mercoledì 14 marzo 2012

Geni incompresi

Rieccomi, risorta dalle ceneri come l'araba fenice...ecco, diciamo che io sono una versione meno mitologica e più post-influenzale di suddetto pennuto, ma sorvoliamo.
Durante l'ultimo turno che ho fatto prima di cadere ai piedi del letto vittima dell'influenza stagionale che speravo di aver evitato almeno quest'anno, io e squadra abbiamo avuto a che fare con quelli che comunemente si definisce geni incompresi, cioè quelle persone che hanno illuminazioni relative alle loro condizioni nel cuore della notte e non capiscono come non abbiano potuto pensarci prima o in altra sede.
Normalmente questo tipo di scenario è molto familiare a quasi tutti i soccorritori; quante volte vi è capitato di andare a prendere uno di questi geni nel cuore della notte, sentendosi dire "stavo già così da qualche giorno"? L'ultimo turno di notte io e squadra abbiamo fatto ben 3 interventi su 3 geni incompresi, uno dei quali s'è dichiarato tale con la mia collega mentre io ero al telefono con la Centrale Operativa.
Il primo intervento, verso le 22, è un codice verde "malore in un ragazzo sui 30" ci dice la Centrale per telefono, e noi partiamo alla volta del domicilio del ragazzo in questione.
Dopo una serie di manovre complesse, il nostro autista riesce e infilare l'ambulanza nelle viette strette che portano ad una piccola corte con una piazzetta nel mezzo.
Scendiamo dall'ambulanza e vediamo venirci incontro tremante Alessandro, sui 30 anni, vestito sportivo (e a giudicare dall'odore, sarà stato vestito così da almeno una settimana, ipotizzava il nostro autista) "Sono io! Sono io che ho chiamato! Sto male! Il cuore! Oddio!" mi dice sbracciandosi
"Vieni, sali in ambulanza che ti diamo un'occhiata" gli dico accompagnandolo.
Alessandro è agitato, ma i suoi parametri sono perfetti "Ho il cuore che scoppia! Ho bevuto un dito di amaro e guarda! Io non bevo mai!" continua a dire frenetico "Capito? Mai! E poi la pastiglia, l'ho presa prima...oh mamma, il cuore!"
"Alessandro guarda che il tuo cuore è perfetto, batte regolarmente, tu respiri bene e la tua pressione è migliore della mia; se vuoi fare comunque un controllino in ospedale, ti ci accompagnamo, ok?" gli dico; sono sempre più convinta di aver capito con che tipo di paziente abbiamo a che fare, e la conferma me la dà lui stesso poco dopo: mi conferma di voler andare in PS, giurando di non essere in cura da nessuna parte, ma di essere seguito in una clinica in quanto prende regolarmente antidepressivi, così io avviso la C.O. mentre lui spiega alla mia collega di essere solo al mondo e di essere un genio incompreso. Tempo due minuti, risalgo sull'ambulanza per comunicargli la destinazione e Alessandro, che in due minuti era passato dall'ansia più disperata alla calma più piatta mi dice "Io in PS non ci vengo, sennò come torno a casa? Con il pullman? E poi lo so cosa fanno là...vi hanno detto che mi conoscono, vero?? Tanto non sto morendo, giusto?"
Io con molta calma gli dico "Alessandro, i tuoi parametri sono perfetti, non sono un medico, ma tu non stai morendo. Se vuoi fare un controllo andiamo, altrimenti firmi i documenti per il rifiuto del ricovero e ognuno va a casa sua, tu ci dormi su e se domani sei ancora agitato, vai in ospedale, ok?"
"Beh, se tu mi dici che non sto morendo allora non vengo...è che io pensavo che aveste qualche tranquillante! Non è che ne hai da darmi? Almeno sto buono..." mi dice mentre firma alla rinfusa i moduli
"No mi spiace, noi non abbiamo nè diamo medicinali, possiamo solo portarti in ospedale!" gli dico, e lui del tutto calmo e rilassato mi dice "Ok, allora buona notte ragazzi eh...se non avete niente per me, io vado a letto!" e scendendo dal mezzo, se ne torna a casa.
Una volta avvisata la C.O. rientriamo anche noi, e dopo l'immensa trafila di documenti, ce ne andiamo a dormire. Avremmo voluto pisolare qualche oretta, ma il suono del telefono interrompe i nostri sogni "dolore toracico in ragazzino giovane, giallo" ci dice la C.O.
Giallo vuol dire sirena, che a mezzanotte sembra persino più chiassosa del solito.
Arriviamo in pochi minuti, la destinazione era un locale notturno davanti al quale c'è una vera folla di gente che appena vista l'ambulanza inizia a correre, gesticolare e lanciarsi in mezzo alla strada per farci fermare (rischiando anche di farsi letteralmente piallare da qualche macchina, tra l'altro). Geniale.
Ve lo giuro, eravamo tutti e tre senza parole: mai visto un cinema simile.
Ci addentriamo tra la folla, trovando questo ragazzino sdraiato sulla panchina con le gambe notevolmente sollevate da un astante e la testa sorretta da un amico: posizione davvero strana, ma decisamente comune considerato le miriadi di volte che ho visto la gente sistemare gli "infortunati" in quel modo.
Avvisiamo tutti che Elia, il ragazzo in questione, non necessita di stare in quella posizione, e con un po' di fatica riusciamo a farci spiegare che ha avuto una fitta improvvisa alla parte sinistra del torace e al fianco sinistro, da lì l'agitazione collettiva e l'allertamento del 118.
Non riesco davvero a spiegarmi il gusto per il macabro che ha la gente, la sirena e i lampeggianti attirano curiosi come il miele attira le mosche.
Con un po' di fatica e tutti gli occhi addosso, carichiamo Elia sulla barella e successivamente in ambulanza, dove ci facciamo raccontare un po' di questo dolore; sembrava una cosa cronica, ma considerati i parametri perfettamente normali, a parte forse il battito leggermente accelerato, proprio non riuscivamo a capire cosa potesse essere, finchè non scopriamo che Elia faceva spesso lavori manuali pesanti. Nessuno di noi è medico, ma a giudicare dal tipo di dolore che lamentava e dalle domande che l'infermiere di PS aveva iniziato a fargli una volta arrivati, il cuore non c'entrava gran che.
Rientrando, iniziamo a sperare di riuscire a dormire per un po', ma alle 3.50 suona di nuovo il telefono, "codice verde, occlusione intestinale".
Ci risvegliamo dallo stato comatoso e partiamo verso la destinazione, domandandoci se questa sarebbe stata la terza uscita pittoresca, e come si dice "non c'è due senza tre".
Arriviamo in posto e ci troviamo davanti la signora Edna, circa 80 anni, evidentemente dispnoica e con forti dolori addominali dovuti all'occlusione.
Mentre la mia collega rileva i parametri, io mi occupo di capire dai numerosi familiari che le girano attorno qual è la situazione.
Edna è così da più di quattro giorni, e nonostante i minuti passati a farmi spiegare il tutto, non riesco a capire perchè la famiglia ha deciso di chiamare proprio alle 4 del mattino.
Chiamo la Centrale informandoli delle condizioni di Edna, e ci viene assegnato l'ospedale più vicino, ma la famiglia insiste per averne un altro; spiego che, viste le difficoltà della signora, sarebbe stato meglio optare per la soluzione più rapida, ma loro non ne vogliono sapere e l'operatore della Centrale, credo stanco di negoziare e di sentirli urlare dall'altra parte del telefono, concede alla famiglia l'ospedale richiesto (l'unico dove Edna ancora non era stata a farsi vedere per la miriade di patologie dalle quali è affetta, per questo la famiglia insisteva) e sospirando mi cambia la destinazione.
Una volta collegata la signora all'ossigeno, che le dà un notevole sollievo, partiamo alla volta dell'ospedale.
Sarà la notte, il buio, sarà il sonno...sarà quel che sarà, ma a volte la cosa migliore è prenderla con ironia, geniale no?

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