbiamo avuto a che fare con quelli che comunemente si definisce geni incompresi, cioè quelle persone che hanno illuminazioni relative alle loro condizioni nel cuore della notte e non capiscono come non abbiano potuto pensarci prima o in altra sede.
Normalmente questo tipo di scenario è molto familiare a quasi tutti i soccorritori; quante volte vi è capitato di andare a prendere uno di questi geni nel cuore della notte, sentendosi dire "stavo già così da qualche giorno"? L'ultimo turno di notte io e squadra abbiamo fatto ben 3 interventi su 3 geni incompresi, uno dei quali s'è dichiarato tale con la mia collega mentre io ero al telefono con la Centrale Operativa.
Il primo intervento, verso le 22, è un codice verde "malore in un ragazzo sui 30" ci dice la Centrale per telefono, e noi partiamo alla volta del domicilio del ragazzo in questione.
Dopo una serie di manovre complesse, il nostro autista riesce e infilare l'ambulanza nelle viette strette che portano ad una piccola corte con una piazzetta nel mezzo.
Scendiamo dall'ambulanza e vediamo venirci incontro tremante Alessandro, sui 30 anni, vestito sportivo (e a giudicare dall'odore, sarà stato vestito così da almeno una settimana, ipotizzava il nostro autista) "Sono io! Sono io che ho chiamato! Sto male! Il cuore! Oddio!" mi dice sbracciandosi
"Vieni, sali in ambulanza che ti diamo un'occhiata" gli dico accompagnandolo.
Alessandro è agitato, ma i suoi parametri sono perfetti "Ho il cuore che scoppia! Ho bevuto un dito di amaro e guarda! Io non bevo mai!" continua a dire frenetico "Capito? Mai! E poi la pastiglia, l'ho presa prima...oh mamma, il cuore!"
"Alessandro guarda che il tuo cuore è perfetto, batte regolarmente, tu respiri bene e la tua pressione è migliore della mia; se vuoi fare comunque un controllino in ospedale, ti ci accompagnamo, ok?" gli dico; sono sempre più convinta di aver capito con che tipo di paziente abbiamo a che fare, e la conferma me la dà lui stesso poco dopo: mi conferma di voler andare in PS, giurando di non essere in cura da nessuna parte, ma di essere seguito in una clinica in quanto prende regolarmente antidepressivi, così io avviso la C.O. mentre lui spiega alla mia collega di essere solo al mondo e di essere un genio incompreso. Tempo due minuti, risalgo sull'ambulanza per comunicargli la destinazione e Alessandro, che in due minuti era passato dall'ansia più disperata alla calma più piatta mi dice "Io in PS non ci vengo, sennò come torno a casa? Con il pullman? E poi lo so cosa fanno là...vi hanno detto che mi conoscono, vero?? Tanto non sto morendo, giusto?"
Io con molta calma gli dico "Alessandro, i tuoi parametri sono perfetti, non sono un medico, ma tu non stai morendo. Se vuoi fare un controllo andiamo, altrimenti firmi i documenti per il rifiuto del ricovero e ognuno va a casa sua, tu ci dormi su e se domani sei ancora agitato, vai in ospedale, ok?"
"Beh, se tu mi dici che non sto morendo allora non vengo...è che io pensavo che aveste qualche tranquillante! Non è che ne hai da darmi? Almeno sto buono..." mi dice mentre firma alla rinfusa i moduli
"No mi spiace, noi non abbiamo nè diamo medicinali, possiamo solo portarti in ospedale!" gli dico, e lui del tutto calmo e rilassato mi dice "Ok, allora buona notte ragazzi eh...se non avete niente per me, io vado a letto!" e scendendo dal mezzo, se ne torna a casa.
Una volta avvisata la C.O. rientriamo anche noi, e dopo l'immensa trafila di documenti, ce ne andiamo a dormire. Avremmo voluto pisolare qualche oretta, ma il suono del telefono interrompe i nostri sogni "dolore toracico in ragazzino giovane, giallo" ci dice la C.O.
Giallo vuol dire sirena, che a mezzanotte sembra persino più chiassosa del solito.
Arriviamo in pochi minuti, la destinazione era un locale notturno davanti al quale c'è una vera folla di gente che appena vista l'ambulanza inizia a correre, gesticolare e lanciarsi in mezzo alla strada per farci fermare (rischiando anche di farsi letteralmente piallare da qualche macchina, tra l'altro). Geniale.
Ve lo giuro, eravamo tutti e tre senza parole: mai visto un cinema simile.
Ci addentriamo tra la folla, trovando questo ragazzino sdraiato sulla panchina con le gambe notevolmente sollevate da un astante e la testa sorretta da un amico: posizione davvero strana, ma decisamente comune considerato le miriadi di volte che ho visto la gente sistemare gli "infortunati" in quel modo.
Avvisiamo tutti che Elia, il ragazzo in questione, non necessita di stare in quella posizione, e con un po' di fatica riusciamo a farci spiegare che ha avuto una fitta improvvisa alla parte sinistra del torace e al fianco sinistro, da lì l'agitazione collettiva e l'allertamento del 118.
Non riesco davvero a spiegarmi il gusto per il macabro che ha la gente, la sirena e i lampeggianti attirano curiosi come il miele attira le mosche.
Con un po' di fatica e tutti gli occhi addosso, carichiamo Elia sulla barella e successivamente in ambulanza, dove ci facciamo raccontare un po' di questo dolore; sembrava una cosa cronica, ma considerati i parametri perfettamente normali, a parte forse il battito leggermente accelerato, proprio non riuscivamo a capire cosa potesse essere, finchè non scopriamo che Elia faceva spesso lavori manuali pesanti. Nessuno di noi è medico, ma a giudicare dal tipo di dolore che lamentava e dalle domande che l'infermiere di PS aveva iniziato a fargli una volta arrivati, il cuore non c'entrava gran che.
Rientrando, iniziamo a sperare di riuscire a dormire per un po', ma alle 3.50 suona di nuovo il telefono, "codice verde, occlusione intestinale".
Ci risvegliamo dallo stato comatoso e partiamo verso la destinazione, domandandoci se questa sarebbe stata la terza uscita pittoresca, e come si dice "non c'è due senza tre".
Arriviamo in posto e ci troviamo davanti la signora Edna, circa 80 anni, evidentemente dispnoica e con forti dolori addominali dovuti all'occlusione.
Mentre la mia collega rileva i parametri, io mi occupo di capire dai numerosi familiari che le girano attorno qual è la situazione.
Edna è così da più di quattro giorni, e nonostante i minuti passati a farmi spiegare il tutto, non riesco a capire perchè la famiglia ha deciso di chiamare proprio alle 4 del mattino.
Chiamo la Centrale informandoli delle condizioni di Edna, e ci viene assegnato l'ospedale più vicino, ma la famiglia insiste per averne un altro; spiego che, viste le difficoltà della signora, sarebbe stato meglio optare per la soluzione più rapida, ma loro non ne vogliono sapere e l'operatore della Centrale, credo stanco di negoziare e di sentirli urlare dall'altra parte del telefono, concede alla famiglia l'ospedale richiesto (l'unico dove Edna ancora non era stata a farsi vedere per la miriade di patologie dalle quali è affetta, per questo la famiglia insisteva) e sospirando mi cambia la destinazione.
Una volta collegata la signora all'ossigeno, che le dà un notevole sollievo, partiamo alla volta dell'ospedale.
Sarà la notte, il buio, sarà il sonno...sarà quel che sarà, ma a volte la cosa migliore è prenderla con ironia, geniale no?

lunedì 5 marzo 2012

Effetto domino

Il suono del telefono spezza la nostra mattinata dedita alla Scala Quaranta.
"Andate in verde a XXX, via XXX, padre e figlio caduti in casa, verificate e fatemi sapere via filo".
Il collega che prende la telefonata mi lancia un'occhiata divertita "questa è proprio da te..." ride.
Partiamo alla volta della destinazione, raggiunta poco dopo.
Entriamo a casa Bianchi, e veniamo guidati in una camera da letto, dove troviamo Davide (il figlio) e Daniele (il padre), entrambi a letto a lamentarsi del dolore.
Con un po' di fatica riesco a farmi raccontare cos'era successo poco prima che ci chiamassero: il signor Daniele, anziano e con un po' di demenza senile, era a letto quando ha tentato di alzarsi per andare in bagno, ma è scivolato sul tappetino ai piedi del letto picchiando la testa sulla cassettiera e finendo per terra.
La moglie se ne accorge, vede le due gocce di sangue, si spaventa e chiama il figlio Davide sulla cinquantina, che pensa bene di cercare di sollevare il padre di peso, ma a causa della posizione sbagliata e del suo considerevole peso, fa forza sulla schiena a prende uno strappo alla schiena finendo a terra nuovamente insieme a Daniele.
La sorella di Davide e la madre sono visibilmente agitate.
"Vorremmo portarli tutti e due in ospedale, si può vero? Ma avete un'ambulanza sola? Ce la fate? E dove li portate?" mi domandano
"Adesso sento la Centrale, saranno loro a dirmi come procedere dopo aver saputo cos'è successo" rispondo, trafficando con fogli e telefono
"Dottoressa, ha bisogno di qualcosa? Documenti? Medicine? Perchè abbiamo tutto da qualche parte..." mi chiedono di nuovo
"Signora io non sono un medico, comunque mi bastano i tesserini sanitari dei due signori e la documentazione ospedaliera se ce l'hanno" rispondo
"Ok dottoressa! Gliele prendo subito!" mi risponde la sorella, sparendo in un corridoio
Rassegnata al fatto che l'agitazione l'ha avuta vinta sull'udito, e che spiegare cos'è un soccorritore sarebbe stato inutile, chiamo la Centrale che ci autorizza a caricare entrambi i signori sul mezzo.
Mettiamo Davide, con lo strappo alla schiena, sulla barella, mentre Daniele lo mettiamo seduto sul seggiolino in ambulanza, dopo avergli messo il collarino per precauzione.
Il viaggio dura la metà del tempo che pensavo sarebbe durato tante erano le scartoffie da compilare e le volte in cui io, il mio collega e Davide abbiamo cercato di tranquillizzare il signor Daniele, che era spaventato e un po' disorientato.
Arrivati in Pronto Soccorso, scarichiamo prima Davide e dopo Daniele, che abbiamo dovuto tirare giù dal mezzo letteralmente a peso morto.
Appena entrati, Daniele inizia a chiederci con gli occhi lucidi dov'era, perchè non era a casa...spiego la situazione e l'accaduto all'infermiere di turno che prende in carico padre e figlio.
"Padre e figlio? Davvero?" mi domanda
"Eh si, davvero".